Avere vent’anni: IRON MAIDEN – Brave New World

Tutto ciò che bisogna fare per capire perché così tanta gente continua ad avere nel cuore Brave New World è contestualizzare quest’ultimo nel periodo della sua uscita. Cercherò di essere breve, perché alla fine la storia la conoscete tutti, ma è impossibile non partire dall’inizio. I Maiden hanno avuto Blaze Bayley alla voce per grossomodo quattro anni, cioè da The X Factor del 1995 fino al tour di Virtual XI. Di Blaze abbiamo già parlato in tutte le salse, e non c’è bisogno di ripeterlo. Quello che è necessario menzionare – e ve lo dice uno che Blaze lo ha sempre difeso, sempre amato, e che ha financo apprezzato tantissimo Virtual XI – è che Blaze non era un cantante adatto agli Iron Maiden. Questi ultimi rappresentavano per la stragrandissima maggioranza dei metallari il gruppo metal per eccellenza: fino alla mia generazione siamo tutti cresciuti con loro, molto più che con chiunque altro gruppo. Gli Iron Maiden erano il grado zero del metallo, la chiave di volta di tutta l’impalcatura dell’heavy metal, il gruppo inattaccabile per eccellenza, quello che definiva il tuo stesso essere metallaro: se non ti piacevano gli Iron Maiden, con che coraggio potevi definirti tale? Ma poi che senso aveva la frase “non mi piacciono gli Iron Maiden”? Come poteva qualcuno non apprezzarli? Io non conoscevo nessun metallaro a cui non piacessero gli Iron Maiden, l’idea stessa era una bestemmia, un’assurdità: certo, anche loro avevano fatto quel paio di dischi deboli, ma c’erano mille giustificazioni, e poi dopo quei primi sette dischi sinceramente gli si poteva perdonare qualsiasi cosa. Erano gli Iron Maiden, mica un gruppo qualsiasi. Potevi stare pure infognato col brutal death, ma non ti saresti mai sognato di proferire parola sugli Iron Maiden: avevi tutti i loro dischi a casa, li conoscevi a memoria, li ascoltavi regolarmente e poi, semmai, ti ascoltavi anche l’altra roba che piaceva a te. Ma era un’altra storia: i Maiden venivano prima, erano dati per scontati, tant’è che raramente ho sentito qualcuno dire gli Iron Maiden sono il mio gruppo preferito: loro erano su un livello diverso, neanche superiore: diverso.

 

Per tutto questo, l’era Bayley è stata, nella migliore delle ipotesi, sopportata. The X Factor era un gran disco e Virtual XI è piaciuto solo a me, ma, anche se fosse stato un altro gran disco, quelli che andavano in giro in quel periodo non erano percepiti come gli Iron Maiden. I veri Iron Maiden erano finiti con Fear of the Dark, il crepuscolo dell’era Dickinson, e la storia per loro sembrava essere finita prematuramente, senza neanche passare per la fase dinosauri, cioè quello che sono adesso. Io li vidi dal vivo per la prima volta proprio nel tour di Virtual XI, e ricordo perfettamente che l’atmosfera era di rassegnazione generale. Povero Blaze: poteva sbattersi quanto voleva, sudare, saltare, gridare, ma non era colpa sua. Sulle spalle aveva la responsabilità della più grande icona dell’heavy metal, era stato ficcato in una situazione più grande di lui e non se lo meritava.

Un bel giorno del 1999, non ricordo esattamente quando, sulle riviste esce la notizia: Bruce Dickinson è tornato, e si è portato dietro anche Adrian Smith. Fu una notizia sconvolgente, inaspettata, difficile da spiegare adesso nell’era di internet e Blabbermouth. C’era una foto storica a testimoniarlo, tutti e sei con la birra in mano, e le riviste non si fecero scappare l’occasione di farci il posterino. Io lo tenni appeso in camera per chissà quanto.

