Quando c’era MySpace: LATITUDES – Part Island
Seguo i Latitudes da quando li scoprii su MySpace ai tempi del loro debutto del 2009, Agonist. Da allora ne sono rimasto innamorato e ho aspettato l’uscita di ogni loro album – a scadenza quasi sempre triennale – con immensa trepidazione, fino a questo Part Island, quarto LP.
A chiunque non sia me in realtà i Latitudes potrebbero sembrare un semplice gruppo post-metal europeo qualunque tra quelli comparsi negli ultimi decenni, forse anche un po’ in ritardo rispetto alle principali band e al periodo d’oro in cui questo sottogenere si stava imponendo nell’universo metal. L’unica particolarità (che non è neanche troppo particolare nella scena) è che le loro canzoni erano quasi tutte interamente strumentali. Infatti proprio i Pelican, gruppo che ha quasi sempre pubblicato dischi totalmente strumentali, sono i primi che vengono in mente ascoltando i britannici – soprattutto per quanto riguarda i loro primi dischi.
La voce, sempre pulita, non appariva che molto raramente, come dall’aldilà o in un sogno. Il fatto che quella voce così soave si inserisse su una base quasi sludge e comparisse su una media di due canzoni su otto riusciva a trasformare questa cosa abbastanza ordinaria in qualcosa di speciale. Tanto che i Latitudes hanno pubblicizzato Part Island come il loro primo album in cui tutte le canzoni sono cantate. Il risultato è ancora più etereo. Meno pesante dei primi due lavori, Agonist e Individuation, meno agitato e movimentato del precedente Old Sunlight, ma più evocativo di tutti gli altri messi assieme. Una traccia come Dovestone, emblema della nuova direzione artistica intrapresta dal gruppo britannico, è quasi doom/stoner nel suo incedere e, più che i Pelican, ricorda a tratti un altro gruppo, del quale parlai su queste pagine digitali in passato: gli Ancestors.
Proprio Old Sunlight era uscito nel 2016, anno in cui sono entrato nella sordida ciurma di Metal Skunk. Essendo uscito a gennaio però non avevo fatto in tempo a recensirlo e avevo solo potuto inserirlo nella playlist di fine anno come miglior album. Siamo solo ad aprile, ma credo che Part Island farà esattamente la stessa fine. (Edoardo)



Ottimi per il mio scintillante sistema nervoso !
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Bellissimo disco al confine tra post metal e doom, basato su un gran lavoro di chitarre su cui si posano momenti delicati e malinconici, che si tiene lontano da crescendo banalotti e non annoia mai. La title track in chiusura è stupenda, con quelle frustate in tremolo picking che profumano di Agalloch…
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