FOLKSTONE @Viper Theatre, Grassina (FI) – 29.11.2025
Foto di Marco Belardi
Non ho intenzione di scrivere un semplice report del concerto dei Folkstone. Mi soffermerò, piuttosto, su cosa abbia significato per il sottoscritto andare a un concerto al Viper Theatre senza essere fisicamente al Viper Theatre, ossia il locale rock fiorentino verso il quale – per motivi personali, oltre che da scribacchino – ho provato il maggior senso di attaccamento. Per coloro che non lo sapessero il Viper Theatre è andato in fiamme nella passata estate, e la sua attuale programmazione è stata dirottata in due stabili aventi luogo in Scandicci e Grassina. I Folkstone, sabato scorso, hanno suonato proprio a Grassina, nella serata più fredda di questo novembre. E si è trattato di un ritorno a tutti gli effetti, dopo le loro date, se non erro, nelle annate 2019 e 2023.
La Casa del Popolo di Grassina l’ho trovata gigantesca. Il navigatore mi aveva pure fatto sbagliare strada, tanto che mi ero ingegnato per parcheggiare in una angusta stradina senza fondo, per poi scoprire che il parcheggio della Casa del Popolo fosse a sua volta gigantesco. Pochi metallari fuori, qualcuno in più al bar a rifocillarsi chi di birra, chi di cioccolata calda e intrugli del genere. Sulla mano mi hanno fatto il timbro cinque o sei volte, sempre sopra allo stesso punto: quando l’ho guardato assomigliava a una via di mezzo fra un vaccino per il vaiolo, un tumore e un pestaggio in piena regola. Se mai l’avesse visto il mio medico curante, che per l’occasione saluto, mi avrebbe subito prescritto duecento euro di analisi del sangue da fare con estrema urgenza. Vista da dentro, l’area concerti era enorme, e non saprei paragonare la sua capienza a quella del Viper Theatre originale, che si aggirava attorno agli ottocento o novecento posti. Il soffitto l’ho trovato altissimo, e riscaldare l’ambiente è stato pressoché impossibile per i presenti, che ho stimato fra le duecentocinquanta e le trecento anime. Ma fidatevi fino a un certo punto, perché, quanto a stime sui presenti, io faccio schifo. L’errore più grosso l’ho fatto lasciando il parka all’attaccapanni, e presentandomi alla transenna per i fotografi con indosso una felpa leggera col cappuccio. Il mal di gola non mi è ancora andato via.
Ritrovare alcuni tratti distintivi del Viper Theatre è stato un toccasana: il suo logo dappertutto, oppure la transenna per i fotografi con le consuete seggette metalliche, strette, che ti fanno la forma al culo. Il palco, al contrario, altissimo ed estremamente profondo, un beneficio per i Folkstone, che numericamente parlando rasentano il concetto di squadra di calcio. Il concerto è iniziato con un ritardo di circa mezz’ora, forse qualcosa in più: l’idea di essere accreditato qui e non ai Pestilence a Bologna, perché domenica mattina lavoro e almeno non torno tardi!, aveva iniziato a naufragare anzitempo.
Nel frattempo arrivava Alessandro di Rockol in transenna, Nikon al collo, e una brutta macchia nera sul dorso della mano che non riusciva a smettere di guardarsi: via ai Folkstone. Non so che scrivere sul loro concerto. Il loro attivismo è forte e fa parlare di sé su Confini come su Lacrime di marmo dedicata allo scempio sulle Alpi Apuane. Che l’attivismo, la propaganda, la politicizzazione in un contesto del genere debbano esserci non spetta a me deciderlo; è una scelta dei Folkstone e loro hanno intrapreso questa via molto tempo fa. Che Damnati ad Metalla fosse un album più idoneo ai gusti di un metallaro rispetto alle ultime pubblicazioni è invece un dato di fatto. Il punto è semmai un altro.
Mi giro e vedo tutte queste persone, alcune delle quali neanche definiresti metallare, cantare a menadito ogni loro canzone, specie le più contemporanee. Si fanno trascinare, saltano e ballano, incitano e godono del momento. Che cazzo vuoi dirgli ai Folkstone? Che non sono più i Folkstone di Damnati ad Metalla? È un gruppo estremamente preparato e che ha fatto un percorso che oggigiorno non combacia più assolutamente con quelle che sono le mie esigenze personali di appassionato di musica: un po’ come quando i Lacuna Coil fecero il salto da In a Reverie a Unleashed Memories e Comalies e si andava dicendo che non erano più loro. Generalmente ne fuoriesce un pubblico e ne subentra un altro, è dal 1991 che siamo abituati a tutto questo. Per cui finché subentra un pubblico io do e darò puntualmente ragione alla band di turno, anche se questa non fa più il mio, chiamiamolo così, “interesse”.
Lorenzo al microfono tiene il palco che è una bellezza. È l’unico costantemente illuminato in modo corretto dai tremila faretti che roteano sopra la sua testa, e gran parte delle foto che vedrete lo riguarderanno, anche perché, è risaputo, dopo tre pezzi normalmente si sloggia dalla transenna. Il fatto di risaltare in codesto modo fa tuttavia luce su un aspetto fondamentale in qualsiasi band: che il tuo gruppo abbia tre elementi come i Motorhead, o nove, un frontman deve pur sempre esserci, e lui lo è. Aspetto a gloria il cacacazzo che mi scrive che in seguito a Another Perfect Day i Motorhead divennero, per qualche tempo, quattro.
Vedo i Folkstone come un gruppo di ingresso per il metallo per una marea di persone, e simili realtà sono assolutamente necessari per la sopravvivenza dell’intero circuito. Li vedo, inoltre, come uno spettacolo visivo importante e che non può prescindere dalla disponibilità di palchi come questo: mi sarei semmai aspettato più persone, un numero fra le quattrocento e le cinquecento, forse, un numero che al vecchio Viper Theatre, allorché vi suonarono, sicuramente raggiunsero e superarono senza difficoltà. Non so individuare i motivi del mancato raggiungimento: i fiorentini hanno avuto come allenatore Stefano Pioli fino a ieri e questo potrebbe tranquillamente essere un motivo, come anche il freddo fuori dal locale, oppure il freddo dentro al locale ancor peggiore del freddo fuori dal locale. Oppure l’imprevedibilità, perché oggigiorno un gruppo grindcore con membri attivi sui social network riempie posti come questo, e un gruppo affermato e con una scaletta forte, aldilà dei gusti personali di chi, come me, se vuol sorridere e degustare del metal leggerino, preferisce metter su i Tankard, fatica nel farlo. Tempi strani per il metal, a volte penso che a Firenze, dopo l’era dell’Auditorium Flog, i concerti metal di un certo tipo non manchino per mancanza di spirito imprenditoriale d’alto livello da parte degli organizzatori, ma perché questo, e di peggio, ci meritiamo noi che ai concerti ci andiamo.
Per il resto, era glaciale a parte, poiché le tre tipe al banco bar non stavano spinando un quantitativo di birre ghiacciate degno di un concerto metal per il semplice fatto che i consumatori sarebbero deceduti un attimo più tardi averla sorseggiata, riassumerò così: palco un po’ troppo alto, luci bellissime, acustica nella media. Entrare in un locale che si chiama Viper Theatre, e che eppure non è il Viper Theatre, un po’ di effetto lo fa. Spero solo che la programmazione metal nel suddetto non si limiti, in futuro, alla comparsata dei soli bergamaschi: altrimenti noi qua siamo del gatto. Ma poi se viene qualcuno i posti glieli riempiamo? (Marco Belardi)













