ROMAOBSCURA @Traffic, Roma 05.05.2013

romaobscuraArriviamo al Traffic con un leggerissimo ritardo e gli Shores Of Null, gruppo romano che unisce riferimenti death, doom e prog, stanno consumando le loro ultime note. Un po’ me ne dispiaccio perché ero curioso ma è tutta colpa di Ciccio che ha voluto mangiarsi una cosa prima ‘perché dopo ci viene fame e non troviamo un cazzo di commestibile lì intorno’. In fin dei conti c’è correità da parte mia perché pure io avevo fame e certe cose non me le faccio ripetere due volte. Non ce ne vorranno anche i Blind Horizon (che chi è di Roma conosce per forza), gli Apathia e i Vidharr, che sono pure loro di Roma e – gli ultimi due – fanno black metal. Ma noi eravamo venuti principalmente per i Negură Bunget. Scambiamo due parole con un simpatico ecuadoregno che ci racconta in un ottimo italiano, che se io parlassi spagnolo allo stesso modo me ne andrei subito in Ecuador, che i gruppi sentiti fino a quel momento erano stati fichi e gli crediamo sulla parola. Insomma, mollato il simpatico amico, ci presentiamo al banchetto dei cd e il mio sodale si compra subito OM dei succitati Negură e io gli faccio notare che se lo dovrà tenere in mano per tutta la durata del festival perché non aveva le tasche. Poi, non contento, il mio compare si carica pure di un giornaletto raccattato li intorno, di una birra e si accende una sigaretta. La dea Kali glie fa ‘na pippa. Io invece, che sono più furbo di lui, me ne comprerò due di cd dei Negură ma solo alla fine del concerto e riuscirò pure a trattare sul prezzo. Intanto perché coi rumeni devi trattare per forza sennò si offendono e poi perché la custodia era rotta. Al banchetto c’era la cantante dei Din Brad che al momento non avevamo presente ma che di lì a poco ‘prenderà cappello’ e si metterà alla conduzione del successivo show. A conferma della mie parole, vi dico pure che Ciccio non solo non ha trattato sul prezzo ma ha anche osato ringraziarla nella sua lingua madre, che lui mastica come un chewingum, e lei lo ha guardato malissimo. Probabilmente le avrà mosso qualche offesa gravissima alla santa trinità della Bucovina che lei non ha particolarmente apprezzato oppure l’avrà invitata a un college foam party senza saperlo. Intanto ho rosicato perché mi sono dovuto accontentare di una versione digipack di Vîrstele Pămîntului che speravo di trovare in edizione limitata, quella confezionata in una scatola di legno con dentro la terra delle loro parti (giuro).

I Din Brad sono il progetto neofolk di Negru il cui esordio, Dor, dell’anno passato, non mi aveva per nulla esaltato. Ma sai, c’è Negru e quindi te lo devi per forza far piacere. Ma niente, purtroppo anche dal vivo sento che manca qualcosa, il suono è pulito e perfetto come solo il Traffic ci ha abituato ormai da tempo ma è proprio nei pezzi proposti che sembra manchi qualcosa, come se, nel perseguire il tentativo di togliere totalmente la parte metal dei Negură per dar maggior risalto alle parti folkloristiche, Negru avesse sfrondato con l’accetta un po’ troppo. Quindi è come se i pezzi risultassero scarni. Che poi comunque il senso della musica dei Din Brad risiede proprio in questa estrema semplicità di espressione, che è il loro modo di rappresentare la vicinanza con la natura. Il nome del gruppo in italiano è l’abete, l’albero a cui ogni neonato nella loro tradizione viene simbolicamente affidato e del quale sarà compagno per tutta la vita. Le tradizioni romene sarebbero da studiare con attenzione perché poi scopri cose bellissime come questa. Ho letto che quando uno muore lontano da casa al suo posto viene sepolto un abete proprio per simboleggiare la fortissima connessione con la natura. Tipo Avatar. Ma noi non ci abbattiamo e ci facciamo condurre dalla inquietante voce della strega dei Din Brad, così meschinamente ribattezzata, verso il bancone del bar perché le molteplici mani del mio compare cominciavano a svuotarsi di tutte le cose inutili che aveva raccattato fino ad allora. Comunque un momento degno di menzione di questa performance appena terminata è stato quando il pantagruelico Negru si alza da dietro il suo Trono di Pelli (sequel del Trono di Spade) e si appropinqua a uno strumento di legno mai visto prima su cui comincia a battere freneticamente con due martelletti anch’essi di legno. In pratica è una lunga asse sospesa che fa il rumore del legno che batte sul legno. Semplice e geniale se ci pensate. Era tutto intarsiato e nella parte superiore c’erano due lupi che si fronteggiavano, tanto che la cosa mi ha ricordato il serpente uroboro. Negru ha poi suonato anche il Dulcimer, tipo quelli che si vedono nella metro B ogni tanto, per intenderci.

