Gene Hoglan e mogliettina ci presentano il primo inedito dei DARK ANGEL in 34 anni

Molto spesso finisco a farmi una birra con un amico di vecchia data, epoca biennio delle superiori. Nel frattempo è diventato tecnico di palco, tecnico delle luci o non ricordo di che cosa di preciso: sebbene la sua immortale passione per il death metal tecnico sia in parte tramontata, e sebbene di tanto in tanto si metta a sproloquiare di terminologie che non vorrei mai e poi mai sentire da un amico cui voglio sinceramente bene, tipo world music, o bossa nova, al momento di salutarci, per anni consecutivi, uno ha sempre domandato all’altro: ma del nuovo dei Dark Angel si sa niente? E non si sapeva effettivamente niente.

Poi se sono capitate di tutti i colori. Ron Rinehart si è spaccato tutto e il progetto è finito nel dimenticatoio per quasi un decennio. Alla ripresa dei discorsi, Jim Durkin è morto. Lui in Time Does Not Heal neanche c’era, ma nei piani della reunion eccome, se c’era.

È successo, ricapitolando, anche che Don Doty annunciasse in totale libertà la reunion dei Dark Angel, dando forse per scontato che Ron Rinehart fosse ancora alle prese con antidolorifici e muscolosi fisioterapisti. E in risposta è successo che i Dark Angel prendessero le distanze dalla sua dichiarazione, il che poteva generare una scontata scissione dei Dark Angel in due Dark Angel, quelli di Gene Hoglan e quelli autoproclamati da Don Doty. Invece no, è solamente successo che Don Doty formasse gli Eliminate, attivi dal 2013 e da allora in giro per pub a suonare brani da We Have Arrived e Darkness Descends. A quel punto rimaneva soltanto da risolvere il nodo Hoglan.

Come ben saprete i Testament sono un buco nero che risucchia i batteristi e difficilmente li restituisce: Dave Lombardo per uscirne vivo è dovuto recarsi al patronato del lavoro con tutte le buste paga delle band in cui suonava e dimostrare che Eric Peterson gli dava troppo poco, affinché rinunciasse alla militanza – in qualità di turnista – in un centinaio di gruppi per restare in uno solo, ma più grosso.  A quel punto al patronato gli hanno detto: Dave, tu entra in un’altra decina di gruppi e vedrai che Eric Peterson si caca sotto e neanche ti porta in tribunale”. Al suo ringraziare e salutare, gli è stato proposto come ultima cosa di sottoscrivere la tessera sindacale e prenotare il prossimo ISEE.

Quello che invece ha portato Gene Hoglan dai Testament ai Dark Angel è stata sicuramente la passera.

Come ben saprete anche stavolta, nei Dark Angel non solo non c’è Jim Durkin. C’è Eric Meyer, elemento importantissimo per la band, nonché uno degli individui che solo per una serie di circostanze non sono finiti alla corte di Dave Mustaine, nei Megadeth. L’altro, l’avrete intuito, fu Dimebag Darrell. Nei Dark Angel non c’è neanche Brett Eriksen, il chitarrista che nelle photosession del suo unico album con i Dark Angel, Time Does Not Heal, aveva un non so che di biondino da gruppo glam rock. Ecco che entra in gioco Gene Hoglan.

Quel maialone di Gene Hoglan, è a questo punto risaputo, instaura con il secondo chitarrista dei Dark Angel un rapporto simile a quello che si ha con il toy boy. Nel 1990 ci ha messo un biondino cotonato, ha dato nell’occhio, i Dark Angel sono andati in malora, e per non dare nell’occhio una seconda volta ci ha dovuto mettere la moglie.

Uscire dai Testament è stato sicuramente un gioco da ragazzi. È bastato far passare tale Laura Christine davanti a Eric Peterson, sentirlo fischiettare e dire un paio di frasi di troppo, tornare in coppia e dirgli che, se non crea problemi con l’uscita dai Testament, loro due non ne creeranno per quello scempio di sessismo e violenza verbale psicologica che s’è appena sentito in pieno 2022. A quel punto, a dieci anni dal secondo tentativo di reunion, e senza neanche aver dovuto sottoscrivere una tessera per la CISL, Gene Hoglan aveva la sacrosanta libertà di portare avanti il discorso ingiustamente interrotto dopo la pubblicazione di uno dei più grandi manifesti del thrash metal tecnico della storia tutta: Time Does Not Heal.

Extinction Level Event si presenta oggi con una copertina che fa ribrezzo anche ai miei educatissimi cani. Non ritornerò sopra all’argomento dell’intelligenza artificiale, perché i Pestilence da soli mi hanno già portato via troppo tempo libero in tal senso. Il fatto – il dente me lo devo togliere e lo toglierò adesso, dopodiché non parlerò mai più di quella copertina in vita mia – non è che sia composta con l’intelligenza artificiale, o con la pittura a olio. Il fatto è che è una copertina fatta col culo, è semplicemente brutta. Le tre parole sottostanti alla Dimmu Borgir fanno il resto.

Il brano, title-track del disco venturo, dura quattro minuti, un bel paradosso per il ritorno in scena del gruppo che su Time Does Not Heal attaccò quell’adesivo che, testuali parole, recitava9 songs, 67 minutes, 246 riffs”. Avrei onestamente pagato per un polpettone di dieci minuti che cambia tempo e atmosfera in continuazione, che comincia con Rinehart che attacca i preti e si conclude con Rinehart che lancia l’arringa contro i ritardi da parte dell’INPS nell’erogare gli importi per il bonus asilo nido. E invece è tutto lineare e semplice: quattro minuti, titolo che gira intorno al complottismo distopico, e giù il sipario.

