Claudio Simonetti’s Goblin @Circus Rock Club, Firenze – 11.01.2024

Fino alla sua chiusura ho assistito a un numero imprecisato di concerti al Circus di Scandicci, spesso con la macchina fotografica al collo. Rappresentava alla perfezione quella tipologia di locale che da sempre prediligo: palco basso, contatto diretto con la band, niente distacco. Sebbene non fossi riuscito ancora a partecipare a neanche una serata del nuovo Circus, che ora si trova a Firenze, nei pressi del Tenax, nutrivo una certa curiosità.

Il Circus è ora strutturato in larghezza e pertanto accentua ulteriormente quel concetto di vicinanza con chi sta suonando. Lateralmente al palco sono situate due postazioni simili a un porticato, quasi un anfratto, che permettono ai sette o otto fortunati per lato di ritrovarsi di fianco al batterista, tipo un wrestler appoggiato alle corde in procinto di subentrare al compagno in difficoltà. Il mio dubbio riguardava il fattore ristorazione: amo mangiare, al punto che potrei tranquillamente sostituire la parola con trangugiare, e, avendo assistito alle sortite scandiccesi di Incantation e Necrodeath, certo non m’immagino, neanche alla lontana, come un gruppo estremo possa esibirsi di fronte a un pubblico seduto ai tavolini a raddoppiare la dose di maionese nei propri hamburger.

Credo, ma non ne ho l’assoluta certezza, che il locale abbia scelto di diversificare la proposta in atto a seconda della tipologia di serata, sacrificando, di fatto, la questione mangereccia nei casi in cui essa non è praticabile.

DSC00795-DeNoiseAI-raw-Edit copia

Ph: Marco Belardi

In occasione del concerto dei Goblin di tavolini ne ho visti ben pochi. Biglietto a pagamento, quindi, con una birra inclusa e sedie nelle prime file; una cosa quasi teatrale che ha rimandato la memoria a quella volta con i Dream Theater in centro a Firenze, tutti a cecce, e una scaletta che non aveva alcuna intenzione di concludersi. A locale oramai stracolmo direi che lo stratagemma ha funzionato, pur creando un divario fra la sicurezza della visione dalle prime file e l’obbligo – per gli altri – di macerare là dietro. Ho inoltre preferito l’assetto generale del locale, un po’ somigliante all’Alchemica di Bologna sia nella forma sia nelle dimensioni, e contenente gli arcinoti cimeli di qualche anno fa: il cartonato di Lemmy, le chitarre in vetrina e via discorrendo, stavolta senza tutti quegli orpelli appiccicati alle pareti.

Il concerto, inizialmente annunciato per le 21.20, ci ha messo una vita a iniziare. La prima cosa che mi ha colpito è stata la varietà di pubblico. Pochissimi giovani, alcuni metallari, tanti in abiti eleganti e un’età media intorno ai quarantacinque o cinquanta, con picchi sulla settantina.

La formazione ancora a quattro elementi con cui Claudio Simonetti si è presentato sul palco si è rivelata giovane all’anagrafe e a forti tinte metallare, leggasi Adimiron da cui proviene la sezione ritmica. Avessi trovato un buco nell’anfratto a sinistra del palco mi sarei goduto la prestazione, ottima, di Federico Maragone dal primo all’ultimo istante.

DSC00610-DeNoiseAI-raw-Edit copia

Ph: Marco Belardi

I Goblin, o chiamateli come preferite, dato che esiste più di una formazione con ex membri dei Goblin con la parola “Goblin” nel nome, hanno suonato una scaletta di oltre due ore adoperando un criterio incredibile. Il concetto è lo stesso che potrei tirare in ballo per il concerto di Yngwie Malmsteen di qualche mese fa, sempre a Firenze, al Viper Theatre.

Il pubblico che va a vedere concerti del genere, in questo caso interamente strumentali, nel caso di Malmsteen all’incirca, perché è dall’epoca di Tim Owens che quest’ultimo non ha un cantante di ruolo, ha diversi scopi e pretese. Alcuni sono musicisti; altri sono venuti per i cavalli da battaglia Profondo rosso e Suspiria; altri, in netta minoranza, conoscono a menadito tutto, dico tutto, incluso il materiale recente. 

Claudio Simonetti sa alla perfezione che non può imporre una scaletta propagandistica in cui promuove quest’ultima roba. Inoltre, esattamente come Yngwie Malmsteen, introduce qualche chicca che non gli appartiene per aumentare nella maggioranza del pubblico la probabilità di incappare in un brano o in un film noto. Ti piazza quindi gemme rare e allo stesso tempo gemme parecchio conosciute, ha mezzo secolo d’esperienza e pertanto non gli si può insegnare come gestire una scaletta. Ha fatto casomai un solo errore che menzionerò alla fine.

