Firenze Metal: Burn the Clubs vol. 1 @Officina Civica – 12.04.2025

In cuor mio chiamerò questo locale Cycle Club per tutta la vita. È un parallelepipedo rossastro che svetta su una zona industriale a Calenzano, praticamente dietro a casa mia. In passato ci hanno suonato Hirax e Toxik, Nile e Suffocation, Incantation, e, dulcis in fundo, Destruction e Nervosa nel corso di una serata in cui accadde un casino irrilevante, se comparato a quello mediatico che crebbe nei giorni seguenti. Cercate su Google se non mi credete.

Non ha una capienza significativa, e deduco possa ospitare un massimo di duecentocinquanta anime, trecento a voler esagerare. Sono felice che ci ospiti nuovamente concerti, perché rappresenta un pezzo della storia metallara fiorentina.

Il locale oggigiorno si chiama Officina Civica, un buon nome da associazione culturale che ospita il club del libro e cose del genere. Vi spiegherò più avanti perché, tirando a indovinare, ci ho azzeccato alla prima: è stato sufficiente andare a spulciare fra i ripiani di uno scaffale e poi girare un cartellone che non per niente era stato girato.

No One Cares – ph: Marco Belardi

La manifestazione in programma è stata denominata Burn the Clubs vol. 1 dalla solita organizzazione che ha sinora portato al Viper Theatre, e altrove, gruppi del calibro di Fleshgod Apocalypse, Cripple Bastards, Mortuary Drape e via discorrendo. Tutta roba italiana, di stampo un cinquanta percento moderno e un cinquanta percento estremo.

Il giorno che Firenze Metal dà un sottotitolo del genere, o come Metal Forever, a una sua manifestazione, significa che è un esperimento o un evento secondario. Di secondario, dal momento che in cima alla scaletta piazzi i Ponte del Diavolo, a questo punto non c’è più niente. Di secondario, semmai, c’è che Burn the Clubs vol. 1 è un parziale recupero di quella serata annullata in dicembre, in cui, di spalla ai Master Boot Record, avrebbero dovuto esibirsi tre delle cinque formazioni che si sono viste oggi all’Officina Civica.

In definitiva i Ponte del Diavolo a pochissimi chilometri da casa sono stati uno dei più bei regali che il metallo potesse darmi. Sono fermamente convinto che, se si giocheranno bene le proprie carte negli anni a venire, non avranno niente da invidiare ai Messa riguardo alla posizione nella catena alimentare.

Slug Chop – Ph: Marco Belardi

Il nome del primo gruppo, NO ONE CARES, piazzati all’ora di cena, mi fa venire in mente che non si stiano rispettando in tutto e per tutto gli accordi stipulati alla Convenzione di Ginevra. Sono attivi da una decina d’anni e mettono in pratica quel che generalmente chiameremmo groove metal. Il cantante passa con disinvoltura da un cantato sporco che ricorda un Tomas Lindberg più essenziale e meno piagnucolone, in cui se la cava benissimo, a un pulito sicuramente migliorabile. La sensazione è che sappia scrivere dei gran ritornelli ma abbia qualche difficoltà nell’affrontarli sul palco. Mi colpisce in particolar modo Empty Hole per quella sfuriata quasi death metal nel mezzo, ma anche Phoenix e No Way Out, per quanto la materia alla base sia molto scolastica, sono bellocce.

La sensazione all’attacco del concerto degli SLUG CHOP è quella di esser passati all’istante a un gruppo con un livello di preparazione ed esperienza superiori. Suonano mascherati: pensare agli Slipknot è più che naturale ed è pure sbagliato. Ci sono elementi alternative, un altro buon motivo per cui li potremmo definire nu metal. Mi sono sentito il disco Face Yourself e l’ho trovato perfettamente confezionato, seppur senza pezzi che m’avessero colpito alla prima. Sul palco è un po’ la stessa cosa: fanno un concerto formalmente perfetto e il cantante – un autentico animale da palco – regge la scena sostanzialmente da solo, aizza il pubblico con una motosega luminosa, intrattiene. Gli manca comunque il pezzone, ma dal vivo un gruppo del genere lo rivedrei cento volte.

Fall as Leap – Ph: Marco Belardi

Non sono d’accordo sull’avere richiamato i FALL AS LEAP per il semplice fatto che al Firenze Metal in ogni sua forma vorrei sempre godere di un bill al cento per cento inedito. E se non erro suonarono al Viper Theatre l’aprile scorso di spalla a Extrema e Novembre. Il loro concerto parte un po’ in sordina, ma poi ingrana. La colpa, o mancanza di percezione, è anche mia, perché inizialmente sono a bermi una lager al bar dopo aver fatto la fila insieme ad Alessio Cricca di The Music Lounge, che saluto, e ad un affezionatissimo lettore di Metal Skunk il cui nome andrò omettendo, poiché vestiva una t-shirt degli Amon Amarth. Saluto anche lui, naturalmente. Di fronte a noi, al bar, un tale che sembrava un po’ John McEntee e un po’ Fabio Lione.

I Fall as Leap a metà scaletta esatta scatenano un puttanaio totale, anche più degli Slug Chop, seppur senza motoseghe luminose. Un ragazzino basso di statura con la maglia dei Marduk terrorizza le prime file nel pogo, va addosso a tutti. Il bassista se lo guardi sembra un metallaro che suona power metal negli anni di gloria dei Gamma Ray, è fantastico, sempre sorridente, in pieno contrasto con i rasta e l’energia metalcore degli altri componenti. Non fosse per i Ponte del Diavolo direi che il loro concerto è stato senza dubbio il migliore della serata: non sono d’accordo sull’averli richiamati? Sì. Ed è stato altrettanto un piacere rivederli. Alla prossima.

