La terza delle ultime battaglie: MANOWAR @Hallenstadion, Zurigo 08.06.2019


Maurizio Diaz: È parecchio tempo che attendiamo questo concerto, un po’ con trepidazione, per i soliti motivi che non dovremmo stare neanche a specificare, tipo che i Manowar spaccano sempre e comunque, un po’ con apprensione perché tutta l’organizzazione ha rischiato plurime volte di saltare. Diciamo che più o meno tutto quello che poteva andare storto è andato storto.

Ma partiamo dall’inizio. Un bel giorno di febbraio Trainspotting e la sua dolce metà ci propongono la trasferta nella frizzante Zurigo e penso: il giorno cade di sabato, Manowar, in Svizzera, Manowar, i biglietti del treno economici sono ancora disponibili, MANOWAR! Noi il sabato non lavoriamo, si va. Prenotiamo tutto il viaggio di andata e ritorno con quattro mesi di anticipo, poi Carlotta mi dice: “Per dieci euro in più è disponibile il gold ticket, che facciamo?”, la mia risposta è “il gold ticket è poco true, Carlotta, è vero, ma è anche vero che noi siamo molto sfortunati, quindi io prenderei il gold”.

Che vi devo dire, devo essermela tirata. Il mese prima, infatti, riceviamo la notizia che mia moglie è obbligata a presenziare a una riunione di lavoro la mattina presto del giorno stesso del concerto, facendole perdere il treno di andata previsto per le 11. Poco male: da Genova a Milano treni ce ne sono e poi da lì lei avrebbe potuto prendere il treno delle 15.25, e così decidiamo di prenotare. Una settimana prima la riunione è slittata alle 11 in via inderogabile. L’unica alternativa percorribile è recuperare mia moglie in macchina e andare insieme a Milano, perdendo anche i miei biglietti di andata originali. Ovviamente la riunione va lunga e la partenza, da che doveva essere alle 12.30, ritarda di oltre un’ora.

Appena mia moglie sale in macchina partiamo di gran carriera, quindi nell’ordine: sbaglio il primissimo svincolo verso Milano, impreco, correggo la rotta, tengo la concentrazione alta tutto il viaggio, in silenzio e teso come una corda di violino fino a che poi non sbotto: “AMMIRATEMI”.

Arriviamo in stazione in condizioni pietose alle 15.20, c’è ancora tempo. Guardo il cartellone delle partenze per il binario: TRENO CANCELLATO. Dopo un’ora di attesa, il gentile steward dell’assistenza ci riferisce che possiamo avere il rimborso del viaggio o provare a raggiungere lo stesso Zurigo, ora di arrivo: 20.50. il concerto inizia alla 20.00. Siamo atterriti, poi la notizia di una soluzione alternativa che ci permetterebbe di arrivare alle 20.20. Mia moglie mi guarda. Barg da distanza che era stato reso partecipe della cosa mi incita: “Porta tua moglie a sentire almeno Black Wind Fire and Steel!”, Carlotta mi incita: “Venite che ci ubriachiamo!”. Poi mia moglie mi guarda e mi dice: “È vero, abbiamo la possibilità del rimborso, ma con che spirito torniamo a casa?”. La mia Valchiria ha ragione, i nostri compagni d’arme hanno ragione: noi questa sera ci conquisteremo il Valhalla.

Saliamo sul treno, cambio a Bellinzona, qualcosa sarà. Nel frattempo rimaniamo in contatto con Barg e Carlotta che ci sostengono a distanza. A Bellinzona l’unica cosa che vogliamo è cercare di rilassarci, visto che più di metà viaggio ce lo siamo fatti stipati su di un trenino regionale, che poi fortunatamente si è svuotato. Entriamo nel bar della stazione, prendiamo due birre in lattina, ci sediamo ai tavolini a ricaricare i telefoni quando improvvisamente sentiamo una simpatica vocina che da dietro il bancone ci dice, con tono perentorio e in perfetto italiano, che lì non potevamo stare con le birre, che avremmo dovuto uscire perché la regola è questa, che non sono loro a farle ecc. Ora io capisco tutto, paese che vai usanze che trovi, io per esempio non sapevo che le bevande da portare via, in Svizzera, fossero sotto un diverso regime fiscale rispetto a quelle consumate al tavolo, ma quantomeno potevi evitare di farmi la ramanzina come fossi un ladro. Chiedo un caffè agli altri ignorando totalmente la ragazza, che ovviamente rincara la dose. Continuo ad ignorarla perché la risposta non sarebbe stata carina, lei è una ragazza e non ho voglia di piazzate. Poi dicono dei liguri. Morte ai nemici del Vero Metal.