Parte il tour storico della reunion, passano a Milano a settembre, io ho il biglietto ma non riesco ad andarci per vari motivi. Tuttora è uno dei più grandi rimpianti della mia vita. Da quel momento sulle riviste non si parla d’altro. Stanno componendo l’album, l’album è quasi pronto, si chiamerà Brave New World, ecco la copertina, uscirà il 29 maggio. Nel frattempo, qualche mese prima, un amico ammanicato mi contatta in chat, su mIRC: “Questo è il primo singolo di Brave New World, me l’ha passato [un suo amico che dirigeva una nota rivista dell’epoca], non dire a nessuno che te l’ho dato”. Grazie Simone, non hai la minima idea di quanto mi hai reso felice quel giorno. Appena ho premuto play mi stavo mettendo a piangere: il riff semplice e pulito all’inizio, Dickinson che fa Dickinson, l’assolo di Adrian Smith, il coro finale, davvero aria fresca dopo anni cupi, in cui tutto era così complicato e sembrava che non si riuscisse ad avere un disco dei Maiden che non suonasse da schifo e avesse tutti quegli arpeggini lunghissimi ad inizio pezzo. Ho passato i mesi che mi separavano dall’uscita del disco ad ascoltare e riascoltare The Wicker Man fino alla nausea, pompando le aspettative che neanche una suora alla notizia della divulgazione di un nuovo segreto di Fatima. Poi arrivò il 28 maggio del 2000, io non pensavo ad altro ormai da settimane, e passai tutta la giornata con gli occhi sbarrati. La notte non riuscii a dormire. Mi alzo all’alba, senza aver dormito un secondo, e di buon mattino mi presento davanti alla serranda chiusa di Disfunzioni Musicali, insieme ad altri 4-5 scoppiati come me venuti là per lo stesso motivo. Ma tu che ti aspetti, secondo me le chitarre le gestiranno benissimo, dice che Dickinson canta meglio di prima, ho un amico che ha un amico che scrive per una rivista, mi ha fatto sentire il disco, spettacolare, vedrai e tutte quelle spacconate e quelle speculazioni tipicamente romanesche che fanno sembrare come se i tempi delle storie del cuggino alle scuole medie non siano mai passati. Arriva finalmente il pelato di Disfunzioni Musicali, ci guarda, ridacchia e ci fa aho guardate che oggi è lunedì, il disco degli Iron Maiden ce lo portano domani. Gelo totale, torno a casa e crollo addormentato fino a pomeriggio, e poi cerco di riaddormentarmi perché a questo punto passare un’altra vigilia insonne sarebbe stato troppo.

Poi vabbè, il giorno dopo ritorno a Disfunzioni Musicali e riesco a prenderlo. Quello e Grand Declaration of War dei Mayhem che usciva quello stesso giorno, ma quella è un’altra storia. Per i Mayhem peraltro avrei razionalmente dovuto avere molta più aspettativa, ma appena torno a casa infilo Brave New World nel lettore e inizio ad ascoltarlo a ripetizione, con gli occhi sgranati come un bambino la prima volta che vede i fuochi d’artificio. Era bellissimo, era commovente, era molto meglio di quanto avessi sperato che fosse. Funzionava tutto alla perfezione, suonava benissimo, i pezzi erano tutti secchi, veloci e senza fronzoli, la voce di Dickinson era esattamente come doveva suonare, Nicko in stato di grazia, le tre chitarre che si intrecciavano senza sbavature, la produzione chiara e pulita: era come un sogno. Iniziai ad affezionarmi ai singoli pezzi, poi a tutti i pezzi, e d’un tratto l’epoca Blaze mi sembrò un incubo passato come per magia, proprio a me che il povero Blaze l’avevo sempre difeso fino alla morte. Ma il ritornello di The Thin Line Between Love and Hate è IRON MAIDEN, ha il profumo degli anni d’oro, e mi dava la sensazione di vivere un momento storico, io che per questioni anagrafiche non ho potuto vivere i veri anni d’oro degli Iron Maiden. Era fresco, era moderno, era aria pulita.

