La strada tedesca per la Svezia: REVEL IN FLESH – Emissary of All Plagues
I tedeschi hanno un problema col death metal. Ciò non vuol dire che non riescano a farlo bene, ogni tanto. È che non riescono a prenderlo sul serio. Per una serie di fattori culturali che non sto a sviscerare (anche perché non ne sarei in grado), il metallo tetesco, come quello finlandese, è uno stato della mente, è un’impronta inequivocabile che trascende i generi. E che, per qualche motivo, non si sposa con la filosofia profonda del death metal. I teteschi tendono a prendere il metallo con divertimento e goliardia (filosofia nobilissima, per carità) e non esprimono quindi mai il male di vivere di uno scandinavo o di un buzzurro americano. Prendete i Debauchery. Un gruppo con presupposti concettuali così estremi in qualunque altro Paese suonerebbe ai limiti dell’inascoltabile. Invece è una faccenda cazzarona, a base di birra, tettone e riff thrash. Altra filosofia nobilissima, ci mancherebbe. Insomma, i tedeschi fanno benissimo altre cose ma al death metal non ci arrivano, e questo discorso vale pure per il black. Certo, i gruppi carini ci sono. I Fleshcrawl mi piacevano un sacco, e i Dew-Scented pure. Però non si sente la puzza di morto, anche quando tutto il resto funziona e il risultato lo portano a casa. Emissary of All Plagues, per esempio, è uno dei migliori amarcord del death svedese sentiti di recente a non uscire dalla Svezia.
I Revel In Flesh hanno inciso il primo lp nel 2012 e questo è già il quarto. A ‘sto giro evito di snocciolarvi gli stereotipi di prammatica sulla caparbietà e la costanza dei crucchi, che si confermano verissimi. Finora non hanno mai avuto un calo qualitativo vero (forse il secondo Manifested Darkness è una spanna sopra gli altri), e qua toccherebbe fare un’altra riflessione su quanto, vent’anni fa, uscivano molti più dischi genuinamente brutti ma ciò significava pure che i gruppi, quantomeno, rischiavano.
Il nome richiama Left Hand Path ma i Revel Flesh di entombediano non hanno granché, salvo la scapocciosa Servants of the Deathkult, che è pure uno dei pezzi più memorabili, insieme alla dismemberiana Casket Ride. I ragazzi, per come costruiscono le melodie, sembrano però preferire la scuola di Goteborg, se non i loro epigoni più tardi che, per qualche bizzarra combinazione astrale, hanno finito per ispirare le derive più mainstream del deprecabile metallo americano del secondo millennio. Niente di male, è una mera questione generazionale. Le formazioni thrash nate negli anni ’90, per quanto legati ai classici, suonavano tutti come i Pantera, per fare un altro esempio. Qua si sente che ai gruppi fondatori, supponendo i Revel In Flesh assai più giovani di me, ci sono arrivati attraverso altra roba. E anche questo va benissimo, viva gli Slipknot se hanno convertito tanti ragazzi al metal estremo. Se sei uno che è cresciuto anche con i Behemoth, però, si sente. Prendete Sepulchral Passage. Il retrogusto, citazionismo programmatico incluso, resta quindi quello di un film di Tarantino: tutti gli elementi sono al posto giusto, è divertente quanto vuoi ma, per le emozioni vere, ti guardi direttamente Umberto Lenzi o Takashi Miike. Dalla mia playlist da palestra attuale, comunque, Emissary of All Plagues, ancora non se ne va. (Ciccio Russo)

aggiungi alla lista anche gli obscenity! comunque questi revel in flesh mi stanno piacendo parecchio, ottima segnalazione!
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Giusto, gli Obscenity meritano tantissimo.
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