Non che i Dark Angel ai tempi di Time Does Not Heal non avessero scritto niente del genere, per carità. A Subtle Induction non era mica una suite, se ricordate. Ma mi manca qualcosa. A essere onesto mi mancano tante cose, ragazzi.

Ron Rinehart canta di merda, è completamente afono. È bello vederlo in forma sul palco mentre canta questa e Circular Firing Squad, che, sono pronto a scommettere, sarà il secondo singolo estratto. Ron Rinehart su Leave Scars e soprattutto sul suo successore era un cantante spettacolare. C’è chi lo definiva monocorde, chi ripetitivo: era un cantante spettacolare, tecnicamente preparato, aggressivo il giusto, di stampo classico. Sparava cinquecento parole al secondo, come un mitragliatore letale, o un rapper, e a me piaceva da morire.

Ron Rinehart oggi è il vecchio che cerca di scopare in Full Metal Jacket, e mi duole ammetterlo. Non so come sarà l’album intero, ma questo singolo apripista non richiederebbe certo l’apporto canoro del Ron Rinehart che fu. Sarebbe bastato riesumare Don Doty dal vicolo buio in cui stava vomitando e provare a fargli lo stesso favore che gli Exodus provarono a fare a Paul Baloff una vita fa. Spero, in tutta sincerità, che il resto del disco recuperi anche parzialmente il piglio techno-thrash che contraddistinse Time Does Not Heal, uno dei miei album della vita, 246 riff e saperlo pressoché a memoria.

A due minuti e quarantanove di scorrimento c’è una ripartenza che adoro, il resto della canzone è talmente ordinario da poter soprassedere in tutta tranquillità. Non c’è niente che mi dia interesse, niente fill letali di Gene Hoglan, la cui doppia cassa è mixata a un volume così alto da coprire perfino il latrato dei miei cani spaventati dalla bruttezza della copertina.

La produzione poi non avvalora in niente il successore di Time Does Not Heal, manca in tutto della sua profondità e del suo relativo downtuning in perfetta sintonia con il dominio del death metal tipico di quell’epoca. C’era Terry Date dietro, c’era un investimento su un professionista di livello. E c’era la Combat Records, mentre oggi c’è la Reversed Records se non vado errando. È tutto pulito, tutto nitido, tutto troppo ordinario. Ed è prodotto da un tale che onestamente non so chi cazzo sia, Rob Shallcross, coadiuvato però dal noto Mike Fraser al mixaggio; la responsabilità soggettiva sui volumi della cassa è dunque del solito soggetto che era nel team lavorativo che si occupò – per l’occasione in coppia con Randy Staub – di Load e Reload.

Non so che dire al mio amico delle superiori la prossima volta che vado a prenderci una birra. Poi sì che mi attacca a ragionare di world music. (Marco Belardi)

7 commenti

  • Avatar di IronMauro

    il solito articoletto sfascista e criticone del solito scribacchino radical chic.. uno tsunami di cliché

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  • Avatar di Fanta

    Belà, hai postato il teaser però; non il brano (che non pare un gran che ma poi magari nel contesto del disco farà un effetto diverso, non so).

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  • Avatar di Monnezzzza

    Il pezzo è una merda fumante. Come la copertina. Cazzo Gene, sono decenni che dici che ci stai lavorando su. Sta ciofeca la compone mia madre ottantaquattrenne con 300 di diabete. Quando uscirà il disco intero spero si sia trattato di un pesce d’Aprile. Ma ne dubito.

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  • Avatar di Old Roger

    io vado contro corrente : a me il pezzo non è dispiaciuto. C’è gente che si strappa i capelli per i Destruction , per cui credo ci sia posto anche per i Dark Angeli. Dopo 34 cosa vi aspettate esattamente ?!

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    • Avatar di Ciccio Russo

      Se il pezzo ti piace ci sta, per carità, pero ci sono gruppi affini con molto meno blasone tornati dopo pause molto lunghe (ok, magari non così lunghe) con dischi notevolissimi. Pensa ai Morbid Saint o ai Solstice. Dopo 34 anni ti aspetti francamente qualcosa di meno tirato via: Gene Hoglan è uno che ha continuato ad avere una carriera ai massimi livelli, non è che ha ripreso le bacchette in mano l’altro ieri. E il problema è proprio che sono 34 anni che Hoglan ci abbuffa la uallera prima con il magnifico successore di Time Does Not Heal che aveva già composto all’epoca e doveva solo essere inciso, poi con il nuovo materiale scritto con gli altri membri. E questi sono 12 anni che sono tornati a suonare dal vivo, quindi non è che devono ricostruire l’amalgama da zero. Non so, mi aspetto almeno una produzione decente.

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  • Avatar di Old Roger

    Con i Morbid Saint sfondi una porta aperta , concordo con tutto quello che dici su Hoglan e soci . Ma facendo un discorso più generalista ( o qualunquista se vuoi) dopo 34 anni sfido chicchessia a restare sui i livelli degli esordi , loro , e non solo , il meglio l’hanno già dato. Il buon Gene ha dato fiato alle trombe ,ma le parole sono la cosa più economica del mondo , per cui a mio avviso era inutile farsi chissà che aspettative. C’è gente che è tornata dopo molti meno anni , e forse era meglio se restava dov’era ( penso ai miei amati At The Gates che hanno fatto un buon disco di come back , ma gli ultimi due son certo capolavori) A costo di risultare ripetitivo , ti dico : c’è che venera i Destruction ….o volendo far polemica gratuita , gente che crede che la salvezza del metal siano i Messa

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