Sul sentiero della memoria: intervista ai CALVARY con Mauro Pirino e Walter Garau
Dopo aver presentato la raccolta Path to Solitude, che raccoglie la memoria dei Calvary, abbiamo parlato con Mauro Pirino e Walter Garau per esplorare più a fondo la storia del leggendario gruppo sardo. In questa intervista, i due musicisti ci accompagnano in un viaggio tra ricordi e riflessioni su di un’epoca di straordinario fervore creativo. Raccontano di come la passione per il death metal si intrecciasse con l’innovazione musicale, in un contesto spesso ostile e pieno di sfide. Tra difficoltà e sacrifici personali, emergono aneddoti e dettagli, che non solo tracciano la parabola artistica dei Calvary, ma ci raccontano una generazione di musicisti votati all’arte e alla condivisione, rendendo omaggio a un capitolo passato, ma significativo, della storia del metal italiano.
Abbiamo già raccontato ai nostri lettori chi erano i Calvary e cosa sono stati per il metal italiano, allora visto che siete qua tutti e due, partiamo dall’ingresso di Walter nel gruppo, ve lo ricordate?
Walter: Ciao a tutti, io fui chiamato dal mio caro amico d’infanzia Sandro Naìtana. Venivo da un paese lontano circa 80 km da Sassari e fu per me una bellissima gioia poter cambiare aria ed entrare in un ambiente nuovo, fare conoscenze… Ricordo come fosse ora la mia primissima prova. Nessuno sindacò il mio modo di suonare, fui preso al volo sostituendo appunto Sandro, che era molto occupato con il suo gruppo Why?, e che per un periodo ci aiutò come seconda chitarra. Suonavamo ogni fine settimana, poi ci recavamo in Piazza Castello, un luogo di ritrovo di tutti i metallari di Sassari. In brevissimo tempo quella piazza divenne la mia seconda famiglia.
Mauro: Fu un bellissimo periodo. Walter si aggiunse alla band con notevole sacrificio, dal momento che, come ha detto lui, arrivava da un paese non troppo vicino a Sassari, la città nella quale abitavano la maggior parte dei membri della band e dove ci si trovava per le prove. Io credo che queste cose servano a forgiare maggiormente dei giovani che, pur di veder realizzati i propri obiettivi, fanno sacrifici che per dei giovani ragazzi sono abbastanza impegnativi.
Anche i Calvary, al pari degli Ass Ache e dei Dismal, per chi riuscì a sentirli, erano un gruppo di avanguardia. È vero che in quei primi anni Novanta l’evoluzione del metal estremo correva velocissima, ma voi all’interno di questa corrente avevate un vostro stile molto personale. Quali erano le premesse del gruppo?
Mauro: Le premesse, dal mio punto di vista, erano quelle di realizzare le nostre passioni. All’epoca amavamo molto tutto il metal, ma in particolar modo eravamo attratti dalle sue espressioni più estreme: il death metal, in tutte le sue sfaccettature, era il genere musicale che ci attraeva maggiormente. Ricordo che gli ascolti di quel periodo, oltre che sul classico death metal, erano rivolti a un genere che iniziava a svilupparsi proprio allora: il cosiddetto atmospheric death metal. E allora, band come i Celestial Season, ma anche gli “astri nascenti” dell’epoca, prendi per esempio tutte quelle band come The Gathering, Anathema, Paradise Lost, My Dying Bride che proprio allora iniziavano a proporre il genere musicale citato. Erano le band che ci ispiravano in quel progetto, che ci vedeva evolverci verso sonorità sempre più melodiche e d’atmosfera, ma senza mai perdere di vista le basi sulle quali avevamo iniziato a lavorare e che erano quelle, appunto, del death metal.
Walter: Non ti so dire sinceramente se fossimo o meno un gruppo di avanguardia. Noi si suonava per lo più per un gusto e divertimento personale. Non badavamo molto alle etichette. Quello che mi colpì particolarmente era il livello tecnico dei ragazzi; io venivo da studi di chitarra classica, da anni prendevo lezioni da un maestro, Diodato Arru, che mi insegnò il valore della musica classica contemporanea, ma quando arrivai a suonare con i Calvary mi resi conto che ero molto indietro a livello culturale musicale. Devo però dire che imparai veramente tantissimo da Sandro e Chris [Cristian Scarponi, chitarra]. Io ero un po’ arroccato sul grindcore, sul punk, sulla musica estrema e ascoltavo musica classica. Loro invece avevano una cultura cosmica e, ben presto, mi trovai ad ascoltare molto jazz, blues, tutti generi che sono importanti se si vuole crescere musicalmente. Si può fare benissimo brutal, grindcore, però non deve mancare a mio giudizio una visione globale della bella musica. Ovviamente non voglio dire che i Calvary attingessero dal jazz o dal blues, ma tra di noi capitava spesso che dopo un ascolto del demo dei Celestial Season, già citati da Mauro, mettessimo un CD di Al di Meola o della Chick Corea band. Quindi l’evoluzione vera e propria nel mio caso è passata attraverso l’arricchimento culturale, dato che mi trovavo un po’ bloccato nel periodo Ass Ache e Brutal Mutilation, che erano solo rabbia pura. La rabbia che poteva avere un adolescente chiuso in una camera di un paese perso tra i monti della Sardegna.
