Tutti a San Galgano coi BOTTOMLESS – The Banishing
Visti i vari impegni di Giorgio Trombino, David Lucido e Sara Bianchin (Assumption e Messa sono solo i più noti), verrebbe da chiedersi quanto spazio abbiano i Bottomless nelle loro fitte agende incrociate. Eppure The Banishing, il disco che segue il debutto omonimo del 2021, ha, direi, qualche ambizione in più che essere solo un progetto parallelo. Come dicevo quando poco tempo fa vi davo notizia delle prime anticipazioni del disco, le brume doom ortodosse dell’esordio si sono arricchite di una dimensione più heavy classica, oltre che di qualche ricamo acustico che stempera l’elettricità compatta della scaletta. Non ultimo, la scrittura delle canzoni segna una progressione evidente rispetto alla collezione dei brani usciti due anni fa. L’atmosfera dell’album? Parla chiaro la copertina: in bianco e nero, una chiesa abbandonata col soffitto in parte crollato. Occhio ai dettagli: la bandana ed il crocifisso indossati da Trombino dicono anche qualcosa dell’album. Come dicevo, la voglia di suonare un doom ottantiano classico e solenne e occasionalmente di lanciarsi in qualche galoppata. Così, del quartetto classico di numi tutelari del doom americano, assumono maggiore peso questa volta gli episodi più spediti e ritmati di Obsessed e Trouble. Per dire, Let the Burn, la traccia iniziale (o opener, nel caso ci teniate alla terminologia delle recensioni serie) pare tratta dal salmo numero nove. Ma, ovviamente, se cercate principalmente ritmi lenti e dolenti state tranquilli: The Banishing è zeppo di atmosfere meste e cadenzate.
Come dicevo, stavolta la scrittura dei brani è ancora più felice (sic) che nell’esordio. E le melodie pure. Prendete il ritornello malinconico di Stand in the Dimming Light. Oppure, come già vi dicevo all’ora dell’aperitivo, quello quasi rasserenante di By the Sword of the Archangel, a conti fatti il brano migliore del lotto. Altro brano sopra la media, The Great Unknown ha un inizio solenne, una strofa epic(a) e uno sviluppo cha sa (ovviamente) di Sabbath, ma anche di certi Cathedral (sempre siano lodati). Bello anche che Guardians of Silence cominci con un’atmosfera inquieta acustica alla Don’t Talk to Strangers, ovviamente senza Dio (sempre sia lodato). L’omaggio è palese, anche se forse inconscio (oppure no). A noi gradito. Fra l’altro il brano contiene un assolo che emana sentori di IOMMI ai quattro venti (sempre sia lodato). Noi ovviamente gradiamo pure questo. Comunque, The Banishing è più di un competente esercizio in stile, a mo’ di tesi compilativa. C’è mestiere, sì, ma anche tanto gusto. Mica guasta.
Ora però vi dico anche cosa mi fermi dallo sperticarmi in lodi sconnesse ed estasiate per un disco riuscitissimo come questo. Perché sì, lo avete capito, sono un gran rompicoglioni quando mi impunto. Il fatto è che la qualità messa in campo stavolta alza inevitabilmente anche il livello delle pretese (le mie).

Suonato benissimo, registrato in maniera inappuntabile, nelle trame di The Banishing non trovate un filo di ruggine. A dire il vero nemmeno tanto l’odore umido delle mura decrepite di una cripta (o l’aroma di un incenso liturgico). Noto pure una cosa: i Bottomless non hanno nulla di italiano, nel suono. Nessuna parentela col dark sound nostrano. Ci sta, mica è una critica, anzi. Certo che certi effettacci sonori (lodati anche loro) non li adottano mai. Restano puliti rispetto alla tentazione di buttarla sul kitsch. È una scelta di stile. In parte è anche questione di produzione, sì. A me personalmente più marcio non dispiacerebbe. O maggiore alternanza tra forte e piano. Tra mestizia e turgore. La prova vocale di Trombino è ottima. Certo, non è che si possa pretendere il livello dei quattro Cavalieri dell’Apocalisse (Liebing, Wino, Wagner, Reagers), ma chiaro che le canzoni crescerebbero ulteriormente con una prestazione più trascinante. Più emotiva. Oh, intendiamoci, The Banishing è davvero un bel disco, a tratti ottimo (Dark Waters fa scapocciare per bene anche un rompiballe come me). Se mi permettete una digressione (ma nemmeno tanto, vista la copertina), pare una visita a San Galgano. Ce l’avete presente, credo. Io e il mio amico Samuele dicevamo sempre “andiamo a fare come Ronnie James Dio a San Galgano”. Poi mi ci ha portato, ma con noi non avevamo uno spadone, pazienza. Beh, fantastica San Galgano. Armonia pazzesca, mura possenti e quel cielo inquadrato tra quel che resta della chiesa dell’abbazia. È una visita obbligata, San Galgano. Andateci, magari evitando un orario di punta. Potreste godere delle mura senza il flusso dei visitatori. Mura possenti, dicevo. Ben restaurate. Possenti, scarne. Però magari un po’ di edera mica ci sarebbe stata male, o un albero “abusivo” cresciuto nella navata. Muschio sui lati meno battuti dal sole. Ovviamente sono contento quando un monumento viene preservato, degnamente restaurato. Ma l’esperienza di introdursi in un rudere è un’altra cosa, una rovina abbandonata, dove la natura aggredisce la storia, dove fatichi a decifrare le epigrafi dalle lapidi malconce. Comunque, una domanda per la band: che chiesa è quella della copertina?
Scusate, torno subito al disco, per chiudere finalmente il pezzo. Bel disco davvero, The Bottomless. Se li guadagna tutti i suoi ascolti. Le canzoni sono effettivamente tutte convincenti, compiute. Al prossimo turno, però, impegni degli altri gruppi permettendo, spero ci sia più pathos, più muffa, o entrambi. Vedete voi. (Lorenzo Centini)


È molto bello, ma la voce è proprio sbagliata. Lui è bravissimo, ma trovo che manchi di profondità ed espressività, e su questa musica funziona proprio male. Mi piacerebbe ascoltarlo in un gruppo nwobhm.
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