FOLKSTONE // CRISTINA D’AVENA @Luccacomics 2016

Una delle svolte cruciali della mia vita fu il momento in cui mi trasferii in una città con una fumetteria sotto casa. Certo, ora ce n’è una ad ogni angolo, ma non è sempre stato così. Erano i primi anni di università, il periodo in cui si era tutti infognatissimi con Dragon Ball e io e Luciano avevamo l’appuntamento fisso alle 14 per vedere la puntata. Dato che eravamo adolescenti ed entusiasti, fantasticavamo sempre sul vestirci a Carnevale: io da Piccolo, lui da Gohan. A posteriori, sospetto che sia stata la prospettiva di versarmi addosso dieci litri di colore verde a costituire il vero freno a codesto progetto. Poi la vita prende svolte inaspettate; si rimanda, si rimanda e si rischia di finire vecchi e inaciditi e pieni di rimpianti. Rischio che io ho fortunatamente evitato: infatti ho 35 anni, spacco più di prima e il mio me stesso quindicenne sarebbe fierissimo di me. Però, nonostante tutto, io e Luciano non ci siamo mai più vestiti da personaggi di Dragon Ball. Del resto si può spaccare quanto si vuole, ma qualche rimpianto è inevitabile in ogni caso.

Proprio perché la vita prende svolte inaspettate, quest’anno sono finalmente riuscito ad andare al Luccacomics. Non mi sento parte della comunità nerd, perché è diventata un fenomeno decisamente di moda e si è di conseguenza atrofizzato: io faccio parte di quella generazione che si interessava a certe cose quando queste erano viste malissimo dai nostri coetanei, e soprattutto non aveva un canone preciso da seguire su cosa o non cosa rientrasse in questa categoria. Venticinque anni fa se giocavi al Supernintendo eri uno sfigato probabilmente ricchione; adesso Balotelli twitta su quanto sia fico il nuovo Call of Duty o che so io, vantandosi di aver passato tutta la notte a videogiocare con i suoi fantastici amici truzzi. Similmente, da ragazzino stavo infognato con le cose giapponesi ma Star Trek mi sembrava una scoreggia nello spazio, citando un grande filosofo di quegli anni. Per non parlare dei supereroi della Marvel: il solo fatto che noi avessimo Martin Mystère e gli americani l’Uomo Ragno mi sembrava una palese dimostrazione della nostra superiorità intellettuale. Poi è arrivato qualche furbacchione che ha intuito il business e ci si è buttato a capofitto, col risultato che oggi i tamarri hanno la maglietta di Batman e di contro la categoria dei nerd, teoricamente anarcoide e inafferrabile per definizione, si è trasformata in una target di mercato che segue più o meno in massa le stesse cose e si fa spremere come un limone. Mutatis mutandis, si può riprendere il discorso fatto da quell’invertito del Masticatore a proposito della diversa percezione di sé della categoria di metallaro.

Però il Luccacomics, credetemi, spacca. E poi quest’anno c’erano i Folkstone, che per qualche motivo sono stati messi come gruppo conclusivo del concertone di sabato sera. È anche vero i concerti folk metal sono un po’ l’equivalente del Luccacomics nel mondo del metallo: la gente si traveste, fa finta di appartenere a un mondo immaginario, spende un sacco di soldi alle bancarelle delle riproduzioni di vestiti e accessori, e beve un sacco di birra. Ormai fanno pure i maglioni natalizi dei Finntroll, quindi anche qui c’è qualche furbacchione che ha fiutato la miniera d’oro. Il giorno dopo suoneranno i Nanowar, che grazie al gemellaggio con la pagina “Feudalesimo e libertà” sono entrati di prepotenza nel circuito. Io però la domenica sera non ci sono, quindi rimarrò col ricordo dell’esibizione all’Agglutination ascoltata dal bar del paese.