Come vennero recepiti inizialmente i Calvary? Secondo voi furono compresi dall’underground degli anni Novanta, o sono stati capiti meglio in seguito?
Mauro: È mia opinione che ci volle un po’ prima che la band venisse compresa. La Sardegna all’epoca non aveva mai offerto proposte musicali del genere e fu uno dei motivi per cui, prima di venire accettati come band innovativa, passò qualche tempo. I risultati però furono poi molto interessanti, dal momento che ci scriveva ogni giorno gente da tutto il mondo. Ricevemmo tante bellissime recensioni e le proposte non tardarono ad arrivare. Purtroppo, la band si sciolse nel momento migliore. Arrivavano già proposte per suonare un po’ in tutta Europa, ma non facemmo in tempo neanche a ragionarci, perché in poco tempo la band si sciolse. Un gran peccato, ma bisogna accettare le cose per come sono. Naturalmente resta un po’ di rammarico, perché sarebbe stato bello capire come sarebbe andata se le cose fossero andate avanti.
Walter: I due primi demo circolarono prevalentemente via tapetrading, mentre In Solitude iniziò a generare interesse anche da alcune riviste nazionale ed estere. La Necrotorture che ci mise sotto contratto e, quando uscì la promo tape, ci disse che filava con una vastissima richiesta. Questo naturalmente ci onorava, come ci lusingava il fatto che era aumentata la corrispondenza che ricevevamo giornalmente, era un po’ come avere maggiori richieste di amicizia con i social odierni. Ci scrivevano tanti gruppi che magari volevano un aggancio per suonare in Italia, ma ci rimanevo davvero male quando scoprivano che stavamo in un’isola davvero difficile da raggiungere. In tanti ci volevano, ma alla fine eravamo poveri come la merda, quindi non eravamo in grado di anticipare spese per minitour. Suonavamo spesso in Sardegna ed eravamo supportati gloriosamente da un quotidiano, La Nuova Sardegna. In questo giornale scriveva il cantante degli Umiliati e Offesi, a cui va veramente tutta la nostra gratitudine per il supporto che diede alla band. Nel 1994 fummo chiamati in un festival molto importante al CPA di Firenze in cui suonammo con Mortuary Drape, Necromass, Detestor, Opera IX. Tutti gruppi che stimavamo e che al contrario nostro sono diventate un mega culto nella scena underground. Da poco sono ritornato in quel locale e non vi dico l’emozione e la gioia nel suonarci dopo tutti quei lunghi anni. Quel concerto per molti è stato il più importante concerto underground che si tenne per le band italiane underground. Certo, se ci fossero stati anche gli Evol e i Sinoath credo che sarebbe stato perfetto.
Walter, coi Calvary iniziasti a suonare il fretless. Sei stato uno dei primi bassisti italiani a usare questo tipo di strumento e rimani, ancora oggi, uno dei pochi. Come è cambiata la tua funzione di bassista quando hai fatto questa scelta?
Walter: Avevo una Squire Jazz con i tasti e decisi di farlo detastare da un liutaio sardo molto famoso, Piero Carboni, che poi fu quello che mi realizzò il basso che uso per la stragrande maggioranza tutt’oggi. Nel mio paese c’era già un bassista fretless che suonava jazz, si chiama Gianluigi Mannea, io lo sostituii in una band rock e quando entrai mi resi subito conto che dovevo studiare tantissimo per poter fare i suoi pezzi. Fu veramente una grande sfida, presi lezioni da una grande maestro, Lorenzo Sabatini, cercai di ottenere il timbro di entrambi e per farlo acquistai addirittura i loro pedali. Fortuna fu che Gianluigi abitava a 150 metri da casa mia, per cui quando avevo un dubbio mi precipitavo subito da lui. Non abbiamo mai smesso di sentirci, questo poveraccio è trentaquattro anni che continua a rispondere ai miei dubbi, ai miei quesiti, che sono sempre tanti… Non si finisce mai di imparare e di conoscere tristemente i propri limiti. Studiare allora era impossibile, un lavoro immane. Esistevano videocassette di Patitucci, Manring, ma per imparare quei riff dovevi andare avanti e indietro seicento volte. Gli spartiti giravano pochissimo ed erano costosissimi, quindi la maggior parte delle cose che facevamo erano tutte a orecchio. Ricordo che quando usciva un album degli Iron Maiden io non dormivo tutta una notte per tirarmi giù i pezzi e la mattina all’alba ero in grado di suonare tutto l’album. Esperienze incredibili.
