La pacchia è finita: HOTH – Astral Necromancy

Sono tornati gli Hoth e la pacchia è finita per tutti, amici del vero metallo. Basta a dire che gli americani non sanno fare black metal, basta a dire che i nuovi gruppi sono tutti da buttare e basta a dire che gli Hoth sono buoni solo a copiare gli altri. Ok, quest’ultima l’avevo detta io la volta scorsa in occasione della recensione di Oathbreaker, il secondo ed interessantissimo album del duo di Seattle. Però non è che avessi torto. Quel disco lì era un potpourri di roba e di intuizioni buttate in mezzo un po’ alla cazzo di cane che ebbero comunque il risultato di donarci un dischetto davvero niente male. Ricordo che una sera lo ascoltammo a redazione riunita e non sapevamo come catalogarlo, tante erano le influenze e i riferimenti che ognuno tirava fuori ogni volta che si passava al pezzo successivo. Alla fine Oathbreaker lo apprezzi da subito perché è immediatissimo, è paraculissimo, le melodie sono quelle giuste, si sente un po’ di Svezia, un po’ di Germania, anche un po’ di Satana ma, alla fine, è come la proverbiale scatola di cioccolatini di Forrest Gump, ti lascia così e quindi lo dimentichi presto. Album che invece difficilmente riuscirò a dimenticare è questo Astral Necromancy. Praticamente è da prima dell’estate che non ascolto altro e non vedo l’ora di chiudere questa recensione così passo finalmente al nuovo Voivod che sta lì ad aspettarmi.

Quindi, è da qualche mese che cerco invano di trovare qualche difetto reale al nuovo Hoth, per confermare ancora una volta la teoria che gli americani non sanno fare black metal e che le nuove generazioni non hanno niente da dire e che la vita è una merda, etc. etc. E invece no, la pacchia è finita. Ma è finita soprattutto per gli Hoth stessi, perché adesso che hanno trovato una propria dimensione (che è sempre quella che orbita intorno ad un black metal atmosferico), adesso che li ascolti e riesci a riconoscerli immediatamente, si ritroveranno anche loro a fare un giro sulla crudele giostra delle aspettative dei fan (tra i quali mi ci metto pure io adesso). 

Dal 2014 (anno di pubblicazione di Oathbreaker) ad oggi ho imparato che esiste una cosa che chiamano Cosmic Black Metal, la cui fantascientifica categoria vede la presenza di gente tipo: il disturbante terzetto svizzero Darkspace (ne parlai quando praticamente ne scoprii l’esistenza, e da quel dì, purtroppo, non hanno fatto più nulla); i Progenie Terrestre Pura (dei quali conoscete vita, morte e miracoli in quanto da queste parti sono molto apprezzati – a proposito è uscito un nuovo EP, starCross, col quale sembrano voler ripartire da quel meraviglioso movimento di black elettronico venuto fuori sulle impronte di Passage tra la fine dei ’90 e i primi 2000 principalmente grazie ai Covenant/The Kovenant e agli …and Oceans); gli australiani Midnight Odyssey e i Mesarthim che sono australiani anche loro (ed in quanto tali la fiducia c’è a prescindere) e fanno un black atmosfericissimo e gelato che mi aveva incuriosito per via del disco no compromise coi titoli scritti in codice Morse (nel frattempo che cerchiamo di capire se questa a dir poco strana deriva alla Summoning in salsa trance/retrowave presa dall’ultimo The Density Parameter sia una cosa geniale o una cagata pazzesca, recuperate quell’altro che non era affatto male). Detto ciò, io a queste categorie che piacciono tanto ai blogger americani non mi appassiono mai più di tanto, però a volte ti fanno scoprire cose interessanti.

