Sonisphere 2013: IRON MAIDEN // MEGADETH // MASTODON @Fiera Milano

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(Testi di Ciccio Russo & Charles)

Chi si trasferisce a Roma e ci rimane abbastanza da imparare a sopravviverci finisce per sviluppare, volente o nolente, alcune caratteristiche antropologiche tipicamente capitoline, come il rassegnato fatalismo, una patina più o meno spessa di cinica indolenza e l’idiosincrasia per Milano. Non me ne vogliano i lettori ambrosiani. Milano non mi sta sulle palle, è che ogni volta che ci capito ho la sensazione di stare io sulle palle alla città. Esco dalla stazione di Porta Garibaldi e mi ritrovo nel mezzo di un cantiere a cielo aperto. Orrendi palazzoni di vetro e acciaio ci circondano, altri sono in costruzione. Mi metto nei panni degli anziani signori meneghini che dalla loro finestra erano abituati a vedere un campanile e oggi, quando si affacciano dal balcone, vedono il logo dell’Unicredit. In un paese come l’Italia dovrebbero proibire per legge di erigere simili mostri, che invece continuano a moltiplicarsi in spregio al più elementare senso estetico. I lavori in corso rendono il quartiere un’unica, colossale barriera architettonica. Solo per portare il cane a pisciare servirebbe un corso di addestramento del NOCS. Dopo aver girato inutilmente in tondo per mezz’ora, io e Charles riusciamo a trovare un modo per raggiungere il contiguo quartiere Isola, dove è situata la trattoria che ci avevano consigliato. L’area non sarebbe nemmeno così male se dietro alle vecchie case popolari non si stagliassero quei grattacieli del cazzo. Pare di stare a Francoforte, solo che lì almeno hanno la scusa di aver avuto l’intero centro storico raso al suolo durante i bombardamenti, quindi non è colpa loro se come unica attrazione turistica di rilievo hanno la Bce. Per associazione mentale, mi canticchio Parco Sempione in testa ed entriamo nel ristorante con le consuete intenzioni bellicose. Speravamo in una cotoletta con l’osso ma scopriamo un po’ a malincuore che ci hanno diretto in un’osteria toscana. Il lardo di Colonnata e i fegatelli ci consolano però subito. Il Chianti è buono ma troppo leggero per durare fino alla fine dell’antipasto. Per le portate successive ci affidiamo quindi a un Sangiovese irrobustito da Montepulciano e Ciliegino, che ci spezza momentaneamente le gambe. Finisco lo stinco di maiale più per orgoglio che per gola, ma dopo un’ora siamo già freschi come due roselline, da crapuloni professionisti quali siamo. Arriviamo in albergo che sono già le cinque. Da qualche parte là intorno, nel mezzo della desolazione postatomica di Rho, stanno suonando i Ghost.

megadethEntriamo nell’area del festival che i MASTODON sono più o meno a metà set. Grazie ai volumi esagerati, riproduzione fedele di quella loudness war che sta rovinando buona parte dei dischi metal più mainstream, si riesce a seguirli anche mentre si fa la fila per acquistare le magliette del tour, dall’altra parte dell’affollatissima spianata di cemento che ospita il Sonisphere. Stiamo già tutti con la testa ai Maiden e gli prestiamo orecchio più per educazione che per reale interesse. Va detto che gli americani, in quanto a tenuta live, hanno fatto progressi straordinari rispetto alla prima volta che li vidi, nel 2007, epoca Blood Mountain. Precisi, compatti, oliati. Chiudono con Curl Of The Burl e Blood And Thunder. In un altro contesto starei sotto il palco. Oggi, però, sono venuto per ascoltare il gruppo che vent’anni fa cambiò la mia vita per sempre, quindi non me ne vogliano i quattro di Atlanta se durante la loro esibizione guardavo l’orologio.

Conoscendo la suscettibilità di Dave Mustaine, suppongo che dopo il concerto abbia aggredito il fonico. Non che i MEGADETH suonino male. I volumi sballati hanno però mandato a puttane mezzo show. Chitarre troppo alte nel mix, sbalzi improvvisi, un pastone non sempre intelligibile. Si inizia con Trust e Hangar 18, come da copione. La band sa benissimo che oggi il pubblico non è lì per loro e tiene, di conseguenza, un profilo basso. Da Super Collider vengono estratte solo Kingmaker e la title-track, della quale intono il ritornello senza la minima vergogna. Per il resto, la scaletta è sempre più o meno quella, con Countdown To Extinction che fa la parte del leone, in onore del suo ventennale. C’è pure lo spazio per un duetto con Cristina Scabbia su A Tout Le Monde, che quando uscì su United Abominations sembrò la prova definitiva che i Megadeth avevano toccato il nadir ma dal vivo, in qualche modo, funziona. Timbrano il cartellino con dignità da comprimari ma sembrano un po’ svogliati, tanto da tagliare inspiegabilmente il finale di Holy Wars. Mustaine non riesce a finire di salutare il pubblico che, poveretto, già partono le grida. MAI-DEN! MAI-DEN!

