PATHOLOGY – The Time Of Great Purification (Victory)

I Pathology sono diventati un mio pallino da quando li ho scoperti con il devastante Legacy Of The Ancients, loro quarto sigillo, che conteneva assolutamente tutto quello che desideravo da un disco brutal death. La band capeggiata da Dave Astor, ex batterista dei Cattle Decapitation, pur suonando tutt’altro che datata, riusciva a evitare eccessi di truculenza fini a se stessi alla Devourment (ovvero, quella roba che oltreoceano, chissà perché, hanno preso da un po’ a chiamare slam) grazie a ritmiche dal groove assassino e a una capacità di scrivere canzoni – perché, c’è poco da fare, anche quando suoni questo genere devi saper scrivere canzoni, altrimenti è solo una gara a chi piscia più lontano – che rimandavano alla feroce maestria di vecchie leggende come i Monstrosity. Il successivo Awaken To Suffering mi era piaciuto ma non era per nulla all’altezza del suo predecessore. Non c’era più il gorgoglio disumano di quello scarico fognario ambulante che era Matti Way, prelevato dagli allora disciolti, e da poco riformati, Disgorge, e con l’aggiunta di una seconda chitarra il sound della formazione di San Diego era diventato troppo pulito, ricercato e à la page per i miei putridi gusti. Due criticità che vengono superate alla grandissima in questo The Time Of Great Purification, un titolo che sembra quasi voler sottolineare il riavvicinamento dei californiani a una formula più autentica e de panza. Il ritorno a una formazione a quattro ha spinto nuovamente i Pathology in territori più diretti e claustrofobici, al netto di assoli dall’eccellente gusto melodico che spezzano adeguatamente la tensione di una carneficina senza quartiere dove tecnica e violenza si esaltano a vicenda invece di fare a cazzotti. Il giovine Jonathan Huber è poi migliorato in modo esponenziale, con un gurgling grasso e cupissimo che rende ancora più oppressive e cruente le tredici trivellazioni auricolari, mai superiori ai tre minuti, che compongono un album che entra di diritto nella lista della spesa di tutti coloro che vedono negli obitori la loro terra promessa. Mo’ la sparo grossa: non me ne vogliano i Cannibal Corpse, però non sono più così sicuro che il disco US death metal dell’anno sia Torture. (Ciccio Russo)

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