Il senso dei SONATA ARCTICA per il buon gusto

Avevo parlato l’altro giorno di Ecliptica per quello che è, ossia un disco meraviglioso e perfetto che dopo vent’anni ancora ti ritrovi a cantare a memoria dall’inizio alla fine. E poi avevo detto che i Sonata Arctica erano nel frattempo diventati uno dei gruppi peggiori della Terra, cercando di rimandare a qualche articolo in cui esprimessi bene il concetto; purtroppo però c’era solo la recensione di Stones Grow Her Name, e lì purtroppo ci ero andato fin troppo leggero. Dunque ecco a cosa serve questo articolo: la prossima volta che dovrò linkare qualcosa per spiegare che razza di cumulo di guano siano diventati i Sonata Arctica, rimanderò a questo. Utile, no?

Che poi potrei fare ancora meglio e scrivere direttamente un pezzo sul rifacimento del suddetto Ecliptica, rifacimento uscito cinque anni fa e la cui sola esistenza in un mondo perfetto dovrebbe portare all’immediata esecuzione fisica dei musicisti tramite squartamento con cavalli. Chissà che un giorno non lo farò davvero (dico la recensione, purtroppo non lo squartamento con cavalli); intanto però cerchiamo di rimediare parlando di questo Talviyö, ennesimo atto terroristico nei confronti del buon gusto compiuto da Tony Kakko, ormai totalmente incapace di scrivere una singola melodia che non faccia venire voglia di strapparsi gli occhi e darli da mangiare ai cani. I Sonata Arctica degli ultimi dieci anni sono una roba talmente cacofonica e insensata che il suo stesso senso di esistere è incomprensibile. Li ascolti e dici “Ma perché hanno registrato sta melodia? Sto coro? Ste tastiere? Perché ora fanno così? Perché questo stacco? Perché ora c’è questa cosa?” e così via. È incomprensibile come possa qualcuno farsi piacere sta roba, ma soprattutto è incomprensibile come possa piacere agli stessi suoi autori. Ti viene voglia di pensare che in realtà Kakko ci stia prendendo tutti in giro e che provi un divertimento sadico nel produrre merda e farla ingoiare alla gente.

Tony Kakko imita l’espressione di dolore che avranno gli ascoltatori del disco

Può essere effettivamente così: magari Kakko è ricchissimo e ha un gruppo musicale solo per passatempo. Sapete come sono i ricchi, no? Uno si mette ad allevare coccodrilli, un altro fa collezioni di ossa di dinosauro, un altro ancora si butta in qualche sport estremo improponibile, eccetera. Kakko magari vive in una magione principesca affacciata su un lago finlandese (di sua proprietà), e come molte persone estremamente agiate è tormentato dalla noia, dal senso di colpa e dal vuoto valoriale. Quindi diventa sadico, un po’ fuori di brocca (il che spiegherebbe molte cose del processo compositivo), con tantissimo tempo da buttare e soprattutto con tantissimi soldi per farlo. Me lo immagino che ride sguaiatamente mentre si affanna a comporre la musica più fastidiosa, disgustosa e concettualmente sbagliata di sempre. Me lo figuro su una poltrona del suo smisurato salone, attorniato dai polverosi tomi da cui apprende le tecniche dimenticate per evocare gli orridi demoni blasfemi del cattivo gusto, mentre socchiude gli occhi fremente, pregustando il momento in cui migliaia di persone in tutto il mondo si sottoporranno alla tortura che lui sta così coscienziosamente preparando. E mi immagino i suoi compagni di gruppo come disperate larve svuotate dell’essenza vitale, segregati in un’umida cantina e nutriti ad acqua del lago stagnante e teste di pesce, costretti a imparare quei pezzi e a risuonarli dal vivo perché Tony Kakko custodisce le loro anime imprigionate in vasetti di terracotta sigillati grazie a inumane invocazioni risalenti ad eoni dimenticati.

Ph’nglui mglw’nafh Cthulhu R’lyeh wgah’nagl fhtagn

Oppure non è vero niente e semplicemente i Sonata Arctica sono l’ennesimo gruppo della merda che, per qualche motivo, alla gente piace abbastanza perché la casa discografica li faccia uscire con due video ufficiali a disco. Hanno sempre avuto un’atmosfera zuccherosa e vagamente natalizia, ma sulle prime era una sfumatura peraltro tipicamente finlandese e di sicuro non così ossessivamente presente; ora in certi momenti sembra di stare a sentire un disco di canzoncine di Natale, però uno di quelli napoletani con le cover fatte dai nipoti dei camorristi che compri alle bancarelle delle feste patronali a 5 euro. Un po’ quello e un po’ una versione sfigata del già sfigatissimo Phil Collins, quello peggiore, quello degli anni Ottanta con quelle canzoncine agghiaccianti da sbattere violentemente la faccia contro uno spigolo vivo per sottrarsi all’ascolto. E certe volte ricorda un po’ pure una sottospecie trista dell’AOR che mettevano a Miami Vice quando lui andava al tramonto sulla spiaggia a guardare il mare con sguardo intenso e riflessivo. Non c’è neanche troppo gusto ad insultarli perché sono incomprensibili: non si capisce sul serio come possa esistere una roba del genere. Max Cavalera dà molto più gusto quando lo insulti; i Sonata Arctica no. Ti cadono solo le braccia e ti passa la voglia di vivere. Poi però se un giorno dovessi davvero mettermi a parlare del rifacimento di Ecliptica sì che mi verrebbero fuori gli insulti veri. Per ora solo pessimismo e fastidio. (barg)

PS: peraltro mi sono ricordato solo dopo che già c’era un pezzo in cui parlavo davvero malissimo dei Sonata Arctica, ed era la recensione di Pariah’s Child, che la mia mente aveva comprensibilmente rimosso. Anche a rileggerla non ricordo assolutamente nulla né del disco né del momento in cui l’ho scritta. Comunque vabbè, il concetto ormai penso sia chiaro.

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