Almanacco Gotico Italiano #3: di occhi, introspezioni, spire, luci ed ecatombi

Bollettino di informazione sul lato più oscuro delle uscite indipendenti nazionali – Foto di gotico_italiano

THE MON sarebbe Urlo, il bassista e cantante degli Ufomammut, e The Eye sarebbe il suo secondo disco da solista. Anche se si fa accompagnare da una lista di ospiti di riguardo. Su tutti, per farvi capire il mood, direi Steve Von Till e la violinista di SubRosa e The Otolith. Quindi credo che capiate a cosa andate incontro: bozzetti folk spettrali, sviolinate malinconiche, tratteggi elettronici evanescenti. Niente riff. Né vere e proprie canzoni, forse. Chiaro che Urlo non sia poi Von Till, ma certo non è che il suo modo di cantare si faccia ricordare. Anzi. Poi mi sembra di rintracciare come influenza abbastanza ingombrante i Pink Floyd classici. E ok che se io non li tollero, i Pink Floyd classici, è un problema mio. Però ecco, a me The Eye non lascia gran che. In fondo però, vi confesso, manco gli Ufomammut fanno per me.

Ambula Ab Intra è invece l’esordio “da solista” di LORENZO STECCONI, chitarrista dei Lento e poi fonico per Zu e proprio per Ufomammut. Interamente strumentale, questo disco qui, per chitarra elettrica e i famosi “soundscapes” che magari produce sempre con le chitarre (non saprei, non sono ferratissimo). Però ecco le parole: paesaggi sonori, drone (non metal), ambient. Frequento ben poco il genere ed è musica che certo non si presta ad essere descritta. Ascolto straniante, ovviamente, se vi interessa sostenerlo.

Ci spostiamo nettamente fuori dal nostro mondo (anche se già non è che ci stessimo proprio dentro) per segnalarvi un esordio, quello della gallurese DANIELA PES, che sta riscuotendo parecchio consenso in canali che non sono i nostri. Parecchio ovviamente in considerazione della difficile musica proposta. Spira è un disco coraggioso di vocalizzi (credo) dialettali, elettronica minimale e glitch e forse un po’ di jazz. Comunque non è solo la bella copertina a suggerire un senso di mistero. Per chi in terra sarda non ci ha mai messo piede, come il sottoscritto, quei silenzi, quelle increspature, quella luce che abbaglia sono assai suggestionanti. Un po’ viene da chiamare in causa un altro isolano, il Battiato di Clic e di M.lle Le Gladiator. Un po’ forse Daniela, saranno le doti canore eccellenti, viene quasi da crederla una giovane Bjork persa in un paesaggio lunare e ancestrale. Non seguo molto questo tipo di musica, lo avrete capito, ma questo nome me lo segno.

Restando in Sardegna e su territori di musica elettronica, parliamo allora di SHEDIR, ovvero tale Martina Betti, che non è all’esordio, però. Before the Last Light is Blown pare sia il suo terzo album. E se nella musica della corregionale un senso di terra e folklore, Shedir ti spedisce nello spazio sospeso. Paesaggi tipo Blade Runner e Dune vengono spontaneamente alla mente. Musica debitrice di Eno e Vangelis, infatti, per quel che comprendo io. Più che musicista, ho letto per lei su internet la definizione e di sound designer. Non disprezzassimo gli anglicismi non necessari, da queste parti, ci potrebbe pure stare. Viaggione, comunque. Notturno.

A proposito di notte, la musica del lombardo che si cela dietro il nome di PAVOR NOCTURNUS è invece la dark ambient. Ovvero quell’elettronica minimale, totalmente sintonizzata sulla presa a male e sull’orrore, che ai festival metal può capitare che diffondano nelle aree deputate a recuperare le sbornie ed affogare negli incubi (tipo al Brutal Assault, quanto mi manca). E quindi rientriamo un po’ nella nostra comfort zone (anglicismo inessenziale, so). Ecatombe è il nome dell’album ed è appunto tendenzialmente una collezione di ambient cupissima, sprazzi da colonna sonora horror e qualche ritmica che però no, non aiuta a farla prendere bene. I titoli, poi, sono tutto un programma: Maleficio, Supplica, La Mattanza, Abisso, Ecatombe (appunto). Incubi in musica per cuori tenebrosi. (Lorenzo Centini)

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