Elyne – Ph: Marco Belardi

Il concerto degli ELYNE sinceramente non mi è piaciuto, sebbene siano preparatissimi. Alla voce hanno Danny Metal, youtuber di grido e compagno di line-up di Poldo negli Slug Gore. Sulla scaletta leggo una Better Off Dead che non si rivelerà una cover dei Sodom, così come Wake Up non sarà una cover dei Rage Against the Machine. Il pezzo forte è Dead End, Empty Shells, ultima in scaletta nell’album Identity del 2023. Un muro di suono, avrebbe detto un tale con cui ho suonato una vita fa. Danny Metal se la cava benissimo col growl e pure col pulito. Il problema sono principalmente proprio i ritornelli, stucchevoli, un po’ prevedibili. I riffoni spettacolari sfociano sempre in quel genere di ritornello tipico dell’alternative e del metalcore, l’unica variante è appunto Dead End, Empty Shell, con un piglio quasi industrial, un incedere marziale e minaccioso. Altra problematica la scaletta, piuttosto lunga e un po’ difficile da sostenere da metà concerto in poi. Peccato, perché tecnicamente sono preparatissimi, più che rodati, con un chitarrista che assomiglia a Mick Jagger da giovane, vestito tamarrissimo, e che sfodera riff su riff.

Giro un cartellone a muro e leggo testuali parole Verso libero – Festival della poesia. Patrocinato dal Comune di Calenzano. Sul lato opposto del palco c’è l’ingresso al backstage, lo stesso in cui i Destruction neanche dieci anni prima combinarono un puttanaio, cominciando a suonare mezz’ora in ritardo perché mancava l’aranciata. Di fianco alla porta una libreria: spulcio i titoli dei vari volumi e non ho dubbi che ventiquattro ore prima lo stesso edificio che a breve ci proporrà i brani di Fire Blades from the Tomb fosse un pericoloso covo di zitelle che si sono aggregate per sfogare le proprie frustrazioni.

Ponte del Diavolo – Ph: Marco Belardi

A questo punto, signori e signore, dopo pogo, headbanging, circle pit, wall of death, frontman impegnati ad aizzare il pubblico quasi fossero in guerra, e tante altre belle cose che, sì, sono belle, ma certe volte sono anche un po’ una puttanata, ecco un concerto metal come il concerto metal lo intendo io.

Esoterismo, silenzio fra una canzone e l’altra, empatia totale fra pubblico e musicisti basata sul fatto che i PONTE DEL DIAVOLO, oltre a non necessitare di fronzoli d’alcun genere, valgono davvero tanto a prescindere dalla diversità del genere musicale da essi proposto in confronto a quel che s’era sentito finora. I Ponte del Diavolo richiamano sul palco quell’oscurità che per me è essenziale in un concerto metal. Non cominciate a rompere le palle col fatto che nei live degli a-me-cari Suicidal Tendencies non ce ne è traccia e fanno ugualmente un concerto della madonna: avete capito benissimo, è un ingrediente in più, e, se c’è, aggiunge una magia che definirei essenziale.

Non mi interessa se fanno doom o black metal, sinceramente. In questo momento sono fra i miei gruppi italiani preferiti, Elena Camusso tiene il palco che è una bellezza. Attaccano con Demone, il loro pezzo black metal per eccellenza tanto quanto Red as the Sex of She who Lives in Death è il loro pezzo doom metal per eccellenza. Fanno anche quella, meravigliosa. L’altra a spiccare è naturalmente Covenant.

Ponte del Diavolo – Ph: Marco Belardi

Passo nelle retrovie per respirare l’aria di apprezzamento fra i presenti, e vedo Enrico Paoli dei Domine, non un sosia come quello di John McEntee e Fabio Lione, proprio l’originale; poi vedo che il pubblico ha subito una sorta di ricircolo generazionale. Mi spiego meglio. Una parte di coloro che erano interessati alle prime quattro band se ne è andata perché dei Ponte del Diavolo in sostanza non gli fregava granché. Cerco di individuare gruppetti di giovani che avevo intravisto in precedenza: non ci sono né dentro né fuori, sono proprio andati via. In compenso è arrivata gente nuova, solo ed esclusivamente per gli headliner. Penso che il locale avrebbe potuto essere mediamente più pieno per tutta la serata in presenza di una scaletta più varia e non orientata al solo metal moderno. L’headliner è risultato così in contrasto con gli altri da portare a quell’effetto di fuggi e arriva osservato in conclusione.

Noto anche altre cose. Innanzitutto che l’acustica è spettacolare come la ricordavo ai tempi del Cycle Club: si sente benissimo sia davanti, che dietro. E’ proprio la conformazione del locale a prestarsi, altro che club del libro. Poi, fra le new entry, il sosia dell’arbitro Trentalange (grazie ad Alessio Cricca per la preziosa segnalazione) e un tale che dice a quello accanto che la cantante assomiglia a Sharon Stone e poi comincia a bestemmiare la madonna a voce altissima. Per tutta la serata non farà caso al fatto che suonano con due bassisti.

Per questo motivo la prossima volta è meglio che inseriate un gruppo di heavy metal classico in mezzo al bill: perché poi altrimenti succedono cose stranissime. Andate dritti per la vostra strada, Ponte del Diavolo, e combinerete cose bellissime. Bellissima serata, con una conclusione che difficilmente dimenticherò. (Marco Belardi)

Ponte del Diavolo – Ph: Marco Belardi

Lascia un commento