Eppure manca qualcosa: DESTRUCTION – Birth of Malice
In questo mondo siamo in cinque a goderci un nuovo album dei Protector. Gruppi tedeschi che all’epoca consideravo essenziali sono ora piombati giù nel dimenticatoio. Per effetto di qualche prolungato allineamento fra pianeti, o di una sconosciuta reazione chimica invisibile all’occhio umano, i Destruction potrebbero pubblicare una decina di dischi di merda, uno all’anno, sino a imbrattare orrendamente un’intero decennio, e mai cadrebbero in quello stesso dimenticatoio in cui galleggiano in troppi. Troverebbero puntualmente nuova linfa vitale all’alba dell’ingresso in studio, nuove reclute, e un’etichetta discografica ben disposta a mettere in circolazione il loro operato. Nemmeno la fuoriuscita di Mike Sifringer è riuscita ad ammazzare i Destruction.
Se ci ripenso è buffo: l’ultima volta che ho scritto di loro avevo espresso parole tutto sommato positive. L’album era Diabolical, non ne ricordo una singola nota eppure in linea di massima mi piacque. Perfino la precedente recensione, quella per Born to Perish, era stata tutto sommato positiva. Pensate a quanto tempo ho perso dietro a codesti elementi nei peggiori decenni della loro torbida esistenza.
Lungi dal voler scrivere le stesse cose riguardo al terzo album consecutivo dei Destruction a cavallo fra l’era Sifringer e quella con due chitarristi non affetti da lancinante strabismo (Damir Eskic e Martin Furia), dirò oggi che Birth of Malice è su per giù sulla stessa lunghezza d’onda dei precedenti: che sorpresa, eh? Le chitarre funzionano benone, dimostrano alchimia, e lo stile e la produzione sono alquanto accettabili: un thrash metal ottimamente confezionato con qualche sporadica puntina di modernità che sarà gradita a coloro che s’avvicinarono al gruppo di Weil am Rhein grazie a episodi come All Hell Breaks Loose. Eppure gli manca qualcosa, mi manca qualcosa.
Scumbag Human Race è il pezzo che su tutti ho meglio metabolizzato: per via di certi effetti vocali mi ha ricordato i Kreator anni Novanta e la loro tendenza ad evocare il termine industrial senza mai tastarne direttamente la materia. Il resto è un assemblaggio di brani carini e pochi filler. Sarebbe facile, con ciò, asserire che Birth of Malice sia un buon album. In realtà dal vivo vorrei sentire, oltre ai classici ottantiani, la sola Scumbag Human Race, più un paio di momenti estratti dal celebre periodo erroneamente denominato “reunion”. E cioè dal ritorno di Schmier.
No Kings – No Masters è carina, eppure l’ho dimenticata un secondo dopo la sua conclusione; Destruction è effettivamente troppa poca roba per chiamarsi Destruction. Insomma, quando i Sodom fecero Sodomized ero sicuro che avrebbe spaccato e in effetti fu un po’ così, al netto di quanto poco sarei andato d’amore e d’accordo con Get What You Deserve e con Andy Brings nuovamente piazzato alla chitarra. Destruction ha un bel break nel mezzo ma è a tutti gli effetti una robetta da poco: mettila dal vivo e sarà come quando fai la carne alla brace, tutti si avventano sulla bistecca e rimane da spartirsi solo quel pettaccio di pollo di merda. Al cospetto di Death Trap e Eternal Ban, il giorno che questi furbacchioni crautisti presenteranno a cazzo duro “Destruction”, probabilmente, qualche classe 2005 penserà a un classico datato 1987 e ne rimarrà fregato. Ma a nessun amante della band di Schmier fregherà niente di quella canzone all’interno di una scaletta. Poi A.N.G.S.T. è un singoletto mid-tempo con i riffoni giusti, gli assoli giusti e un richiamo ai Kreator più ritmati e marziali che ancora una volta fa capolino. Qui mi fermo, prima che questa recensione diventi una pericolosa track-by-track di quelle in cui finisci per dire che a 3:40 della sesta traccia c’è un riff che non assomiglia affatto agli Helstar del fiacco Multiples of Black.
Tanto carino quanto inutile. I Destruction confermano il loro discreto stato di salute e che avrebbero potuto sciogliersi subito dopo la pubblicazione di Metal Discharge, l’ultimo, in ordine cronologico, di cui ho un più che vago ricordo. Non sono mai stati delle cime, e hanno fatto parlare di sé quasi fossero, nello sterminato quartiere del thrash metal, gli inquilini che al calare delle tenebre uscivano di casa per rigare le automobili degli altri. Non faranno mai più una Nailed to the Cross e il loro compositore più significativo, ad oggi presidente dell’Inter, non è più in formazione.
Per me è un capitolo chiuso, talmente chiuso che fra un paio d’anni sarò nuovamente qui a scrivere una recensione tutto sommato democristiana. Senza con ciò citare nuovamente Multiples of Black. (Marco Belardi)


Inutili da 20 anni. Dopo il capolavoro The Antichrist, che a questo punto non capisco come gli sia uscito, un’unica palude di piattume, una decina di dischi non solo tutti uguali tra di loro ma tutti uguali al loro interno, finisci di ascoltarli e ti pare di aver sentito la stessa canzone per 50 minuti. Ho smesso di dargli una chance 2 o 3 album fa.
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Concordo al 100%
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Dopo All hell break loose , potevano sciogliersi , dischi fotocopia velati da un sottofondo di noia. Mai stati al pari degli americani e nemmeno degli altri crucchi. Gli Exumer avrebbero meritato molto di più. Sopravvalutati.
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Noiosi, pacchiani e ripetitivi.
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Gruppo piatto su disco ma al contrario devastante dal vivo
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