Mannaggia a Cavalera: ORPHANED LAND – Unsung Prophets & Dead Messiahs

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Credo non ci sia mai stata un’altra occasione in cui le anticipazioni precedenti l’uscita dell’album me ne abbiano influenzato così tanto il giudizio. Prima viene estratto il singolo We Do Not Resist, abbastanza groove nel suo stile; poi Kobi Farhi rilascia alcune interviste in cui descrive l’album come un concept “di protesta, molto arrabbiato” incentrato sui “rivoluzionari e [sui] leader [che] finiscono sempre per essere uccisi”. In un altro passaggio cita come esempi Che Guevara (non poteva mancare), Mahatma Gandhi, Martin Luther King e – punto più divertente – Yitzhaq Rabin e Anwar Sadat, due militari al governo dei rispettivi paesi. Tralasciando gli assassinii mirati di leader palestinesi o sciiti da parte dell’esercito israeliano (di cui ovviamente quest’album non parla), tutto ciò mi ha ricordato quelle pose un po’ alla Max Cavalera ora che sta nei Soulfly. Cioè tutte quelle dichiarazioni da prossima fine del capitalismo, da rivoluzione imminente, da anarco-insurrezionalisti col conto in banca… Insomma, come dice un vecchio adagio: tutti froci col culo degli altri.

Se devo essere onesto, non mi è mai piaciuto troppo mettermi a leggere i testi degli album, soprattutto prima di doverli recensire. È un aspetto a cui non do neanche troppo peso proprio in generale. Tuttavia, di recente mi è tornato sottomano un neanche troppo vecchio articolo di Ciccio sullo stato del giornalettismo metallico online. Subito dopo, in rete sono comparse come funghi recensioni in cui si elogia senza mezzi termini il profondo e fantastico messaggio politico – da qualche parte ho letto addirittura di pace – veicolato da Unsung Prophets & Dead Messiahs. Quindi, visti anche i precedenti e quanto ho scritto nel paragrafo sopra, mi pareva giusto scavare un po’ più a fondo. A onore del vero, dunque, c’è da dire che il gruppo, per esempio, ha anche fatto lo sforzo di far entrare due frasi in arabo nei testi di questo album. La prima è, in The Cave e totalmente fuori contesto, una parte della shahāda; e, francamente, mi ci sono scervellato, ma non riesco a capirne il senso. La seconda è in We Do Not Resist e tradotta significa all’incirca “lode a Satana, Signore dei venti”. Facendo qualche veloce ricerca in rete pare che sia tratta da un’opera del poeta egiziano Amal Donqol. A ben vedere, però, è un poema intitolato Le ultime parole di Spartaco nel quale l’autore si immedesima nel gladiatore della Tracia. Qua è abbastanza evidente il nesso col concept della ribellione. Più che altro fa ridere che lo stesso autore abbia scritto un poemetto ben più famoso in cui si scaglia contro Sadat e invita gli arabi a non fare pace (con Israele). 

Ciononostante, di Unsung Prophets & Dead Messiahs si può anche parlare moderatamente bene da un punto di visto strettamente musicale. Rispetto al macchiettistico All Is One i progressi sono evidenti – Kna’an facciamo finta che non sia mai stato pubblicato. Gli Orphaned Land qui assumono quasi una nuova veste più sinfonica, ben evidente nella già citata The Cave, prima traccia che dà il la a tutto il “concept” e che è forse tra le migliori dell’album. Un’altra innovazione nelle loro sonorità può essere vista nella vena power che assumono alcune composizioni, forse ispirata dal recente tour fatto con i Blind Guardian. Non per nulla su Like Orpheus, traccia più rappresentativa di questa nuova tendenza, viene ospitato proprio Hansi Kürsch. Molto più estemporanea è invece la collaborazione con Tomas Lindberg degli At the Gates su Only the Dead Have Seen the End of War. Per il resto l’album è legato al progressive metal a cui gli israeliani ci hanno abituati ultimamente, forse anche più “puro”, tanto che la strofa di My Brother’s Keeper potrebbero averla composta i Pain of Salvation del periodo tra Be e Scarsick. L’influenza più estranea a quelle classiche del gruppo è, come già detto all’inizio, il groove metal accennato nel singolo We Do Not Resist. O ancora lo si sente in Take My Hand, la quale un po’ mi ha ricordato i Konkhra degli ultimi due album.

Unsung Prophets & Dead Messiahs è, dunque, un album con molte sfaccettature e sicuramente più apprezzabile delle ultime due prove in studio degli Orphaned Land. Tuttavia, renderlo più omogeneo e non far sentire così pesantemente la differenza di stile tra una traccia e l’altra avrebbe sicuramente giovato. Per quanto riguarda il concept, invece, è talmente povero che bastano un minimo di conoscenze storiche e una veloce ricerca online per smontarne buona parte. Per essere un poco più credibili, in copertina avrebbero quantomeno potuto mettere un pugno sinistro. (Edoardo Giardina)

Un commento

  • Persi di vista dopo sahara.
    Ero stato stregato da El Norra Alila, ma in quel periodo qualsiasi cosa venisse prodotto dalla Holy Rec o avesse all’interno”stramberie” come violini, archi, litanie nelle lingue più disparate mi affascinava. Mi permetteva di fare il finto intellettuale…..
    Col tempo, secondo me, hanno cominciato ad arrotolarsi su loro stessi perdendo di vista l’obiettivo.

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