L’ultimo tratto dal treno al taxi lo faccio incitando la mia Valchiria cantando Courage, tra gli sguardi attoniti dei passanti perché, ovviamente, canto malissimo, ma ormai non mi interessa più di niente. Entriamo nel palazzetto in ritardo, ma sulle note di Swords in the wind, e le porte del Valhalla si spalancano. Durante l’assolo di deMaio prendiamo posizione davanti al palco e subito dopo parte Kings of Metal.

Manowar Manowar living on the road
When we’re in town speakers explode

Ci tremano occhiali e capelli per i bassi sparati direttamente in faccia e un senso di liberazione mi invade: siamo arrivati. Canto tutto il tempo e mi agito, nella foga rischio anche di dare una testata a mia moglie che si gira e mi dice: ti sei fatto male? Pensavo di averla travolta e invece è tranquillissima: woman of steel. Neanche il tempo di rendersi conto di quello che succede intorno a me e parte subito senza alcuna sosta:

Fighting the world every single day
Fighting the world for the right to play
Heavy metal in my brain
I’m fighting for metal ‘cause it’s here to stay

L’esaltazione. Avevo già visto i Manowar, ma tutta la tensione accumulata della giornata (e in quelle precedenti) viene scaricata istantaneamente, l’adrenalina pompa a mille e vivo tutto il resto del concerto come un adolescente di 15 anni alla sua prima esperienza, nonostante abbia ormai perso il conto del numero di concerti a cui ho assistito. Sapevo che in scaletta c’era anche Thor (the Powerhead), ma nelle precedenti date stava nelle prime posizioni e non ci speravo più. Con mia somma gioia la scaletta è stata rimaneggiata:

Gods, monsters and men
Will die together in the end!

Poi House of death, Hail and kill, ogni grido di Eric Adams è motivo di esaltazione, ogni pezzo va a comporre la colonna sonora della nostra vittoria. Tra l’altro il discorso di Joy DeMaio questa volta è incentrato sui figli di puttana. Assholes. Quelli che ti rendono la vita impossibile, quelli che si mettono sempre di traverso, quelli senza cui il mondo sarebbe splendido. Fuck you! Grida, e noi gridiamo di risposta. Catarsi. Pura, sana e semplice catarsi. A fine concerto ci incontriamo con Roberto e Carlotta. Li abbracciamo, perché alla fine ce l’abbiamo fatta anche grazie a loro. C’era un solo modo per risollevare una giornata partita male, continuata peggio, in un periodo pieno di inenarrabili rotture di palle causate dai soggetti nel discorso di cui sopra: un concerto dei MANOWAR. Quantomeno l’unico modo legale e non penalmente perseguibile.

Drink to the battles we’ve lived and we’ve fought
Celebrate the pain and havoc we have wrought
Great heroes charge into the fight
From the north to the south in the black of night

Fierce is my blade, fierce is my hate
Born to die in battle, I laugh at my fate
Now pay in blood when your blood has been spilled
You’re never forgiven death is fulfilled

The clash of honor calls to stand when others fall
Gods of war feel the power of my sword


Trainspotting: Il mese scorso abbiamo rinunciato ad aggregarci agli eroici Ciccio e Carlo nella trasferta alle Svalbard, manifestazione della potenza dell’heavy metal che domina le avversità naturali e sconfigge le armate degli orsi polari con la sola minaccia dei bicipiti di Eric Adams. Cerchiamo quindi di rimediare con la data di Zurigo, placida cittadina adagiata sulle rive dell’omonimo specchio lacustre su cui i Manowar sono piombati come un nibbio in picchiata che affonda gli artigli nella schiena della sua preda. L’ironia del gruppo più intimamente bellico di sempre che suona nello Stato neutrale per eccellenza è scopertissima. Ma la Svizzera è stata per secoli terra di spietati mercenari, guerrieri indifferenti alla compassione che ricchi signorotti stranieri ingaggiavano per falciare vite umane; tradizione rimasta evidentemente nel sangue degli elvetici che, oggi, sono i maggiori possessori di armi da fuoco di tutta Europa. Così, la presenza dei Manowar in queste terre rese ormai sterili e ingloriose dagli agi della modernità assume più senso. E del resto chi è responsabile di più morti, gli orsi polari o il complesso bancario-finanziario?

