Avere vent’anni: SATURNUS – Martyre

Trainspotting: Questo disco risente tantissimo dell’EP For the Loveless Lonely Nights uscito due anni prima, nel 1998, e che noi ci siamo dimenticati di recensire. E già, siamo veramente degli stronzi. Sono veramente costernato e mi sento sporco dentro per non essermene ricordato, perché For the Loveless Lonely Nights è uno dei dischi più belli della storia della musica. Non sto scherzando, attenzione: sono serissimo. È il capolavoro assoluto dei Saturnus, il primo prodotto da Flemming Rassmussen e una delle cose più devastanti da cui sia mai stato investito. Un paio di millenni fa lessi per la prima volta La Metamorfosi di Kafka e ricordo che ero a letto e non spensi la luce finché non l’ebbi finito, dalla prima all’ultima pagina. Non riuscii ovviamente più a dormire e per un po’ di tempo ebbi anche qualche difficoltà a vivere, e in generale penso che qualcosa mi si fosse frantumato dentro. For the Loveless Lonely Nights dà la stessa sensazione con la differenza che, essendo un disco e non un libro, può accoltellarti molto più spesso. Personalmente cerco di ascoltarlo il meno possibile e sempre in situazioni più sicure possibili, o quantomeno quando non sono preso troppo male, perché sono sicuro che avrebbe il potere di trascinarti in un buco nero orribile e vuoto come quello che vedi negli occhi degli eroinomani o di certe signore anziane sulla metropolitana. Che poi analizzandolo sono sei tracce, di cui due pezzi live dal primo disco, un riempitivo rumoristico (c’era ancora Kim Larsen nella banda), Thou Art Free che è carina (e viene riproposta proprio in Martyre) e poi quei due pezzi iniziali che sono i veri responsabili di tutto il male che potrebbe venirvi. Starres e For Your Demons, la prima straziante doom da crampi allo stomaco e la seconda un lancinante neofolk con un testo che è come gli occhi della Gioconda: colpisce tutti indistintamente, a prescindere dalla tua posizione rispetto al quadro, dalla tua età o dal tuo vissuto.

Questo per quanto riguarda For the Loveless Lonely Nights. Di Martyre parlerà più approfonditamente Michele qua sotto e davvero non c’è molto altro da dire, anche perché cercare le parole giuste per parlare dei Saturnus ti svuota quasi come quando li ascolti. Non sono molto d’accordo con Michele quando dice di preferire l’ultima parte della discografia alla prima, perché i miei preferiti – oltre al suddetto EP – sono il primo Paradise Belongs to You e l’ultimo Saturn in Ascension. Martyre è bellissimo e devastante, ma ha dei difetti che si riscontrano a volte nei secondi dischi, come ad esempio alcuni esperimenti non troppo riusciti che suonano come incastrati a forza in un contesto che, invece, da solo potrebbe funzionare molto meglio. Ci sarebbe molto altro da dire ma non ho voglia di finire la serata piangendo abbracciato a una bottiglia di whisky: sappiate solo che i Saturnus sono un gruppo irrinunciabile per chiunque.

Michele Romani: I Saturnus non hanno certo bisogno di presentazioni: per tutti gli amanti del doom metal dalle tinte gotico-melodiche sono da sempre una garanzia, anche se una marea di cambi di formazione nel corso degli anni e una conseguente discografia piuttosto scarna (solo 4 full in più di un venticinquennio di attività) non gli hanno permesso di raggiungere lo status di altri gruppi più noti all’interno del genere. Poco male, perché parliamo di lavori assolutamente obbligatori per gli amanti di questo tipo di sonorità, a partire dall’esordio Paradise Belongs to You per arrivare a questa seconda fatica Martyre, il disco con cui il sestetto proveniente dalla fredda e tenebrosa Danimarca (cit.) cercò di evolversi dal gothic doom del precedente in favore di sonorità più melodiche e immediate.

Per quanto mi riguarda i Saturnus sono una delle poche bands per cui il teorema tanto caro qui a Metal Skunk “buoni i primi, merda tutto il resto” si capovolge quasi del tutto, nel senso che paradossalmente reputo gli ultimi due (specialmente Saturn in Ascension) come i picchi assoluti della loro discografia, senza per questo nulla togliere ai dischi precedenti.

Tornando a bomba, Martyre si apre subito con la doppietta Inflame Thy HeartEmpty Handed, due brani che riassumono perfettamente il tipico suono dei Saturnus: una base prettamente doom che si apre ad aperture melodiche di gran classe, con quel particolarissimo uso della chitarra solista che quasi sempre fa da traino alla composizione e la potente voce di Thomas Jensen, che alterna di continuo un inquietante growl ultragutturale (tra i migliori del genere) a parti quasi sussurrate. A Poem (Written in Moonlight) è il brano che ricalca più le atmosfere dell’esordio, mentre non servono le parole per descrivere Softly on the Path you Fade, un brano di una bellezza sconvolgente che nel bellissimo arpeggio iniziale ricorda vagamente A Dying Wish degli Anathema. A proposito di arpeggi, tra le peculiarità dei Saturnus c’è anche la presenza di composizioni dedite unicamente alla chitarra acustica come in Thou Art Free, tendenza che ripeteranno spesso anche nei successivi dischi (ascoltate pezzi magnifici come All Alone o Call of the Ravens Moon per farvi un’idea).

L’unico difetto di Martyre è che cala leggermente nella seconda parte. Per il resto si tratta di uno di quei lavori che non può mancare nella discografia di ogni appassionato di doom che si rispetti e non solo, una colonna sonora perfetta per queste gelide giornate invernali.

Un commento

  • Non potrei essere più d’accordo su “For loveless lonely nights”: è Me-ra-vi-gli-o-so!
    ed anche “Paradise belongs to you” è di una bellezza che lascia attoniti… “Martyre” è la continuazione di un trittico delle delizie. Per pochi, ma fortunati quei pochi.

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