iron_maiden_sonisphere_2013_aGli IRON MAIDEN si amano come si ama la mamma, in maniera acritica e incondizionata. Non li vedevo dai tempi di A Matter Of Life And Death. Prolisso e noiosetto, il peggior disco dal ritorno di Dickinson, almeno per me. Quella sera del 2007 all’Olimpico lo suonarono per metà. Ma quando la mamma ti attacca un pippone tu la ascolti e continui a sorridere anche se quello che ti sta dicendo non ti interessa poi molto. Oggi invece è Natale, quando torni a casa dopo tanto tempo e lei ti ha cucinato tutti i tuoi piatti preferiti. Insomma, la sapete la scaletta di questo tour, no? Seven deadly sins, seven ways to win, seven holy paths to hell and your trip begins… Impazziamo all’unisono. Sparano i primi quattro brani di fila, senza pause. Moonchild, Can I Play With Madness?, The Prisoner, Two Minutes To Midnight. Non riusciamo ancora a renderci conto di cosa stia accadendo che Bruce presenta il quinto. This song is about a soldier… Cristo santissimo. Afraid To Shoot Strangers. Fear Of The Dark è il primo disco degli Iron Maiden che quelli della mia generazione abbiano visto uscire e sia io che Charles possiamo asserire di essere venuti fin qui soprattutto per ascoltare questa canzone dal vivo. Non c’è il tempo di riprendere fiato. Una madeleine dietro l’altra. Dai classici obbligatori come The Trooper e Run To The Hills agli esaltanti recuperi di Phantom Of The Opera e Wasted Years, durante la quale piango come un vitello. Sulla prestazione della band non so sinceramente cosa potrei scrivere. Si sa come sono gli Irons sul palco. Immensi. Bruce Dickinson a 54 anni non perde una nota e salta da un lato all’altro del palco come un indemoniato. Come diavolo fa. E chi l’avrebbe mai detto che un giorno avremmo riascoltato Seventh Son Of A Seventh Son e The Clairvoyant live. Per rivedere la propria vita passare davanti agli occhi non c’è bisogno di aspettare la morte, bastava essere qui questa sera. La pausa di prammatica. Si riaccendono le luci. Il discorso di Churchill. Il delirio. Perché sappiamo che sta per arrivare Aces High. Su The Evil That Man Do salta fuori il pupazzone di Eddie della copertina di Seventh Son, l’unica concessione scenografica a una serata piuttosto sobria da quel punto di vista. Sull’ultimo pezzo penso a quanto il me stesso quindicenne sarebbe fiero del me stesso attuale. Quattro lustri dopo la prima cassettina di The Number Of The Beast, sto nella bolgia a cantare Running Free, ancora una volta parte di quel magico rituale che, per una notte, trasforma migliaia di sconosciuti di ogni età, estrazione e provenienza in una cosa sola, un cuore solo, una voce sola: MAI-DEN! MAI-DEN! (Ciccio Russo)

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Quanti saremo stati? Diecimila?, mi fa Ciccio un paio d’ore dopo il concerto, Mah, per la Questura un migliaio ma io credo almeno ventimila…

Non lo so quanti fossimo ma c’era davvero un sacco di gente. Avrete presente la sensazione di sentirsi in un ventre di vacca quando si è solo a metà del piazzale, che davanti a voi c’è il delirio e dietro la folla che si estende a perdita d’occhio. Potenzialmente una situazione pericolosissima, circondato da esaltati e ubriachi, nei fatti invece non vorresti essere da nessuna altra parte. Semmai un pochetto più avanti, ma è proprio impossibile, allora resti fermo al tuo posto e stai buonino. Uno ti schiaccia un piede, l’altro ti rovescia qualcosa addosso. Un sorriso, un abbraccio, pace e amore. Nessuno sgomita, nessuno impreca. Magari sei circondato proprio da quelle stesse orribili persone guidate dall’orgoglio e dall’arrivismo che in ufficio ti fanno dannare ogni santo giorno perché sgomitano a tue spese per il puro gusto di mettertelo in quel posto e imprecano quando non riescono nell’intento. Qui però, guarda caso, stanno tutti buonini al loro posto. Se ti stendi per dormire tutti fanno una maledetta attenzione per evitare di calpestarti. A uno gli ho pestato un dito per sbaglio. Tranquillo, non è niente. Proprio come nella vita reale.

Un signore con la sua borsetta da lavoro, in stazione, si guarda attorno spaesato e mi fa Ma che sta succedendo?, È il concerto degli Iron Maiden!, dico io. E lui, Minchia! Eh, minchia davvero signor tenente. Se sei di Rho e ti stai perdendo il concerto per eccellenza, l’evento dell’anno, quelle 5/6 ore che ricorderai per il resto della tua fottuta vita, è davvero il minimo che tu possa dire. Minchia. Dietro i cancelli della stazione invece tutti sanno benissimo a cosa stanno andando incontro, una fiumana di facce sorridenti, magliette dei Maiden ovunque, la dolcissima scena del padre col figliolo mano nella mano che quando avrò la fortuna di essere padre anche io farò la stessa identica cosa, spero solo che i Maiden siano ancora vivi e vegeti e in forma come oggi. Tutti si avviano pacificamente alla conquista delle prime file. Nel mezzo del casino ti capita di incontrare il tizio che viene ‘dalle tue parti’ con cui hai scambiato due parole una mezz’ora prima a duemila esseri umani di distanza da te. E subito il campanilismo terrone più scontato viene fuori. Nel quotidiano quando vedi due sconosciuti per strada, Uè, paesano e cose del genere, ti viene da sorridere e fai anche un po’ lo snob. Non qui. Uè, paesano.

Magari per i fan di Vasco Rossi (per dirne uno) sarà la stessa cosa. Magari anche loro si sentiranno più tolleranti verso il prossimo durante un suo concerto. O magari anche no, mi verrebbe da pensare. La statistica mi darebbe ragione. Vasco in Italia ha più seguito dei Maiden quindi la probabilità che fra questi vi sia più gente di merda è alta. Magari anche l’altra sera c’era ma quando sei lì ci non pensi, perché quello non è il mondo reale. È il mondo come dovrebbe essere. (Charles)

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