FLESHGOD APOCALYPSE – Mafia (Willowtip/Hammerheart)

I Corleonesi nunn’ hanno bisogno ru stato! Ave trent’anni che mettiamo le leggi senza  bisogno di scriverle e siamo noi che le facciamo rispettare siamo noi che decidiamo qua va a crepare e qua va a vivere, qua va a pigliare gli appalti e chu resta morto de fame, chi se ne deve andare a Roma e chu resta cu u’ culo pe’ terra hann’a trattare cu’ mia, Binno! Qui lo stato sono io!


Tutto quello che si dice di buono, in particolare all’estero, sui Fleshgod Apocalypse è fottutamente vero. Dopo Oracles, l’esordio sulla lunga distanza uscito un paio di anni fa, questo gruppo, nato da una costola degli ottimi brutal deathster capitolini Hour Of Penance (sulla ribalta l’anno scorso con il pregevolissimo Paradogma), è tornato da poco a far parlare di sé con un Ep di cinque tracce che è in assoluto tra le più belle sorprese regalateci di recente dal panorama estremo del nostro disgraziato paese. Lasciando perdere buonismi e partigianerie (tra i principali fattori che hanno impedito alla nostra scena di maturare), di solito non è un complimento quando si scrive di una band che “si sente che è italiana“. In questo caso, invece, mi piace pensare che la maniera personalissima attraverso cui il quintetto umbro-laziale è riuscito a rileggere un genere per sua natura standardizzato come il brutal death (tanto più se declinato in quella forma ipertecnica che tanti seguaci sta raccogliendo da entrambi i lati dell’Atlantico) sia frutto di una precisa sensibilità culturale. Gli archi che irrompono per pochi secondi nel terremotante attacco di Thru Our Scars hanno un sapore morriconiano, come le avvolgenti tastiere della strumentale title-track. Così come mi piace pensare che suonino italiane la cupa epicità degli stacchi con voce pulita della successiva Abyssal (impreziosita da un ritornello splendidamente anthemico e da un raggelante sample tratto, credo, dalla fiction Il Capo dei Capi), dove le chitarre sfoderano una vena melodica che richiama i migliori Death, o le strutture complesse e quasi barocche (perché barocco vuol dire movimento) di Conspiracy Of Silence. Pleonastica, perché nulla aggiunge e nulla toglie a questa piccola gemma, la cover di Blinded By Fear, che appare però piuttosto coerente con il concept lirico, all’insegna di un impegno civile non comune in una band di questo genere. Già, perché, come avrete già capito, la piovra in copertina è quella piovra. Attendo con ansia il secondo full-lenght. (Ciccio Russo)