Scusate il ritardo: Weather Systems & Marilyn Manson
E se dieci anni fa, per qualche motivo ignoto, un evento significativo avesse determinato una interferenza così forte da interrompere il continuum spazio-tempo tangenziale e generare una linea temporale alternativa? Non sarebbero accadute un sacco di cose e forse, forse, oggi saremmo un po’ più ingenui, meno delusi e meno pessimisti. Forse non sarebbero stati pubblicati Distant Satellites e The Optimist. Forse Jamie non avrebbe deciso di lasciare la band. Forse Danny non avrebbe passato quel brutto periodo personale. Forse gli Anathema non si sarebbero sciolti. Vincent non avrebbe optato per dedicarsi alla musica elettronica e, forse, questo Ocean Without a Shore sarebbe stato il successore naturale di Weather Systems.
L’album solista di Daniel Cavanagh ricalca con molta circospezione quei passi. Non evolve niente ma riprende il discorso esattamente da dove gli eventi lo avevano portato a interrompersi. Riesce a ricreare certe atmosfere di sospensione e poesia che si credevano ormai relegate alla dimensione del ricordo. Lo fa con rispetto senza troppo calcare la mano, senza copiare spudoratamente, senza celebrare e senza sminuire, senza apparenti rimpianti e ossessioni, senza nemmeno limitarsi a quella dimensione: ripesca, infatti, certe atmosfere indie rock da A Fine Day to Exit, come pure un certo velo di malinconia che mi riporta alla mente le sensazioni che ebbi ascoltando A Natural Disaster per la prima volta. Un album indubbiamente bellissimo. Bentornato Danny.
In un 2024 in cui le band super-mainstream che ascoltavamo a ruota negli anni ’90 hanno tirato fuori dischi carini (Green Day, Linkin Park, The Offspring), se non propriamente belli (The Cure, Pearl Jam), anche un altro personaggio ultra-megamainstream ha voluto dire la sua. Sono eoni che il reverendo Manzo non ci fa perdere il sonno e che non spaventa più nessuno, manco la vecchietta del paese più retrogrado della Barbagia, e sono anni che abbiamo fatto pace con le verità di cui sopra. Ciò che resta, almeno per alcuni, è la curiosità, soprattutto perché è pure qualche anno che Manson non fa più propriamente schifo al cazzo, cioè è qualche anno che appare essere in forma, almeno musicalmente parlando. Quindi la curiosità, almeno del sottoscritto, da morbosa è tornata sincera.
We Are Chaos mi era capitato sotto mano per caso e mi aveva colpito non poco. Ok, non c’era Satana, il marciume, il pessimismo & il fastidio, ma con uno sticazzi grosso quanto una casa vi ribadisco quando fosse ben congegnato quell’album. One Assassination Under God varia leggermente di registro e, lo dico subito per anticipare ogni domanda, si conferma un onestissimo lavoro. Si tratta di un disco molto più leggerino del precedente, più cantato e genuinamente rock. Pur sempre rock da radio generalista, ma tant’è, non è che uno mo’ si deve giustificare. Di morboso e malato qui non c’è nulla, anche se la parolina magica “sick” viene ripetuta spesso, artificio poverello che sembra voler indurre l’ascoltatore casuale negli stati d’animo prima automaticamente generati da altri album genuinamente inquietanti. A parte questa sciocchezzuola dimenticabile, il disco scorre bene, è ben suonato, prodotto meglio, con buone idee e un “gancio” in quasi ogni pezzo. Il brano di chiusura, Sacrifice of the Mass, è con ogni evidenza la Madeleine de Proust di cui si avvertiva il bisogno. Un album che difficilmente potrà non piacere. (Charles)