Tornando agli Hoth, i difetti dicevo. L’unico difetto che ci vedo è che alcuni brani non sono autoconclusivi, bensì sfumati, e a me i brani che finiscono sfumati mi fanno incazzare. A parte questa fisima del tutto personale, Astral Necromancy non ha un filler che sia uno, snocciola un singolo bomba appresso all’altro, la struttura dei brani è molto semplice, efficacissima e caratterizzata da melodie dal gancio immediato e da questi riffoni che te lo fanno diventare durissimo. A tratti sembrano, come il buon Tola ha detto, i power metallers di Satana, con questi cori zumpappà e la batteria a manetta e lo scream black. Insomma, amici, qua di cazzimma ce ne sta a pacchi. Album che entra di diritto nelle zone alte (ma non altissime) della playlist di fine anno. Straconsigliato. (Charles)

12 commenti

  • Quelli che dicono che gli americani non sanno fare il black metal usufruiscono della indennità di accompagnamento per grave invalidità al 100%

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    • Absu, Judas Iscariot, Acheron, Leviathan, Xasthur, Grand Belial’s Key VS Darkthrone, Immortal, Emperor, Marduk, Mayhem, Burzum e si potrebbe continuare a lungo.
      Storicamente non c’è partita con la vecchia Europa. Oggi invece le cose stanno molto diversamente.

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  • Il black è nato in Europa, storicamente non si apre proprio la discussione. È il concetto di voler limitare geograficamente un genere ad essere profondamente ottuso. Soprattutto con gli USA, talmente vasti e costellati di gruppi fantastici…

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    • Sì, certo. Sono, d’accordo concettualmente. Ma a parte Chaos Moon, Wolves in the Throne Room e Panopticon non mi vengono in mente gruppi significativi in ambito strettamente statunitense. Tieni presente che stai interloquendo con un vecchio, però. Quindi se hai da segnalarmi qualcosa di valido che mi sono perso, ben venga.
      Dal canto mio, Polonia e Grecia a parte (scene attuali molto interessanti), trovo che la Norvegia stia dando segnali di risveglio. Quest’anno è uscita roba veramente interessante. Per esempio Mare (Ebony Tower) e One Tail, One Head.

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      • Ti segnalo i primi che mi vengono in mente, a largo spettro. Per me sono tutti gruppi quantomeno validissimi: Krieg, Castevet, Krallice, Aevangelist, Weakling, Ashbringer, Bosse de Nage, Yellow Eyes, Ash Borer, Cobalt… poi non so se consideri black anche Demoncy, Angelcorpse e Profanatica.

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  • speravo ne parlaste! è un balzo nell’iperspazio rispetto al già ottimo oathbreaker. Top ten anche per loro garantita.
    Visto che tirate in ballo i Mesarthim, spendeteci due righe. So di non essere l’unico metallaro deviato con la retro/synthwave.

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  • Grazie blogthrower. Conosco tutte le cose più vecchie che hai citato (Weakling su tutti, grandissimi tra l’altro ma…defunti?).
    I Krallice non li digerisco proprio e gli Ashbringer mi sembrano banali. Cobalt mi piacciono invece e proverò gli Aevangelist.
    Prosit.

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  • Apro una ‘parente’ in tema col black metal odierno che m’ha veramente frantumato le palle. Per favore: basta co’ ste cazzo de intro di 3 minuti e cinquanta fatte di gente femmina che smania per un clistere troppo tiepido. Basta con le spoken words che per quanto mi riguarda potrebbero pure trattare de quello che s’è magnato mi’ zio a Pasqua. Basta con i palantìr cascati alle 4 del mattino a quello del piano de sopra (Burzum – Belus). Basta con i rumori del trapano a batterie de Ikea avvicinato all’uccello per montare i peli pubici a neve co’ relativi strilli a cazzo de cane. Basta co’ i chirichetti che fanno i cori su tappeto ambient sonato co’ la Bontempi. Porcodio.
    Pure sti Aevangelist, stessa cosa. Ho provato a sentirli in macchina oggi mentre macinavo un centinaio di km per tornare a casa. E aridaje co’ ste intro monster di gesú bambino. Ho cominciato a smaniare e a bestemmiare a rotta di collo mentre ero fermo a un semaforo. Finestrino abbassato per la coda estiva della classica ottobrata romana. Uno mi fa: che hai preso pure te a buca de 20 metri fa (udendo le mie bestemmie)? No, guarda, sò le intro co’ i trapani attaccati ar cazzo.
    Ha alzato il finestrino rapido.
    Il Black Metal è una cosa seria. Fateci la cortesia di smettere.

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  • Ma è un discone! Grazie Charles per la segnalazione.

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