Potrete dirmi quello che volete, a partire dal fatto che la reunion fu una vigliaccata commerciale, e io potrò anche darvi ragione. Ma Brave New World è talmente bello che tutto il resto passa in secondo piano. È esattamente come avrebbero dovuto suonare gli Iron Maiden nell’anno 2000, e ha il respiro dei veri Iron Maiden. Ci sono soluzioni inedite, specialmente con i riff e i suoni di chitarra, che sono perfettamente integrate con la storia e lo spirito dei Maiden. Niente colpi di testa e niente accademia: l’ideale via di mezzo tra il mestiere di leggende ultraquarantenni e la voglia di esplorare dei dischi degli anni Ottanta. E ora che volete, che vi citi i singoli pezzi? Che volete che vi dica, seriamente? The Wicker Man, Ghost of the Navigator, Brave New World, Blood Brothers, Dream of Mirrors, Out of the Silent Planet e The Thin Line Between Love and Hate sono capolavori assoluti incisi a sangue nel mio cuore; e le rimanenti tre sono gran belle canzoni. Il concerto al Gods of Metal del giugno 2000 fu una specie di rito di passaggio in cui a ognuno di noi, in qualche modo, sembrò di assistere alla Storia in diretta. Su queste pagine presto si parlerà malissimo di questo disco, ma voi non ascoltate. (barg)

18 commenti

  • Un disco una pena. Arrivare alla fine e’ davvero difficile. Pezzi inutilmente lunghi e noiosi. Mi piace solo wicker man. Lo stesso anno usci’ Silicon Messiah del cacciato Blaze Bayley. Mille volte meglio. In pochi lo conoscono o lo hanno ascoltato. Ecco, oggi che e’ facilissimo ascoltarlo, provatelo. E confrontatelo con sta cagatina inutile di Brave New World.

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  • Ci sarà un motivo se il termine inglese per “suonare” è “to play”, in quel periodo Dickinson si faceva fotografare in giacca, cravatta e stellette da ufficiale dell’ aviazione, dopo un po avrà pensato che il mondo degli “adulti” non faceva per lui ( tutte cose che mi hanno rinfacciato le donne che ho frequentato, andate a fanculo ).

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  • La grossa differenza che passa tra Virtual XI e Brave New World la fanno la produzione e soprattutto la voce di Dickinson, che riesce a trasformare in mezzi capolavori pezzi assolutamente ordinari. Ci sono canzoni valide come Ghost of navigator, the fallen angel (fantastica), nomad, out of the silent planet (tirata però troppo per le lunghe) e l’ultima. Però anche una palla come blood brothers e quel macigno sui coglioni della title track, con quel ritornello orrendo ripetuto all’infinito. Il diffetto peggiore dei Maiden post fear of the dark (e che degenererà in seguito) rimane tutto: pezzi prolissi, ritornelli ripetuti ad nauseam e poca cazzimma. Poi ripeto, metteteci Blaze alla voce ed ecco che Virtual XI non è poi molto lontano. Il vero fallimento di questa reunion fu il non essere riusciti a trasferire l’esperienza del Dickinson solista su questo album. Perché si, bello brave new world, ma accident of Birth e chemical wedding gli mangiano in testa proprio

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    • Un buonissimo album con qualche difetto che nei dischi successivi sarà sempre piu evidente: pezzi troppo lunghi, ritornelli ripetitivi, qualche riempitivo…
      Concerto Reunion 1999 epico cmq 😉 80 mila lire compresa la spedizione a casa… cifre mostruose per l’epoca

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    • Bravo, la loro morte, qui annunciata, è l’inutile prolissità.