Penso che tutti quelli che vi hanno conosciuto ricordino Path to the Fiery Stars. C’è un brano dei Calvary che vi è rimasto particolarmente impresso?
Mauro: È un brano che trovi nel doppio cd appena uscito e che si intitola Dreaming of My Moon. Purtroppo si trova solo nella versione live e non si capisce granché. Avremmo dovuto registrarlo, ma lo scioglimento della band avvenne in maniera così rapida che purtroppo non ci fu il tempo. Ho ancora il testo a casa, inizialmente il titolo era Dreaming in Sorrow; per me un brano bellissimo che all’epoca ho definito “sognante”. Mi dispiace tanto di non averlo registrato, sarebbe stato di sicuro un bellissimo ricordo.
Walter: anche per me è Dreaming of My Moon e, paradossalmente, il brano che di più ha colpito il mio cuore è questo inedito, che però è incluso nella ristampa appena uscita per la End of Silence. È uno dei due brani composti post Across the River of Life da me e dal chitarrista Ignazio. Si tratta di un brano veramente poetico che rappresenta la punta di diamante del gruppo, io lo riproposi cambiandolo e rendendolo ancora più bello con gli Oracles, un gruppo di cui andavo fiero, ma di cui non esiste nient’altro che dei rehearsal. Ritornando su Path to the Fiery Stars, questo era il brano If I said Torment del periodo Ass Ache, che doveva uscire in un sette pollici per una ditta colombiana, ma alla fine non si fece nulla, perché il gruppo ebbe qualche vicissitudine, cambiò anche nome prima in Dismal, poi in Dishmal e alla fine si sciolse definitivamente.
Walter, parlando di un altro brano ricorrente, cosa significa per te Answer for yourself? Come mai lo ritroviamo nel repertorio degli Ass Ache, dei Dismal e infine anche nei Calvary?
Walter: Answer for Yourself venne scritta in un momento di tristezza dopo una relazione finita male con una donna. Molti dei testi che ho scritto e che sto scrivendo parlando dei miei fallimenti continui con il mondo femminile. Decisi di riscriverlo e di proporlo ai Calvary che lo accettarono, c’è uno dei miei primi soli di bassi che non si sente molto nel CD. Prima o poi farò un video da mettere nel mio canale in cui metterò in evidenza il basso. Per quanto riguarda i Dismal vorrei da morire ristampare il demo The Final Phase, mai uscito, anzi approfittiamo per dire che, se qualche casa discografica fosse interessata, per favore mi contatti.
Parliamo della raccolta Path to Solitude: spiegateci un po’ il materiale che avete assemblato e cosa possiamo trovare dei Calvary.
Walter: In tutti questi anni io e Mauro abbiamo ricevuto tantissime offerte per poter ristampare il corpus dei Calvary. Abbiamo scelto la End of Silence dell’amico Torci (Stefano Mancini, chitarrista dei Mannaia) perché lui è, come me, uno che vive di musica, respira musica e suona musica. Era senza dubbio la persona più titolata per via della sua cultura, del suo carattere, della sua attitudine alla ristampa dei Calvary. La copertina è stata realizzata da Pierpaolo Arru, le grafiche da Gabriele Santamaria. Il titolo è il “cammino alla solitudine” che ha accompagno le nostre vite in tutti questi anni. Si può essere soli anche se si è in mezzo alla gente, oppure in buona compagnia se si è completamente soli. Forse è stato dettato dal trasporto emotivo che avevo dopo essere uscito da un rapporto con una donna durato due decadi e di cui porto ancora le cicatrici purulente. Dentro i due CD ci sono i due demo, In solitude, Across the River of Life, una bonus track di un pezzo di pianoforte che Giuseppe d’Amico suonò allora, ma che fu cassato per ragioni ignote dalla Polyphemus, poi alcuni rehearsal e un live a Rapallo. Spero di cuore vi piaccia.
Potete spiegarci chi era il pianista Giuseppe D’Amico?
