Avere vent’anni: OLD MAN’S CHILD – Ill-Natured Spiritual Invasion
Se ripenso agli Old Man’s Child mi viene in mente una di quelle band che, nella maniera più ruffiana possibile, provarono a salire sul carrozzone del successo del black metal suonando qualcosa che ne prendeva il più possibile le distanze, facendolo peraltro in maniera piuttosto netta. Esempio lampante è il loro terzo album, Ill-Natured Spiritual Invasion, che curiosamente mi capita di recensire a breve tempo da Nexus Polaris, sempre per la stessa rubrica e sempre con le stesse perplessità di fondo.
È altrettanto sorprendente come l’effetto di certi album cambi col tempo: se all’epoca ne finivo attratto come le zanzare su un neon bluastro, oggi ne prendo le distanze con sufficienza ma sono piacevolmente portato a tornarci sopra – anche se me n’ero tenuto a debita distanza per svariati lustri – ma c’è un però.
Nel caso dei Covenant ho ritrovato un album dotato di due o tre pezzi fortissimi, che erano più o meno quelli che consumai all’epoca skippando con ferocia il resto; riguardo alla band di Galder, nel senso stretto della cosa, dato che dopo The Pagan Prosperity rimase una questione tutta quanta sua – in attesa di entrare nei Dimmu Borgir – Ill-Natured Spiritual Invasion è un titolo che ho riascoltato con il piglio di chi sta per perdere del tempo salvo poi constatare che sì, lo stile è una ruffianata imperdonabile, che Hoglan alla batteria era soltanto un punto di interesse di cui avrei fatto a meno badando semplicemente alla sostanza, ma che alla fine, tolta la settima traccia My Evil Revelations, in ognuna delle altre figurano parti compositive che a livello melodico mi colpirono da subito, e che non avevo in nessuna maniera rimosso dalla testa. E non c’è punto a favore migliore.
Per cui dove sta la verità? Il terzo Old Man’s Child è solo un rileccato e leggerino miscuglio di black melodico, thrash e certi passaggi pericolosamente vicini al power (God Of Impiety) – il tutto dominato da tastiere – oppure Galder ha semplicemente vinto, con canzoni strutturate mediante un dinamismo da veterani e costellate di passaggi di un’immediatezza e robustezza compositiva a dir poco invidiabili? Spesso debitore nei confronti dei Dimmu Borgir più melodici, come in occasione dell’assolo della conclusiva Thy Servant, e spesso clamorosamente fuori tema come col thrash della forzata Demonical Possession, ma comunque di spessore. A voi la risposta, la cosa certa è che nel 1998 certe cose spopolavano a mani basse, e che in quel periodo tenere Gene Hoglan lontano da uno studio di registrazione (Demonic dei Testament, una miriade di cose con Devin Townsend) era pressoché impossibile. (Marco Belardi)


Demonic, che grande album.
"Mi piace""Mi piace"
Pingback: Avere vent’anni: aprile 1998 | Metal Skunk
Pingback: Non ha un pezzo brutto ma fa schifo lo stesso: DIMMU BORGIR – Eonian | Metal Skunk