Avere vent’anni: ANNIHILATOR – Remains

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Marco Belardi: Piazzare sugli scaffali un album come Remains nel 1997 è come uscire col troione di turno e ragionarci tutta la sera di Paulo Coelho e agricoltura Bio: non funzionerà. Un po’ perché l’avventura semi-solista di Waters proveniva da due album non pienamente convincenti, un po’ perché perfino il reduce Randy Black era stato scaricato all’ insegna del “faccio tutto io”, infine per il periodo storico insospettabile in cui chiunque suonasse thrash era atteso al varco con il minimo passo falso per essere ricoperto di letame. Gli Annihilator non erano necessariamente fra coloro che erano andati a cercarsela, tantoché si riprenderanno a mio avviso alla grande solo un anno dopo, con Criteria for a black widow. Che è bello, ha una formazione ruffiana e dall’ autocitazionismo dei titoli si capiscono molte cose. Remains, invece, è Remains. Non è né bello né brutto, semplicemente è quello che passava per la testa del canadese in un momento in cui le idee non mancavano, a tal punto da fargli fare per molti aspetti il passo più lungo della gamba.

Batteria programmata (in maniera neanche così indecente), inserti elettronici, molto groove… Waters la butta sull’ ironico e sullo shredding come del resto è sempre stato, Murder e Never hanno un bel tiro, Human remains rivede a modo suo il thrash metal, Tricks and traps e I want sono a loro volta decisamente “classiche” (la seconda sembra uscire da Set the world on fire). In mezzo a tutto ciò, una manciata di pezzi pretenziosi che hanno fatto incazzare un bel po’ di gente, come Sexecution o il plagione ai Pantera di Dead wrong (ascoltate e capirete!). Ho trascurato questo album per molto tempo, e devo ammettere che oggigiorno lo ritengo perfino superiore a una grossa fetta della bordata di uscite con Comeau e Padden alla voce… E, per avere vent’anni, direi che è anche invecchiato benino.

Edoardo Giardina: Nella scia degli album che a metà anni ’90 cercavano di stare dietro alle nuove tendenze senza riuscire a farle proprie si inserisce anche Remains. Con le sue influenze nu e industrial, rappresenta qualitativamente il punto più basso della discografia degli Annihilator. Il che viene aggravato dal fatto che tale discografia, da Set the World on Fire in poi, è altamente ripetitiva e basata di fatto su infinite variazioni degli stessi temi di Alice in Hell e Never, Neverland. Insomma, ci voleva impegno per fare di peggio. Tuttavia, mi piace trovare almeno un aspetto positivo in Remains, il quale mi ha sempre suscitato molta empatia. Diciamo che apprezzo la sua genuinità di fondo, e Jeff Waters che, pur di portare avanti la sua creatura, compose e incise tutto da solo, ispirato da cupi sentimenti dovuti a problemi familiari. Non credo cioè che questo fosse solo un maldestro tentativo di intercettare sonorità alla moda.

L’esecuzione rimane comunque estremamente deludente. Perché c’è chiaramente qualcosa che non va se, quando decidi di esplorare nuove sonorità, la traccia più bella del tuo “esperimento” è quella che più rivanga nel passato, Tricks and Traps – che oltretutto riprende palesemente uno dei riff di The Fun Palace. Nonostante tutta la simpatia e l’ammirazione che si possono provare, quest’album fu se non altro la riprova che il chitarrista canadese non riesce proprio a portare avanti gli Annihilator totalmente in solitaria.

 

 

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