E ora che mi invento per recensire l’ennesimo disco dei KATAKLYSM?

Ho scritto ben due recensioni di altrettanti dischi dei Kataklysm, su Metal Skunk. Me le vado quindi a rileggere con una domanda che mi martella costante nella testa: come ho fatto?

Quando firmi la recensione di un album dei Kataklysm e poi te ne tocca un altro, non è facile trovare le parole. Il motivo è presto spiegato: stampatele entrambe, andate in controluce e sovrapponetele. Sarà come aver messo una sopra l’altra due banconote identiche. Mi sono anche reso conto d’avere scritto dei Kataklysm in alcune uscite di Avere vent’anni, e comincio a pensare che, sebbene non condivida la ripetitività tipica di questa formazione, sia in qualche maniera legato ad essa.

Stamani, fine agosto, giornata piovosa, io a casa influenzato, mi sono fatto un giro su BNR, Loudwire e Metal Archives per controllare se fosse uscito il nuovo Incantation – dicevamo, la ripetitività – e sono scappati fuori i Kataklysm. Indovinate che cosa ho esclamato.

Detta la bestemmia a riprova della teoria eviscerata poc’anzi, non ho ascoltato gli Incantation, che da sempre preferisco – e basterebbe anche solo Ibex Moon a farmeli preferire a molti altri nel metal estremo. Ho ascoltato i Kataklysm e il motivo non lo conosco nemmeno io.

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Sono a buon punto: se accenno al quattro a uno del Milan al Torino e a qualche aneddoto circa i miei cani, tipo che Whisky si gratta nervosamente un orecchio per un accenno di otite, avrò sufficiente materiale per affermare che la recensione c’è. Scriverne un’altra in cui mi addentro nei singoli brani estrapolando i titoli migliori comporterebbe per il sottoscritto un grosso sacrificio fisico, etico e morale. Comprendo Ciccio Russo e il giorno in cui ne approfittò per menzionare la pizzeria di proprietà di Maurizio Iacono.

Il successore di Unconquered, a sua volta successore di Meditations, me lo sono davvero sentito, e si chiama Goliath come un bellissimo albo speciale di Dylan Dog a tinte fortemente lovecraftiane.

La sostanza è ancora la seguente: il gruppo alterna frequenze tipiche delle uscite più fortunate, da Shadows & Dust a tutto il periodo a ridosso, a quel senso di modernità ricorrente che prima fu accennato in Victims of This Fallen World, poi bocciato e in seguito ripreso per il lungo tratto della loro carriera che stiamo vivendo. Non mancano echi di gruppi che mai avrei voluto vedere associati ai Kataklysm, e, come dissi, attribuisco questo fatto al volersi mantenere in auge presso una platea metallara completamente cambiata nella fisionomia. E presso il pubblico americano.

La copertina segue il trend inaugurato con In the Arms of Devastation, il che li obbliga a ritrarre figure imponenti che fanno cose bibliche tipo alzare le braccia al cielo e gridare, e cose così. Die as a King è molto carina ed è 100% Kataklysm, affermazione che potrebbe far incazzare coloro che a ragion veduta intendono i Kataklysm come quelli di Sorcery e Temple of Knowledge. Non c’è ovviamente traccia di quei Kataklysm, ma nessuno nel 2023 sarebbe così ingenuo da attendere che in un Goliath siano presenti riferimenti antecedenti a The Prophecy (Stigmata of the Immaculate). E così è.

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È nuovamente cambiato il batterista. Perduto Olivier Beaudoin, che fu prelevato dai Neuraxis, il turno stavolta è del rodatissimo James Payne, di origini italiane e già passato per gli Hour of Penance e per i Vital Remains per un brevissimo periodo. Ma tanto Max Duhamel è l’unico batterista che abbia saputo dare un’impronta personale e coesa al suono dei Kataklysm, questo lo sappiamo e questa rimarrà la regola nei secoli a venire.

Per quanto la produzione risulti meno patinata rispetto a quella di Unconquered, il nuovo Kataklysm incespica ogniqualvolta prende la via della modernità. E lo fa abbastanza spesso, con Combustion e The Sacrifice for Truth episodi più lampanti in tal senso, Bringer of Vengeance la gradevole eccezione alla regola.

Album in sostanza più veloce e aggressivo del predecessore, che chiude i rubinetti solo nel finale in favore di una certa componente atmosferica, rallentando e variando sul tema; ma vi assicuro che anche stavolta – al netto di un generale rimescolìo di carte – non è cambiato proprio nulla. (Marco Belardi)

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