Insomma girando per i padiglioni di Lucca nel pomeriggio avevamo incontrato l’arpista dei Folkstone, che ci aveva detto che per dei problemi tecnici avrebbero cominciato più tardi; noi ci aggiungiamo il nostro usuale quarto d’ora accademico, arriviamo alle 22 convinti di esere in ritardo ma ci ritroviamo ancora Cristina D’Avena sul palco nel tripudio delle masse. C’è una folla oceanica che manco in certe adunate crucche di qualche tempo fa, con peraltro un fanatismo tra il pubblico molto simile.  Lei è un po’ sfiatata, quindi si è portata dietro un coro di parecchi elementi; non so quanti di preciso, dato che tra noi e il palco c’è un campo da calcio di gente, ma comunque abbastanza perché, a fine concerto, vengano ringraziati individualmente con delle scritte sui teleschermi; e comprendo  anche il motivo, perché probabilmente a nominarli uno a uno avremmo fatto l’afterhour.

RAISE YOUR FUCKING PELUCHES

RAISE YOUR FUCKING PELUCHES

Ora però d’accordo che siamo un blog atipico e che spesso ci occupiamo di faccende distantissime dalla musica come le lezioni di barbecue o le recensioni dei film di Raul Bova, ma fare il report del concerto di Cristina D’avena mi sembra eccessivo. Vi basti sapere che durante la sigla di One Piece mi sono messo a cantare con la birra per aria manco fossi ad un concerto degli Accept a Monaco di Baviera durante l’Oktoberfest del 1985. Se in quel momento mi avessero visto gli organizzatori del Luccacomics mi avrebbero scelto come mascotte per l’anno successivo, con fornitura di birra gratis e possibilità di decidere l’headliner del sabato sera. Io avrei ovviamente scelto Luca Turilli.

I Folkstone cominciano dunque alle 22.40, con più di un’ora e mezza di ritardo sul programma ufficiale, con la conseguenza di essere costretti a suonare una scaletta ridotta. Rimarranno sul palco giusto un’oretta, con una setlist incentrata soprattutto sui due dischi più recenti, Il Confine e Oltre… l’Abisso. Non mi aspettavo rimanesse tanta gente dopo Cristina D’Avena, ma quando sento che intorno a me in moltissimi cantano i ritornelli a memoria capisco che parecchi sono venuti appositamente per loro; e sono sicuro che altri fan se li saranno guadagnati proprio in questo frangente, perché come detto altre volte i bergamaschi dal vivo hanno pochissimi rivali. Ci potrebbe essere ancora più gente, forse, ma sono sicuro che qualcuno sia scappato via a causa dell’immonda puzza di piscio che emana dal tappetino di erba sintetica antifango (ma non, evidentemente, antipiscio) che funge da pavimento. Un fetore disgustoso, ve lo posso giurare. Chissà se si sentiva anche durante il concerto della D’Avena; noi non possiamo saperlo perché eravamo piazzati molto più dietro, e senza tappetino fetente sotto; ma, se si fosse sentito, avrebbe dato un bel senso di straniamento nel pensare a qualche ubriaco vestito da Darth Vader, magari preso male da qualche droga sintetica, che mentre tutti zompettano allegri durante la sigla di Creamy si piscia addosso e collassa sul tappetino vomitandosi nella maschera. L’essere noi rimasti lì imperterriti durante i Folkstone, trattenendo i conati di vomito per quella rancida puzza di schifo, ci avrà sicuramente garantito molti punti-Valhalla.

I Folkstone se la cavano benissimo come al solito. Rispetto alle altre volte che li ho visti, però, il suono era peggiore. Loro sono riusciti ad essere l’unico gruppo con una bella resa sonora durante l’intero ultimo Fosch Fest, e invece adesso per la prima volta li ascolto con un suono loffio. Purtroppo però, a causa probabilmente del ritardo accumulatosi in precedenza, rimangono sul palco solo un’ora. Giusto il tempo di accorgersi che hanno preso il sosia di Fidel Castro in formazione e finisce tutto. Ma non fa niente: la prossima volta li rivedremo da headliner, con un suono decente e senza puzza di piscio, speriamo.

PS: Comunque, anche se ho ormai definitivamente abbandonato l’idea di vestirmi da Piccolo, quest’anno io e la mia compagna di merende abbiamo girato per due giorni al Luccacomics vestiti così. Grazie, grazie, voglio bene a tutti. La gente non lo sa davvero, cosa si perde.

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