Salvataggi in calcio d’angolo: SONATA ARCTICA – Clear Cold Beyond

Questo non avevo neanche voglia di sentirlo. Gli ultimi album dei Sonata Arctica erano talmente agghiaccianti da avergli fatto meritare la nomea di peggior gruppo del pianeta, definizione che potrebbe parere esagerata solo a coloro che i suddetti dischi non li hanno mai sentiti. Quindi la notizia del nuovo Sonata Arctica era scivolata immediatamente nel dimenticatoio del cervello, quello che serve soprattutto a mantenere la lucidità mentale e che, tra le altre cose, custodisce il ricordo del passaggio all’Inter di fenomeni parastatali come Alvaro Pereira o Walter Gargano. Poi a un certo punto mi scrive Belardi dicendomi che l’ultimo Sonata Arctica è “davvero carino” e che “vale la pena, è molto in stile anni ‘90, sembra proprio quel power metal lì”. Quindi mi sono messo a sentirlo, inizialmente solo per avere la conferma che facesse schifo e poter avere quindi la giustificazione per insultare il suddetto toscano.

Alla fine però la verità sta nel mezzo. Clear Cold Beyond di sicuro non fa schifo ai cani morti come i suoi immediati predecessori, ma altrettanto di sicuro non lo definirei neanche “davvero carino”. E poi non è neanche vero che “sembra proprio power metal anni ’90”, o quantomeno è vero solo a tratti, ma, d’altro canto, è molto più vicino a quello stile rispetto a quelle zozzerie di Talviyo o The Ninth Hour. Si sente però che c’è stato un tentativo di recupero delle sonorità dei bei vecchi tempi, specie nei primi due pezzi, First in Line e California, che sembrano davvero usciti da Winterheart’s Guild o Reckoning Night. Il disco non è tutto così, e ascoltandolo dall’inizio alla fine si capisce che il miracolo non si è compiuto fino in fondo, ma porca puttana, rispetto alle aspettative qua siamo comunque a livelli stratosferici.

La cosa che mi rassicura di tutto ciò è che evidentemente non ero il solo a detestare la deriva ingiustificabile che avevano preso i Sonata Arctica nell’ultima quindicina d’anni. Clear Cold Beyond, tutto considerato, sembra un chiaro tentativo di ritorno allo stile antico, quello bello, quello che metteva d’accordo tutti, finalmente buttando nel cesso tutta la prosopopea zuccherosa del nuovo corso. Tony Kakko, personalità strabordante, orgogliosa e testarda, dovrà aver ingoiato qualche grosso rospo per acconsentire a un ritorno alle radici, seppur parziale. Sono sicuro che, interpellato al riguardo, lui avrà giustificato la cosa dicendo che tutto viene da un’esigenza personale che ha sentito lui in prima persona, però, guardacaso, un disco del genere è esattamente quello che i fan gli scongiuravano di scrivere da fin troppo tempo. Meglio così. Sono dell’idea che un gruppo con più di 25 anni di carriera alle spalle deve avere innanzitutto coscienza di sé, di ciò che gli viene meglio fare (o meglio di ciò che può e non può fare) e agire di conseguenza. È un insegnamento che il più recente corso dei loro antichi maestri Stratovarius, del resto, incarna alla perfezione.

Alla fine quindi Clear Cold Beyond si lascia sentire abbastanza tranquillamente, anche finita la sorpresa. I pezzi migliori rimangono di gran lunga i succitati primi due, messi lì in vetrina giusto per far capire l’aria che tira. C’è anche molta fuffa, parecchia roba non particolarmente a fuoco e persino momenti incomprensibili: ad esempio Dark Empath scivola a tratti nel symphonic metal di marca Nightwish, con quei coretti ah-ah-ah, ma per fortuna non troppo. Comunque nessuno pretende che un disco dei Sonata Arctica del 2024 si ascolti dall’inizio alla fine, quindi non ci formalizziamo troppo. Già la successiva Cure for Everything rimette le cose sui giusti binari, con l’up tempo veloce e il doppio pedale ad elicottero come ai bei tempi. In ogni caso, in un’ipotetica classifica dei dischi dei Sonata Arctica lo metterei dopo Unia, o al pari di quest’ultimo, il che mi pare un risultato eccellente, viste le premesse. Un po’ il discorso che si fece anche con l’ultimo Blind Guardian, mutatis mutandis.

Oltre a quanto detto, Clear Cold Beyond gode anche di uno dei pochissimi elementi positivi degli ultimi Sonata Arctica, e cioè la voce di Tony Kakko, che ogni anno diventa sempre più piena, personale e consapevole, tanto che l’unico modo per migliorare Ecliptica o Silence sarebbe farli cantare al Tony Kakko di adesso. Per il resto io Belardi l’ho insultato comunque, ché è sempre cosa buona e giusta. (barg)

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