Walter: Certo, il Maestro Giuseppe D’Amico, uno dei più grandi musicisti italiani al momento. Lui è un compositore famosissimo che era amico di Christian Scarponi e noi l’avevamo richiesto per questa canzone di Across the River of Life che ti dicevo. Però, per ragioni ignote, questa canzone non fu messa nel CD: fu scartata dalla Polyphemus, che non ci diede nessuna spiegazione a riguardo. Il DAT originale è andato perso e l’unica copia rimasta dell’incisione era quella del master che avevo conservato io. Quindi alla fine siamo riusciti a recuperarla, la trovate nel primo CD di Path to Solitude come bonus track, Peering into the Light of My Little Moon. In realtà doveva esserci sia questo brano registrato da Giuseppe D’Amico, che un altro, un interludio per arpa. Per fare questo brano, un giorno andammo con la mia auto a recuperare l’arpista con il suo strumento, ma nella mia Super 5 dell’epoca l’arpa non ci stava: abbiamo provato a caricarla ribaltando i seggiolini, ma lui poi aveva anche paura di rovinarla e quindi non potemmo incidere il brano. Tornando a Giuseppe D’Amico, ti ribadisco che è un genio della musica, ha contatti con le filarmoniche, le sue composizioni vengono eseguite in tutto il mondo, è un musicologo ed è apprezzato da direttori d’orchestra internazionali come Pierre Boulez. Ha un canale YouTube, dove è molto attivo e si possono sentire alcune sue composizioni.
Mauro, ci racconti cos’è successo dopo lo scioglimento dei Calvary nel 1997?
Mauro: Si, proprio in quel periodo Walter se ne andò a Bologna per lavoro, si aggiunsero delle nuove persone e il gruppo prese una nuova direzione, che a me però non andava e quindi me ne andai anch’io. Questo gruppo tentò di andare avanti, ma non ci riuscì per molto, perché si erano messi a fare uno stile diverso, che non era caratteristico del gruppo.
Questo cambio di direzione a cosa era dovuto? Idee musicali?
Mauro: Si, cose di questo tipo, perché all’interno del gruppo c’erano un paio di ragazzi che erano più su altri generi: Alessandro Landis, il batterista, l’altro chitarrista Ignis Sechi, poi anche Christian Scarponi avevano cominciato ad avere idee differenti. Non ti so definire esattamente che differenze ci fossero, ma mi sembra di ricordare che fossero più sul new metal, cose di questo tipo, in ogni caso totalmente differenti da quello che i Calvary avevano fatto fino ad allora.
Poi nel 2012 sei tornato al death metal sempre sotto il nome Calvary con un EP di tre brani
Mauro: Si, a me è venuto in mente di rifondare la cosa, nel frattempo sono andato a recuperare il primo chitarrista, che aveva fatto parte della primissima formazione, Alessandro Naìtana, e altre persone che avevano a che fare col genere qui in Sardegna. Non avevano mai suonato con noi prima, ma l’idea era che se almeno due Calvary originali c’erano, si poteva fare. Poi è successo che si sono create situazioni che non hanno permesso di portare avanti il progetto per molto. Io dopo sei mesi sono uscito e loro non sono andati avanti, perché non restava nessuno della band originale, quindi in totale è durata sei mesi. Non siamo riusciti a portare le idee che avevo per riprendere il discorso originario, abbiamo inciso tre brani death metal classico. C’era anche Luigi Cara, il bassista cantante dei Deathcrush e anche cantante dei Cinerarium, due formazioni sarde abbastanza note.
Quindi diciamo che il progetto Calvary si è concluso con l’uscita di Path to Solitude
Mauro: Confermo che è un’esperienza chiusa. L’uscita della raccolta con la End Of Silence è stato un modo per fissare i nostri ricordi, che altrimenti si sarebbero persi. Conta che io non so più dove siano tutte le nostre cassette, dopo vari traslochi e spostamenti. Forse c’è qualche CD, di sicuro ce saranno da qualche parte a casa di mia madre, dove li ho lasciati vent’anni fa. L’idea è stato riprendere tutto il possibile, compresi i flyers, le foto e tutto quello che siamo riusciti a trovare.
Come vedete questi due gruppi, Ass Ache e Calvary, nella prospettiva di oggi?
Mauro: Io credo che i Calvary avrebbero avuto da dire la loro anche in questi anni. Le idee c’erano, la passione anche. Purtroppo, ci rimarrà soltanto il dubbio. Cercate il CD e provate ad ascoltare Dreaming of My Moon, per quel poco che si riesce a percepire, forse ci si potrebbe fare un’idea della direzione musicale che avrebbero preso i Calvary se non si fossero sciolti.