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    • La stilistica è quella, rimangono coerenti con i precedenti album, ma a questo punto trovo che Dance of death sia molto piu simile a Virtual

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  • BNW è un disco che ho iniziato ad apprezzare molti anni dopo la sua uscita. Avevo sentito di sfuggite il singolo ma non mi aveva detto chissà cosa, poi quello era un periodo nel quale i Maiden avevano francamente poco spazio nei miei ascolti. Non credo sia un capolavoro, poichè ci sono un paio di tracce francamente noiosette, come la Blood Brothers e la stessa title-track, e poi, probabilmente non ci sto bene con la testa, ma per me l’unico capolavoro della reunion con Bruce è AMOLAD. E’ l’unico loro lavoro di quel periodo che rimetto spesso e volentieri nel lettore con buona frequenza.

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  • Ricordo benissimo il concerto della reunion a Milano, dove tutti aspettavano di sentire The Clansman cantata da Bruce, e in effetti le aspettative non furono deluse. Bruce che dice: “Questa NON è una reunion, non siamo nostalgici… Fra poco usciremo con un nuovo disco!”, che era Brave New World e nel singolo di Wicker Man c’era una registrazione live proprio di Milano (lo si capisce dalla voce di Bruce che dice “Screamforme Milaaan!”. Insomma, il protagonista di questa storia è sempre stato Bruce e Adrian Smith venne ripescato per fare contenti proprio tutti. Venendo al disco, ricordo che lo ascoltai parecchio, lo tenni nell’autoradio per qualche mese, ma forse più per la voglia di sentire i nuovi Iron che per altro: è un lavoro della maturità, ha qualche lungaggine, ma suonava meravigliosamente Maiden e, certamente, la portata storica di Brave New World è grandissima. Up the Irons.

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  • L’ultimo disco decente dei Maiden.

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  • Il fatto che questa recensione cada proprio nel giorno del compleanno di Blaze Bayley è una coincidenza?? Non crediamo…

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  • Tim the Enchanter

    For the record: oggi è pure il compleanno del grande Blaze. Doveroso fargli i migliori (e meritati) auguri.

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  • Quando uscì rimasi molto freddo. Mi sembrava un disco scialbo, fatto per i soldi, con alcuni pezzi appena carini, ma nulla di memorabile. Non capivo l’entusiasmo dei miei amici. Poi vidi il dvd del Rock in Rio, e capii che quella era una band tornata al 110% della loro forma, ed era lì per restare. Infatti adorai il successivo Dance of Death, che aveva un potenza e una grinta rara. Oggi sono più oggettivo verso Brave New World, e lo reputo un ottimo disco, ma continua a non farmi battere il cuore.

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  • Sergente Kabukiman

    Ho sempre preferito dance of death(ma a quanto pare di DOD me ne ricordo solo io, vabbè), ma questo disco è CLAMOROSO. E’ incredibile come i maiden si siano quasi dimenticati dell’apprezzamento avuto da quest’album e si complichino la vita incidendo polpettoni indigeribili come gli ultimi.

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  • Secondo me “The X Factor” non solo è nettamente superiore a questo disco, ma è anche il loro miglior album da “No prayer” fino a oggi.

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  • Andrew 'Old and Wise'

    Terribilmente moscio, mi spiace. All’epoca salvai solo Ghost of The Navigator. Adesso forse nemmeno quella. Non è che siano canzoni brutte, sono NOIOSE, il che è quasi peggio. Si percepisce scolasticità, rigidità, schematicità, prolissità, ripetitività . Sembrano pezzi creati da un computer a cui sia stato caricato un Bignami dei vecchi Iron Maiden.Certo, in confronto a quello che è venuto dopo, BNW rimane un album ascolltabile, ma solo per metà, perchè è davvero troppo troppo troppo ( inutilmente ) lungo. Tutto ciò detto con rammarico, sia chiaro, considerando che a me non era dispiaciuto del tutto nemmeno No prayer for the diyng ( ma Fear of the Dark…. brutto e inutile ). Alla fine, stonature di Blaze a parte, The X Factor vale due o tre BNW.

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  • Gabriele Sorrentino

    Capolavoro assoluto dei maiden da inserire nei loro migliori dischi, poi pian piano il declino.

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