Lo spirito continua: LEGIONS OF DOOM e SPIRAL GRAVE
La storia è presto detta: ci sono i membri dei The Skull che sono rimasti orfani del compianto Eric Wagner e che però continuano a portare in giro quel repertorio con Karl Agell (ex Corrosion of Conformity) e/o Scott Reagers (Saint Vitus) al microfono. Tra questi il bassista Ron Holzer, anche lui ex Trouble, che aveva anche collaborato a scrivere quello splendido commiato del cantante di Chicago. Insomma, questo Holzer mette in piedi in contemporanea un’altra band con Agell, Reagers, il chitarrista Lothar Keller sempre dei The Skull, tale Scott Little per avere una chitarra in più e, alla batteria, Henry Vasquez (in contemporanea in Pentagram e Saint Vitus, e in passato dal vivo con Lucifer, The Skull stessi, Sourvein, The Men of Porn, Spirit Caravan). Il nome di quest’altra band è LEGIONS OF DOOM (tutto giustissimo) e il disco, per provare a non farci capire più un cazzo, si intitola The Skull 3, anche se i due dischi dei The Skull mica si chiamavano The Skull 1 e 2. E però The Skull 3 è proprio bello e fa bene al cuore. Ovviamente è un disco doom, di quello americano e di quello antico, che vi aspettavate. Ah, e se vi aspettate duetti visto che il microfono è condiviso, le cose non stanno esattamente così. I due si alternano, Agell canta il grosso, Reagers però quando entra te ne rendi conto, ovviamente, con un brivido lungo la schiena.

Mi sembra di averlo già detto, da qualche parte: il doom resta credibile se a suonarlo è un vecchietto, anzi, magari migliora. Qui questa congrega, anzi legione di vecchietti messa insieme da Holzer fa tutte le cose perbene. Non vi aspetterete mica modernità e voglia di riscrivere un genere. Possono bastare, credo, otto ottime canzoni che sanno di blues e metallo, quasi sempre lento, quasi sempre (Insectiside è movimentata e rock’n’roll, come i vecchi Trouble). Tra queste, qualche gancio bello forte, come Beyond the Shadow of Doubt, all’inizio, o Between Darkness and Dawn, entrambe cantate da Agell. Reagers invece infesta Lost Soul e A Voice of Reason e ha tanta di quella personalità che te lo dimentichi che è un complesso orfano di Wagner. Di cui però si recupera una traccia vocale per chiudere la beatlesiana (in parte) Heaven, quasi in chiusura. Non è un fantasma Reagers nella conclusiva Hallow By All Means, anche se, immaginerete, il brano lo fa suonare sinistro per davvero. Poco altro da dire, non per principianti perché in quel caso ci sono molti dischi più significativi. Ma bello, bello comunque. S’è occupata di produrlo la Tee Pee, attivissima al solito, ora pure in territori di ortodossia doom (e io festeggio).
E ci sono pure gli ex Iron Man che sono rimasti orfani di Alfred Morris III, leggenda minore del doom, scuola Maryland, menzionato talvolta come lo “Iommi nero” (inteso come afroamericano). Lui, che era l’unico membro costante degli Iron Man, ha lasciato i tre dell’ultima formazione, tutta gente del giro minore del piccolo Stato americano appiccicato a Washington D.C., nella condizione di andarsi a prendere un altro chitarrista, tale Willy Rivera, a Miami (ma attivo in un gruppo sludge della Virginia, quindi quasi vicino, in realtà), per continuare con un nuovo nome, SPIRAL GRAVE. Che non genera confusione alcuna, per nostra fortuna. Ill Repute è il secondo album, dopo Legacy of the Anointed nel 2021 che era uscito per la nostrana Argonauta, come d’altronde questo disco qui, quello di quest’anno. Il genere non cambia, era doom e resta doom, ma sicuro il cambio di tocco alla chitarra non è una cosa indifferente. E questo Rivera suona tanto più metallico, moderno.

Intanto la cosa più evidente è il basso metallico, freddo, che sa di corda di “Iron” Louis Strachan. Presenza costante, il gorgoglio del suo strumento. La chitarra, dicevo, suona più metallica del revival anni ’70 medio. Anzi, nella traccia iniziale, Watching from the Sky, un mid-tempo come la maggior parte dei brani, la chitarra di Rivera suona quasi death metal. O sarà forse la facile suggestione dovuta alla sua provenienza. Sorprendente (dato il contesto) My Angel Comes Tonight, più avanti nella scaletta, in cui direste che il fantasma che aleggia più che quello di Alfred Morris III è semmai quello di Mark Shelton. Più presente che mai, di questi tempi. Brano molto intenso, suggestivo. Il contrasto col riff southern groove scavezzacollo del brano successivo funziona da Dio. Poi il disco si assesta appunto in quel territorio doom più “moderno”, stessa scuola dei Down, per intendersi. Coi mezzi e le capacità che si hanno. Che sono buone, intesi, e speriamo che gli Spiral Grave continuino così. (Lorenzo Centini)

Se interessasse in campo funeral doom è uscito un dischetto moltro interessante dei graci Foehn (sarebbe la O coi puntini sopra tipo motorhead).
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