Il viaggio è un mezzo incubo, ma la cosa ci fa passare un po’ di senso di colpa per non aver affrontato la suddetta traversata per le Svalbard. Lo Hallenstadion è una fredda e asettica struttura in un freddo e asettico quartiere a due passi dal freddo e asettico centro storico. I metallari con i pantaloni sbrindellati, i capelli in disordine e le scarpe lise sembrano corpi estranei, e ho l’impressione che da un momento all’altro debba passare per le strade una qualche macchina pulitrice che li aspiri per poi triturarli e termovalorizzarli in ossequio alla nuova tendenza nichilista del mondo moderno, simboleggiata dallo sguardo vacuo di una ragazzina con la treccia che, ci assicurano, ci insegnerà come stare al mondo. Guardo gli svizzeri, il loro atteggiamento distante e schifiltoso, i loro ambienti asettici da sala operatoria e le loro movenze robotiche, e rimpiango gli orsi polari. Per sostituire gli svizzeri o per mangiarseli direttamente, questo ancora non l’ho stabilito. Comunque siamo arrivati all’arena: accendiamo un mutuo per comprare un bratwurst e una birra e ci sediamo ad un tavolino. Dopo qualche minuto si avvicina un tizio con lo sguardo stralunato, ci chiede se parliamo inglese e ci mostra sul cellulare la notizia della morte di Andre Matos. Siamo sinceramente stravolti e biascichiamo qualche parola pescando a caso nel campo semantico dell’incredulità, ma c’è pure poco tempo per il cordoglio, perché dobbiamo entrare e prendere posto: peraltro, contrariamente a ogni stereotipo sulla puntualità svizzera, il concerto sta iniziando in ritardo di almeno un quarto d’ora.

Le note di Manowar iniziano a diffondersi mentre sulla scenografia sale una dozzina di uomini vestiti da guerrieri con il martello di Thor dipinto sullo scudo. Ritorneranno più volte, sostituendo all’occorrenza la spada con le bandiere simboleggianti i warriors of the world. Non ho mai visto un palco così per un concerto dei Manowar, e per me questa credo che sia la nona o decima volta. Fatico anche a ricordarmi una scaletta migliore, tra Thor, Battle Hymn, The Power of thy Sword e perfino Swords in the Wind. Alla fine da Warriors of the World ne suoneranno cinque, comprese Call to Arms, l’eponima, Hand of Doom e House of Death, confermando quel disco come ultimo vero capolavoro assoluto dei kings of metal, nonché perfetto per essere riprodotto dal vivo. Non faranno nulla da Into Glory Ride e Louder than Hell, ma non si può avere tutto dalla vita: del resto fino al 2001 è stato tutto perfetto, e qualsiasi esclusione è comunque un colpo al cuore.

L’ora e mezza abbondante di concerto è un’apoteosi, anche più del solito. Joey ed Eric sono presi benissimo, sorridono e scherzano tutto il tempo, sia tra loro che col pubblico, e questa sera la macchina da guerra è più oliata e letale che mai. Il ragazzino che hanno messo alla chitarra fa la sua parte in maniera eccellente, con un’espressione di giubilo perenne a deformargli il viso, com’è giusto che sia, del resto, visto che questo una mattina si è svegliato e ha ricevuto una telefonata di Joey DeMaio che gli comunicava di averlo scelto per entrare nei Manowar, e suppongo che da quel giorno il tizio non sia più riuscito a dormire. Di tutto il resto non c’è molto da dire che non sia MANOWAR!!!, ma ulteriori dettagli li ha già dati il nostro Maresciallo Diaz, che mi vedo piombare alle spalle alla fine del concerto dopo un viaggio Genova-Zurigo molto peggiore di una lotta a mani nude con un branco di orsi polari. Ora scusatemi, ma devo organizzare la quarta delle ultime battaglie.

3 commenti

  • Non lo so. Tendono a imbarazzarmi i Manowar. È come quando devi presentare l’amico disadattato in un contesto formale. Gli vuoi un bene dell’anima, lo sai benissimo che la sua autenticità rappresenta la parte più pura di te stesso. Ma sai anche che è capace di dire la verità quando qualsiasi verità è fuori luogo, perché dall’altra parte c’è qualcuno che non capirebbe un cazzo. Tra l’altro: chi te l’ha chiesta la verità? La tua verità? A chi serve se è solo orientata a distruggere? Ernesto Sabato ha scritto pagine memorabili sulla questione. Sopra eroi e tombe bisognerebbe leggerlo e rileggerlo sul serio. Non solo perché Tompa Lindberg ne ha preso spunto per i suoi testi. E poi i Manowar piacciono a mio fratello. E quando qualcosa piace a mio fratello tendo a infastidirmi.

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  • A parte qualche episodio isolato non li ho mai digeriti, in ambito Epic preferisco molto più Cirith Ungol, Manilla Road, Virgin Steele. Sempre con quell’atteggiamento da “nessuno suona come noi” quando c’erano band come Iron Maiden, Saxon, King Diamond, Dio che erano e sono decisamente superiori sia dal punto di vista tecnico/musicale che da quello dei testi. Se si fossero risparmiati tutte le varie dichiarazioni di onnipotenza che hanno rilasciato in carriera starebbero sulle palle a molta meno gente.

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