I Sadus si sono trasformati nei Darkthrone: THE SHADOW INSIDE

I Sadus sono diventati i Darkthrone. Rob Moore il loro Dag Nilsen, Steve DiGiorgio nei panni di Zephyrous. So che ho volontariamente invertito gli strumenti ma è quest’ultimo che taluni rimpiangeranno fino allo sfinimento. I Sadus sono diventati due tizi che fanno tutto quanto da soli; non solo, creano un certo alone di mistero giocando con i nostri sentimenti. Perché né Metal Archives né le indicazioni in mio possesso rivelano il nome di colui che s’è occupato di registrare il basso su The Shadow Inside. Vien da pensare che dietro al quattro corde si celi Darren Travis, ma non è scritto da nessuna parte. È inoltre uno di quei dischi metal in cui la presenza del basso è del tutto ininfluente.

Un album dei Sadus in cui il basso conta quanto il due di briscola mette una certa tristezza. Pure a Steve DiGiorgio era capitato, a suo tempo, d’inciampare in un missaggio che non gli rendesse giustizia. Pensate a Human che era tutto fuorché sezione ritmica, e confrontate i suoni con quelli di Individual Thought Patterns i quali – appunto – esaltavano la sezione ritmica da lui composta al fianco di Hoglan.

Il problema è ora risolto, perché, chiunque l’abbia registrato, il basso non si sente. Darren Travis alla voce si conferma lo stesso barile d’acido che era tanti, tantissimi anni fa. Non molla un centimetro. La copertina è quella di Swallowed in Black stando alla visione di Travis Smith, cui imputo d’usare un po’ troppo quegli effetti evanescenza in una porzione significativa dell’immagine. Vostro malgrado li potete trovare in alto a destra.

Pure Jon Allen se la cava molto bene e ha una resa sonora tutto sommato accettabile, sebbene il rullante potrà suscitare la discordia di molti di voi. Si parla comunque di cinque, massimo dieci persone. Potete immaginare il polverone che ho alzato in redazione non appena mi sono prenotato per la recensione del nuovo dei Sadus a oltre quindici anni dall’orrendo Out for Blood: nessuno ha risposto e si sono tutti rimessi a rammentare che era appena morto Charlie Dominici.

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A meno che non infilino a forza in line-up Travis Smith, come hanno fatto i Judas Priest col loro fortunato produttore, i Sadus possono contare su composizioni di sicura riuscita e a rischio zero. The Devil in Me è l’unica che rivela un barlume di coraggio; Anarchy la sua nemesi, che tenta di cavare un ragno da un buco semplicemente pestando come un fabbro. È un album che purtroppo si fa ascoltare per le prime tre canzoni e si esaurisce subito, con sporadiche eccezioni. Dopodiché annoia di rado, non sorprende mai e, sebbene superi con un certo margine l’obbrobrio corrispondente a Out for Blood, non credo vorrò riascoltarlo in seguito. I Sadus sono stati una band molto importante, per quanto inizialmente e anche in seguito relegati a seconde linee. Sarò sincero, già il freddo responso nei riguardi di Elements of Anger del 1997 a me puzzò di bruciato, giacché uscì in un periodo storico che concedeva interesse e pubblicità pari a zero a quel genere di sonorità. E oltretutto non era freschissimo né bellissimo: suonava semplicemente ben fatto, pulito, tecnico. Era un compitino comunque più gradevole di quello che mi ritrovo per le mani adesso e conservava il punto d’interesse maggiore: Steve DiGiorgio che faceva gli stracazzi suoi dietro allo strumento, una sorta di Les Claypool in tono minore della musica di Satana e delle fascette hippie da mettere in testa. Ecco, hanno paradossalmente fatto di meglio i Blind Illusion senza Les Claypool, che comunque fu un elemento assolutamente transitorio, che i Sadus odierni privi del loro eclettico bassista.

Conservo dunque il ricordo dei primi tre album, quelli con Rob Moore. Tra techno-thrash, causticità lirica e richiami evidenti al death metal seppero offrirci davvero tanto. Oggi ci resta in mano un pugno di buoni riff, qualche assolo melodico come quello prolungatissimo al centro di Pain, e davvero poco altro. Ne volete una che valga davvero il prezzo del biglietto? La metallarissima No Peace. Dopo quasi diciotto anni: ma scherziamo? Adesso vogliamo il videoclip in cui camminate nel bosco, fianco a fianco, mentre accenna a nevicare. (Marco Belardi)

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