Avere vent’anni: DARKANE – Rusted Angel
La Svezia non era ancora un territorio simile a quella scena di Matrix Reloaded in cui molti agenti Smith combattevano Neo. Non c’erano centinaia di Tomas Lindberg a volteggiare in cielo quasi oscurandolo e che, piombando sui malcapitati metallari come rapaci affamati, si rivelavano essere gli spietati Carnal Forge e band del genere, quasi tutte somiglianti l’una alle altre. Per cui, durante un safari in motoslitta per avvistare qualche esemplare adulto di alce, girovagando per il paese nordico fu anche possibile godersi un nuovo tipo di musica: il Gothenburg sound. Fino a che la goduria si trasformò in un profondo senso di irritazione.
In principio nacquero alcuni gruppi addirittura capaci di distinguersi; i The Crown, ad esempio, erano difficilmente inquadrabili e completamente fuori di zucca quando diedero alle stampe il quarto e bellissimo Deathrace King. Un altro moniker che ho difeso a spada tratta, ma dalle primissime battute, furono i Darkane: la mia ostinatezza nel volergli bene durò addirittura due dischi, dopodiché feci all’incirca come Giuda. Rusted Angel era il loro primo disco, e le peculiarità per cui la band risaltò sull’orizzonte piatto in quegli anni furono un batterista dall’estro pazzesco – Peter Wildoer, che usava i piatti come se dovesse riavere indietro dei soldi da loro – ed un cantante che purtroppo sarebbe entrato in line-up solo alla fermata successiva: Andreas Sydow, l’uomo dietro al microfono nei dischi più famosi della band, fra i quali in linea di massima stravedevo e ancora oggi stravedo solo per Insanity. Rusted Angel fu una sorta di prova generale, un buon primo giro a cui mancava il guizzo vincente che di lì a poco avrebbe preso forma in episodi come Third o Distress. C’è chi preferisce questo al secondo album, per cui non mi resta che provare a mettervi curiosità e suggerirvi di tentare la via di entrambi: ad accomunarli tanta, incalcolabile cattiveria e brani sparati a velocità folle, un senso ricorrente di spregio nei confronti della canzone, e un suono talmente devastante per cui era orribile pensare si trattasse davvero del primo disco. Veterani da subito, al top per poco. (Marco Belardi)
Mamma mia, l’inizio di uno dei cancri musicali peggiori della storia : le copie carbone degli at the gates. Tra questi, i soilwork e qualche altra nefandezza siamo davvero al cospetto del nulla fatto musica.
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Buon album di mestiere, si fa ascoltare.
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Da febbraio 1999 Peter Wildoer batterista preferito di Svezia
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ma come, che è sta recensione telegrafica?
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Gli avevamo chiesta di farla breve per il pezzo di fine mese ma, essendo breve solo per gli standard belardiani, era troppo lunga per entrarci
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“non siete degni del vostro genere preferito, tenetevi i darkane” (cit.)
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