PARADISE LOST – Ascension
Ho una domanda marzulliana alla base di questa recensione: preferite un album con un singolo che rimarrà nella storia, e poco altro, o un album gradevole da cima a fondo pur essendo privo di particolari picchi? Io la mia risposta ce l’ho, e scelgo comunque il primo caso. E lo scelgo perché i Paradise Lost hanno scritto, sia in età giovanile che in età adulta, canzoni da ricordare in eterno. Ne trovate in Gothic, ne trovate nel criticato One Second, e nei recenti The Plague Within e Obsidian individuo senza alcuna fatica svariati titoli che, non me ne vergogno, inserirei di diritto in un loro greatest hits.
Temevo un po’ Ascension perché questo è un gruppo che, nonostante abbia il cantante che sta tendendo all’afono, una percentuale di calvizie che rasenta l’80% dei componenti e testi che parlano di morte, brilla di vita propria come pochi altri gruppi storici. Sostanzialmente attendo con grande curiosità i loro album perché so con certezza che mi meraviglieranno ancora una volta. Ci saranno sempre una o due canzoni che canticchierò in futuro, come Ghosts, No Hope in Sight, Fear of Impending Hell o Faith Divides Us, quella col videoclip col maniaco parrucchiere. E badate bene, non ho scomodato una Embers Fire di proposito. I Paradise Lost col cantante afono stanno continuando a scrivere la storia, non solo la loro ma anche quella del metal. Non sono anacronistici, bolliti, finiti. Questo nonostante l’aver dedicato tempo ed energie a progetti che non ritenevo del tutto opportuni, come il ritornare su Icon o incidere roba a nome Host.
Il primo impatto con Ascension non è stato uguale a quello con Obsidian. In quel caso mi ci volle poco a stabilire che Fall From Grace e Ghosts fossero due canzoni estremamente diverse fra loro ma ugualmente bellissime, del tutto sufficienti a consacrare l’album come uno fra i migliori del periodo della rinascita e stabilizzazione artistica che ritengo aver avuto inizio con In Requiem.
Di Ascension inizialmente mi piaceva tutto, ma non mi entusiasmava niente. Dopodiché è cresciuto. Non mi metto a strapparmi i capelli così da diventare rapidamente uno di loro: l’ottimo Guido Montanarini credo avesse superato le affollate audizioni proprio in questa maniera, adesso mi risulta fuori dalla band e sicuramente li sta facendo ricrescere. Però, anche se in esso non individuo una The Last Time – sì, stavolta ho richiamato un classico alla memoria – Ascension non cala quasi mai, e gli va resa pertanto giustizia.
È un po’ come con Medusa. Un disco tanto metallaro, a tratti privo del contrasto fra doom metal e ruffianaggine gothic anni Ottanta che inizialmente criticavamo, e che in seguito abbiamo compreso quanto fosse l’elemento fondamentale del loro stile. Soltanto che Ascension non è un ascolto difficile, quasi indigesto, come per molti si è rivelato Medusa. Anche se la prima metà di Medusa me la ricordo piuttosto bene, e stilisticamente lo adoro, nonostante non potesse essere considerato un surplus rispetto a quel che già usciva a nome Vallenfyre.
Ascension ha qualcosina del tono grintoso e ritmato che fu peculiarità di Shades of God, con poca modernità al suo seguito. La conclusiva A Life Unknown è l’unica che richiama il gothic rock in maniera decisa. La prima metà dell’album gioca sul sicuro, son tutte belline, in buona parte sono state scelte come singoli e le conoscerete da settimane. La seconda metà è francamente più interessante. Sirens avrebbero potuto scriverla i Metallica subito dopo il Black Album, con tanto di ripristino dello stile vocale noto su Icon e Draconian Times. Savage Days è ruffiana ed efficace nella sua prorompente decadenza. The Precipice metterebbe voglia di ammazzarsi a uno che ha appena trombato due sorelle gemelle.
Greg Mackintosh è come Kenny Hickey, un chitarrista doom che adoro. Il primo per i memorabili e funerei lead di chitarra, il secondo per i riff qualunque fosse l’approccio e il genere che andasse affrontando. Per capirci, l’attacco di Blood and Fire era da manuale dell’hard rock, eppure stava su Bloody Kisses. Greg Mackintosh non possiede quella varietà d’esprimersi, ma ha la capacità di farsi riconoscere immediatamente.
Nick Holmes è strabico come certa gente nella dirigenza dell’Inter e ha metà della voce che aveva vent’anni fa, eppure starei a sentirlo cantare per ore. Rende al cento per cento nonostante sia a mezzo servizio, qui. È dal vivo che avrei un po’ paura di ritrovarmelo davanti, a casse accese.
In conclusione dico che Ascension è l’ennesimo buon album di una band che non è capace di sbagliarne uno dal 2007, dopo che, per un decennio tutto, gli avevamo tirato addosso intere fosse biologiche. Quando decideranno di andare in pensione dovremmo perdonar loro un Symbol of Life o un Believe in Nothing, e comprendere che in fin dei conti hanno sì sbagliato, ma pochissimo. I riffoni quasi heavy metal, a tratti veloci e taglienti, che caratterizzano le principali canzoni di Ascension sono il suo punto di forza. Non c’è una bomba di canzone qui dentro, anche se Tyrants Serenade ne possiede quasi ogni tratto. Mettetelo su e godetevelo da cima a fondo. (Marco Belardi)





bah. Ascoltato una volta, lo trovo in gran parte pessimo. Alcune canzoni non hanno né capo né coda, tipo Deceivers che veramente è un’accozzaglia di riff a caso, incollati con lo sputo modalità ultimi metallica. Holmes pessimo come da dieci anni a questa parte.
E poi basta paragonare questa roba a Shades of a God, veramente è imbarazzante.
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sarò io di bocca buona, ma a me piace… capace di portarmelo in top 2025.
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Bello. Al netto di qualche pezzo un po’ moscio quest’album ha dei riff che non mi si scollano dalla testa.
Nota di demerito per la merda generata in AI del video di Serpent on a Cross, chiunque abbia avuto l’idea di farlo merita la peggior gogna dell’internet
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Meglio dei tre precedenti messi insieme. Almeno quattro ottime canzoni, il resto più che dignitoso.
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È un gran bell’album.
Vi siete dimenticati di menzionare che capolavoro è Salvation, con il primo guest della loro storia!
Alan Averill dei Primordial, mica cazzi..
P.s.
concordo che in ogni album ci sono dei pezzi spettacolari, e aggiungo: Believe in Nothing incluso!
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