Walter: La musica oggi è totalmente cambiata rispetto alla gioia degli anni Novanta, ma non voglio sembrare il classico trombone vecchiaccio logorroico. La musica che si sente oggi è meravigliosa, stupenda, ci sono centinaia di gruppi che sono pazzeschi. Le produzioni sono stellari, ora è tutto più semplice per un musicista e si trovano tutorial di qualunque cosa ed è veramente molto più semplice approcciarsi con uno strumento. Quello che fa schifo e che non si è ancora capito, è che non si possono fare soldi dall’underground. Quello a cui stiamo assistendo è il disfacimento totale di una passione e di un’arte da parte delle agenzie: le booking agency che lucrano (spiccioli tra l’altro) sui sogni delle band. Naturalmente non tutti sono così disonesti, ma ci sono dei criminali senza cuore che stanno cavalcando l’onda a favore di gruppi che pur di suonare si riempiono di debiti, ma che in realtà non intascano un soldo. A questa aberrazione si aggiungono alcuni club che propongono formule insane tipo il “door deal”. Quella che era una gioia, ovvero il poter suonare dal vivo, sta diventando una castrazione chimica mostruosa. Oggi band come Calvary e Ass Ache non avrebbero senso di esistere, perché il gusto della gente è giustamente cambiato e il cosiddetto old school interessa solo a pochissimi ragazzi delle nuove leve, per fortuna tanto a vecchi nostalgici. Scusate se sono aspro nei toni.
Mauro, ci racconti di cosa ti occupi oggi?
Mauro: Io insegno in una scuola di cammino sportivo e marcia atletica. Pensa che io e Christian Scarponi ci siamo conosciuti proprio facendo atletica leggera quando avevamo quattordici anni ed entrambi abbiamo continuato con lo sport: Christian corre tutti’oggi, mentre io faccio la marcia, faccio l’allenatore sempre di marcia e di fitwalking, che è una disciplina di cammino sportivo. A proposito di Christian, lui adesso vive in Portogallo e suona negli Ardours con Mariangela Demurtas, che è la cantante dei Tristania ed è sposata con Ricardo Amorim, il chitarrista dei Moonspell, che lo ha aiutato ad aprire la sua attività. Chris ha anche suonato su due dischi dei CADAVERIA.
Ma tu fai ancora musica?
Mauro: Certo, anzi ti dico che nel 2021 con due amici abbiamo riformato un vecchio gruppo, i Goredawn, con cui facciamo death metal svedese come stile, abbiamo anche stampato una cassetta professionale e abbiamo fatto anche due video, che puoi trovare sul nostro canale.
Ottimo, magari dedicheremo qualcosa di apposito per questo nuovo progetto. Walter, tu hai qualche altro video da consigliarci?
Walter: Beh, io allora approfitto per farmi un po’ di pubblicità e chiedervi di dare un occhio al mio canale YouTube.
Adesso vi dico l’ultimissima cosa, poi vi lascio andare: pensate che nel 1996 trovai Across the River of Life in un negozio di dischi in Norvegia, mentre ero in vacanza. Tra l’altro neanche a Oslo, ma in un paesino sperduto
Mauro: Ah che bello! In effetti Across the River of Life fu distribuito abbastanza bene e fu stampato in tante copie. La casa discografica di allora ci disse che ne aveva stampate cinquemila copie, poi, quando questa prima stampa si esaurì, ne ristampò altre tremila, quindi in totale sono girate ottomila copie.
Confronto a quello che si stampa adesso erano numeri enormi…
Mauro: Eh già, adesso sarebbero numeri da grande gruppo.
Walter: Grazie Stefano per questa intervista, un caro saluto a tutti e supportate l’underground!
(Stefano Mazza)






Ciao, interessantissima storia, sono stati i miei anni di formazione, e il mio genere preferito. Purtroppo non ho avuto modo di ascoltare questi gruppi né in cassetta/CD né dal vivo. Però ho visto gli Umiliati e Offesi a Milano in un centro sociale nel 1997/98 (?)… Mi fa piacere leggere che in tutta questa nostalgia e tristezza per qualcosa che non è stato, qualcosa che non è decollato, abbiate portato avanti sia la passione per la musica, suonando oppure insegnando o collaborando, e pure la disciplina sportiva che praticavate da ragazzi. Insomma non siete finiti in qualche fabbrica come qui da me, in molti abbiamo mollato tutto, gruppo e strumenti, e perfino la gioia di vivere e continuare gli sport.
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