Doppia recensione: VOIVOD – Target Earth (Century Media)
Stefano Greco: Sono già alcuni anni che il mondo ci ha restituito i VOIVOD come magnifica entità live, una serie di show commoventi hanno reso finalmente reale uno dei nostri sogni di imberbi metallari. Che la magia di quei concerti potesse però avere una degna appendice in un nuovo lavoro in studio era (per ragioni fin troppo ovvie) tutto da verificare.
Archiviato Forrest, archiviato Newsted, la creatura proveniente dall’iperspazio è riuscita ad archiviare anche Piggy. In senso buono ovviamente, mi spiego meglio: la sua assenza è probabilmente la componente più essenziale di Target Earth. Non c’è più nulla di lasciato appeso, nessun riff lasciato in eredità da dover riutilizzare; la band per la prima volta si ritrova in studio senza il proprio mastermind, e, avendo tutto da dimostrare, dimostra tutto. Andando a rispolverare un’espressione della più vetusta critica musicale anni ottanta, possiamo dire di trovarci di fronte ad un album 100% Voivod: melodie stranianti, l’onnipresente basso assassino di Blacky, le sfuriate thrashy old school e l’occasionale chorus di scuola HC. Siamo di fronte alla più insperata e irreale delle resurrezioni, un disco stracarico di idee, non un filler che sia uno in quasi un’ora di musica. Lineare negli intenti, complesso nella struttura, Target Earth è il metallo famolo strano come ci si aspetta dai Voivod. Disco favoloso, senza se e senza ma, chi vi racconta il contrario è un coglione o è in malafede: andate e prendetene tutti.
Ciccio Russo: Che Target Earth sarebbe stato bello lo si era già intuito dai pezzi anticipati nei mesi scorsi, che avevano dissipato in fretta le nostre angosce . Che però i canadesi sarebbero riusciti, senza più alcun contributo – nemmeno post mortem – di Piggy, loro cuore e cervello, a tirare fuori un disco clamoroso, il migliore almeno dai tempi di Phobos (accostamento bizzarro, dato che di quella formazione è oggi presente solo Away), se non di The Outer Limits, andava al di là delle fantasie dei fan più esagitati, prova definitiva, se qualcuno ne avesse avvertito ancora la necessità, che i Voivod di un altro pianeta lo sono sul serio.
Ad aver reso possibile questo miracolo è stato il sangue fresco apportato dal ritorno dello storico bassista Blacky, nuovo motore della band sia sul palco che in studio, e dall’arrivo di Daniel “Chewy” Mongrain, chiamato a sostituire quello che in vita fu il suo maestro e mentore. Sono stati loro due a scrivere quasi tutto, ed è per questo che Target Earth riesce a suonare così classico e così moderno allo stesso tempo. Da questo punto di vista, i paragoni con Nothingface sollevati da più parti non sono peregrini. Fu dopo quell’album che Blacky abbandonò l’astronave, quindi è naturale che il discorso riparta anche da lì. E fu quell’album la sintesi più compiuta del suono dei Voivod, come lo è oggi Target Earth, che ne esalta le diverse anime, da quelle più progressive e psichedeliche (la paranoia distopica di Warchaic) a quelle più aggressive e sferraglianti (la potenza d’assalto di Kluskap O’kom), conservando tuttavia una coerenza interna impressionante. Se siamo distanti anni luce sia dal ripiegamento verso sonorità più accessibili e hard rock degli anni con l’alieno Jason Newsted che dalla mera autocelebrazione è però grazie a Chewy, che non copia lo stile del suo predecessore ma lo reinterpreta e lo aggiorna, forte di un’impronta e di una tecnica personali, maturate nella lunga avventura con gli atipici techno-deathster Martyr e nelle più fugaci esperienze con gente come Cryptopsy e Gorguts.
Potrei continuare a tediarvi per ore, sezionando ogni accordo dissonante e ogni repentino cambio di tempo di queste dieci splendide canzoni, ma l’unico modo di rendere vera giustizia alla grandezza di Target Earth è chiudere il becco e spalancare le orecchie. Ascoltarlo, assorbirlo e amarlo come merita l’immane prova di forza di una band che continua a essere superiore a pressoché chiunque con l’umile naturalezza dei veri giganti. Già disco dell’anno, per quanto mi riguarda.
la cosa del disco dell’anno la volevo scrivere pure io. mi sembrava giusto un po’ prematuro, ma non mi stupirei se andasse a finire cosi’
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Quando ci sono di mezzo i Voivod bisogna rivendicare la propria faziosità con fierezza
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siamo stati fin troppo oggettivi
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Lo sto ascoltando in questi giorni, condivido il vostro giudizio; questi sono veramente alieni!
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che palle non fatemi venire voglia di ascoltare qualcosa in streaming!questo è un disco che comprerò senza aver ascoltato manco mezza nota e con cui godrò
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“Commovente” è la parola giusta.Daniel “Chewy” Mongrain è atterrato da un altro pianeta e ce l’ha mandato Piggy
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ma che matti siete.mi avete messo addosso una voglia incredibile di ascoltarlo.ma tipo che ha anche i suoni STRANI e SPAVENTOSI di phobos?
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Come paragone in teoria sarebbe un po’ sballato perché qua non ci sono né Forrest né Piggy, ma certe atmosfere mi hanno ricordato quel disco, anche solo per la rilettura in chiave più moderna del Voivod sound classico…
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Di un altro pianeta, di un’altra classe e di un’altra generazione proprio. Ci manca solo che tornino pure i Coroner e gli Anacrusis e poi si che possono morire felice.
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coroner visti dal vivo e sono allucinanti. tommy è uno dei chitarristi più sottovalutati del globo,ma purtroppo ron ha troppi soffitti da imbiancare
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