Gente che si fa le foto con gli spadoni e le semiautomatiche: THE VIRGOS – Lord Have Mercy

Siamo tutti gente cresciuta, i ragazzini non so nemmeno se le leggono le recensioni, oggigiorno. Siamo gente cresciuta e sappiamo che anche se uno di primo acchito non ti sembra qualcuno da prendere sul serio, magari è proprio il caso di farlo. Perché gente che si prende sul serio ce n’è fin troppa, in giro. Sostanza meno. C’è poi sempre qualcuno che sfida i codici estetici, anzi, oggi avviene spesso. Copertine black metal con rose e romanticismo, foto delle vacanze, se ne vedono delle belle. Sarà che aderendo ai canoni di un certo stile come migliaia di altre band non spicchi. O che forse è solo il caso di toglierci un po’ quella scopa nel culo e prenderla serenamente, ‘sta cosa del Metallo.

Comunque: mi arriva l’altro giorno un reel della Season of Mist, ci sono tre buzzurri conciati come guerrieri da film sword & sorcery anni ’80. Due buzzurri e una donzella, in realtà, non tanto gentile, forse, perché coperta d’acciaio e perché suona un bassaccio Jackson appuntito. Il video è una buffonata, al confronto Call of the Wintermoon è l’Excalibur di Boorman. Se non mi credete, è in fondo all’articolo. Vedetelo e ascoltate anche, perché la canzone, intitolata Yes, invece è un gioiello. Parte con assalti, contrassalti e cambi di tempo contrastanti alla Celtic Frost (e già siamo tutt’orecchi). Sulla strofa si gira in tondo con urla e riff sludge. La cui formula, ricordiamolo, è DOOM + HARDCORE in parti equivalenti, poi sta tutto alla mano del cuoco. Il ritornello sboccia melodico e liberatorio, grunge ma con una venatura soul/r’n’b (!!!) alla…. Terence Trent d’Arby, se volete, o se preferite alla William Duvall. Io sarei già anche abbastanza convinto di aver trovato il mio nuovo guilty pleasure, solo che poi il brano sfocia pure in una coda gotico-romantica come l’avrebbero intesa Peter Steele & Co e io, mi capirete, sono ormai praticamente già un fan terminale.

Gli artefici di questo piccolo ben di dio si fanno chiamare The Virgos. “La band più heavy della Pennsylvania”, ci fanno sapere sul loro Bandcamp. Una pagina su Metal Archives non ce l’hanno manco. Io, per informarmi un po’, mi sono spulciato il profilo Instagram della band. Gente che posta foto di gatti ed Lp dei Byrds. Gente che si fa le foto con armi semiautomatiche, nelle rimesse dei trattori, vicino al braccio di un escavatore. America profonda, più profonda di quanto noi qua riusciremmo a concepire. L’America che ama i Kiss, i Misfits, Danzig e Prince e che quindi un po’ di sceneggiata, dai, deve farla. L’America che forse non potremmo mai capire da “quaggiù”, dall’Europa decadente/decaduta. Ma che come si fa a non amarla. Insomma, i The Virgos sono una band americana vera, da garage, da concerti nelle palestre, una band piccola piccola, la creazione prevalentemente del suo cantante e chitarrista, tale Andy Saba, che questo disco qua, Lord Have Mercy, se l’è autoprodotto e l’ha fatto uscire ad agosto. Ora arriva la Season of Mist a rilevarlo e trascinarlo di fronte ad un pubblico più ampio di quello dei rovistatori compulsivi di Bandcamp (tipo me, che non l’avevo mica incontrato prima, nonostante certe robe da disagio americano di provincia me le vado pure a cercare).

Se si scomoda un’etichetta di un certo peso la sostanza ci sarà. Già. L’album parte con una ouverture grandiosa tra Sleep e The Sword, soprattutto i secondi, per la vena sword & sorcery delle loro melodie epiche. E che gruppo grandioso che erano i The Sword. Il primo pezzo, Her Majesty, è una mazzata alla Crowbar in vena di rock’n’roll. Cazzona, ma non una barzelletta tipo Red Fang (che ridere). Nel passo successivo, World Ain’t Dead, a Kirk Windstein viene la voglia di coinvolgere pure Pepper Keenan e i Kylesa. Brano gagliardo, chiuso forse un po’ così. Poi arriva Yes e dopo Yes un altro atto di amore per i Type O Negative ancora più grande, Iron Gauntlet / Velvet Glove. Sono otto minuti e anche qui oltre a Steele c’è di più. Una vena melodica post/grunge, post/nu metal, commerciale, se volete. E così il resto del disco, anche se non cambia del tutto sonorità, non resta sulla durezza della prima parte, si cita un sacco di altra roba che ci piace, ma in brani brevi, quasi bozze, sempre meno pesanti, rock da radio (bel rock da radio), fino a una coda shoegaze che dici, ma come, che c’azzecca?

C’azzecca poco e niente e i The Virgos a tratti entusiasmano per le mazzate, a tratti semplicemente hanno voglia di cantare una buona melodia. Dura poco, Lord Have Mercy, abbondantemente sotto i quaranta minuti. Non si capisce esattamente di fronte a che band si sia di fronte. Doom, sludge, gothic, grunge, soul (???). Chissà a cosa porterà questo po’ di esposizione che la Season of Mist gli offre, magari escono dalla Pennsylvania. Magari prendono una strada e si mettono a fare le cose seriamente. Oppure restano anarchici e autarchici, son quel che sono  e suono quello che voglio. Che male ci sarebbe. Anche questo disco finisce con degli hallelujah che col metallo c’entrerebbero poco e che mi sa che a qualcuno potrebbero far storcere il naso. Però non sono gli Agriculture, ecco, è importante precisarlo. (Lorenzo Centini)

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