Nel frattempo, insieme a Damiano, nostro lettore, come me impegnato a digerire i panini alla salsiccia di Baffo, mi raggiunge anche il mio carissimo amico Daniele, colui che a ragion veduta fraintenderà Zombi di George Romero.

DSC00656-Enhanced-NR-Edit copia

Ph: Marco Belardi

Simonetti attacca con un omaggio a Ruggero Deodato e poi si gioca Demoni di Lamberto Bava, sue naturalmente le musiche, in una delle colonne sonore più metalliche che io ricordi, fra Saxon, Accept e tant’altro. C’è anche un omaggio al padre Enrico con Gamma, la sigla della celebre serie RAI anni Settanta con Laura Belli.

I passaggi su Dario Argento cominciano larghi come i cerchi di uno squalo che pian piano stringe sulla preda. Pertanto si comincerà con Il cartaio e Opera. Tocca poi a George Romero,con tre estratti da quel capolavoro di Zombi, al che lo schermo a margine del palco inizia a indugiare pesantemente sull’invasione dei motociclisti capitanati da Tom Savini e sugli annessi scherzi a torte in faccia ai malcapitati morti. Guardo Daniele, gli dico l’hai mai visto questo? Lui ribatte, no. Io ribatto che è un capolavoro, lui si sofferma per trenta secondi su quel delirio di Harley Davidson e caciara nei lunghi corridoi dei Gigli di Campi Bisenzio, comprensibilmente non mi crede, e non dice più niente.

Chi leggesse l’heavy metal fra le righe dei Goblin di ieri e di oggi è invitato all’ascolto dell’energica Zaratozom, per l’appunto inclusa nella colonna sonora del 1978 ed eseguita dal vivo al Circus.

Le gemme note introdotte in scaletta da Simonetti portano il nome di John Carpenter, come regista e compositore, e della coppia William Friedkin/Mike Oldfield. Nel primo caso si tratta di Halloween, nel secondo non credo occorra dire altro. Simonetti sottolinea che è sempre stato un fan del cinema horror; la realtà probabilmente è che, come ho sottolineato sopra, questi pezzi sono stati dettati dalla furbizia e dal mestiere, al fine di accontentare chi si sarebbe goduto soltanto una piccola fetta del set. Operazione brillantemente riuscita.

DSC00575-DeNoiseAI-raw-Edit copia

Ph: Marco Belardi

E poi niente. Fra le due celebri cantilene è toccato a quella di Suspiria. Poi a Profondo rosso, un qualcosa d’incredibile entrambe, come sempre. Il punto è questo: nel celebre rimuginare su quanto una colonna sonora aggiunga una marcia in più a un film, si parla spesso di Sergio Leone come se quest’ultimo fosse un cretino e i suoi western nulla fossero senza l’apporto di Morricone. È vero che Morricone è la marcia in più, ma è almeno la sesta o la settima. La prima volta che feci questo ragionamento sull’importanza delle colonne sonore in un film ero pressoché in età puberale, invasato per Dylan Dog e per l’horror anni Settanta e Ottanta, e avevo fatto a nome di mia madre la tessera a un videonoleggio di Scandicci. Per mezzo di quella tesserà risultò per anni che mia madre, ogni settimana, portasse a casa videocassette raccapriccianti del calibro de L’ultima casa a sinistra.

Mi convinsi di quel concetto grazie ai Goblin, perché Profondo rosso era la perfezione e Suspiria il mio preferito su tutti, ma il livello dell’estetica visiva procedeva di pari passo e di pari qualità con le musiche, perfettamente amalgamate alle immagini inquietanti e malsane.

Avere Claudio Simonetti a pochi metri che ripercorre cinquanta anni di storia e si focalizza sui gloriosi Settanta, per poi regalarci una Tenebre e il suo vocoder, o anche un bis poco avvincente con La terza madre – nulla da obiettare sulle musiche ma si torna al discorso originario di tutto: quel che vogliamo sentire è proporzionato a quel che vorremmo rivedere, e film e musiche sono in questo caso come un tutt’uno – e con un semplice reprise del tamarrissimo Demoni, è stato francamente e complessivamente un onore. Grazie, e alla prossima: perché l’hai detto che torni, e se non torni a Firenze sei automaticamente un parolaio. (Marco Belardi)

3 commenti

Lascia un commento