rumeniCi accomodiamo fuori per pochi minuti ripromettendoci di rientrare subito anche se al Traffic adesso hanno messo delle tavole di legno fuori e sono aumentati i posti a sedere quindi non ti viene più di alzarti. Col timore che arrivasse Negru a far risuonare pure quei legni di fuori, rientriamo che i The Foreshadowing stanno per iniziare e lo senti dal rombo potente della batteria di Giuseppe Orlando dei Novembre (credo fosse lui). I romani suonano benissimo ma fanno un genere che tendo ad ascoltare sempre meno, essendo legato ad un preciso periodo della mia vita. Quindi non sono la mia tazza di tè, come usiamo spesso dire da queste parti. Però è palese che il pubblico intorno apprezza molto e c’è anche gente che si canta i testi a memoria. Poi al mixer intravedo Christian Ice che è uno serio. Lo incontreremo poco dopo fuori alla fine della performance dei The Foreshadowing e scambiamo pure due chiacchiere con Sonya Scarlet che era venuta principalmente per loro. Ma è arrivato il momento tanto atteso e nemmeno le comode sedie del Traffic ci impediscono di perderci anche una sola nota dei Negură Bunget. Sua maestade Negru si assedia nuovamente sul Trono di Pelli e comincia la sfuriata. È inutile che ve la stia a menare ancora a lungo, tanto avete capito quanto ci stiamo di sotto coi rumeni ma mi sento di comunicarvi che il vero personaggio della serata è stato lo stranitissimo polistrumentista Petrică Ionuţescu il quale ci sbatte in faccia tutta la sua perizia e abilità nel passare dalle tastiere, al flauto di Pan, al Kaval (un altro flauto più lungo) per finire col Bucium!

20130505_232718Probabilmente trattavasi del Tulnic, che è una cosa simile, ma comunque, caro Petrică, su una cosa non ci piove, ce l’hai più lungo tu. Due parole ancora sull’attitudine con l’A maiuscola di questa gente che se ne va in giro per l’Europa portandosi dietro una tavola di legno massello che peserà un quintale e un trombone lungo quasi tre metri. Poi ti faceva pure tenerezza il povero Petrică che cercava di barcamenarsi in mezzo a tutta ‘sta legnaia e che non sapeva dove piazzare la roba per non intralciare gli altri o non ferire qualche fan in prima linea. Ora, vorrei ribadire che noi come redazione siamo e saremo, per questioni etiche e morali, sempre dalla parte dei Dordeduh, che poi scoprimmo proprio su queste pagine in tempi non sospetti prima che se ne uscissero con quel discone che fu Dar de Duh. Dovuta la premessa (chi è interessato a rinfrescarsi la memoria sulla diatriba tra Negru, Hupogrammos e Sol Faur venga qui), bisogna dire che non ci aspettavamo dei Negură così massicci e convincenti. E vi dirò pure che il secondo corso dei Negură lo preferisco al primo. Punto e accapo e passiamo agli headliner, gli October Tide, che sono più famosi per il fatto che dentro ci sono passati mezzi Katatonia ma che oggi come oggi non mi danno grandi emozioni. Sarà che se ne sono andati via il cantante e il bassista precedenti per dedicarsi a tempo pieno agli In Mourning (che hanno fatto un discone con i contro). A Ciccio l’ultimo disco degli svedesi è piaciuto, a me ha fatto due palle ma devo ammettere che dal vivo si sono presentati più che bene. Tra uno sbadiglio e l’altro (perdonerete ma la missione era già compiuta), il cantante Alexander Högbom se ne esce con una frase che gli fa guadagnare mille punti su una scala da uno a mille. Visto che ai suoi occhi, abituati probabilmente a suonare di fronte a soggetti depressi del nord Europa, sembrava strano che la gente si stesse divertendo di brutto e che tutti ridessero per aver passato una sì lieta serata lui fa: Are you happy? Because I’m trying to make you sad! Grandissimo, stima profonda. (Charles)

Non c’entrano nulla, anzi no, ci entrano eccome:

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