Fermare il tempo con Delightful Sharp Edges degli HEX A.D.

Scusate se faccio il pirla, ma a me che un luogo sia chiamato Telemark ha sempre fatto sorridere. Suona tipo Postalmarket, tipo televendita di materassi e reti ortopediche a doghe. Imperdonabile “umorismo” milanese, il mio, degno dei Nanowar o della peggiore comicità televisiva (quella troppo frizzante di Mediaset). Poi sappiamo benissimo tutti che il Telemark offre prodotti tipici di ben altra caratura. Ora scopro che da lì provengono anche questi Hex A.D. di cui mi accingevo a parlare dopo averli conosciuti imbattendomi in una inconfondibile copertina di Dave Patchett (Cathedral, Electric Wizard).

Non li conoscevo, anche se Delightful Sharp Edges è addirittura il sesto album che inanellano dal 2014. Grazie, Metal Archives, protettore dei recensori del Metallo. Altra curiosità che scopro sempre grazie a M.A. è che due dei membri del quartetto, il cantante/chitarrista Rick Hagan ed il bassista Are Gogstad, hanno suonato come musicisti dal vivo (tenetevi forte) per Paul Di’Anno, Blaze Bayley e Tim Ripper Owens. Devono averne di aneddoti… Però, ecco, dagli Hex A.D. non aspettatevi metallo classico o NWOBHM. Finireste fuori strada. Il cuore di questo disco è proprio altrove e batte con tutt’altro ritmo, quello della musica progressiva (ma rock) più incontaminata degli anni ’70.

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Volete un facile paragone dei “giorni nostri”? L’ultima produzione dei loro connazionali Motorpsycho batte teoricamente sentieri simili (ok, a parte l’ultimo svarione acustico). Ma sono sentieri, nel caso dei più blasonati norvegesi, che da qualche album a questa parte girano in tondo. La narrazione di Delightful Sharp Edges invece è un’avventura rarefatta ed intessuta di chitarre elettriche tese e concrete, alternandosi spesso a moog e synth. Melodie, belle, segnano le tappe di un percorso lungo un’ora e passa. Dura del tempo, sì, ma conviene prenderselo. Conviene dedicarglielo, a un disco del genere. In generale converrebbe dedicarlo a sé stessi, a quell’atto stupendo di mettersi ad ascoltare un disco senza dover fare altro.

Se è un lusso che potete concedervi di rado, e al contrario avete modo di ascoltare musica, che so, solo in auto, in treno oppure mentre cercate di concentrarvi a lavoro, provate voi a concedervi un’ora a fare nient’altro che ascoltare questo album qui. Il prog ha sempre avuto una componente importante nel rapporto con il tempo, dilatandolo e gestendolo liberamente (per questo a lungo mi andava a noia, in passato). Non si vive di solo punk e grind. Fermare il tempo può anche essere terapeutico, o almeno lenitivo. Ma forse sto parlando più di me e di quello di cui ho bisogno io che di questo disco. Che però non merita di passare inosservato, se apprezzate sonorità hard gentili e fiabesche. Una filologia che ha molto di scandinavo, pur su modelli prevalentemente albionici (ammetto che sui classici dello psych prog dell’area baltica non sono preparatissimo, anche se una volta un’intervista ai Neurosis mi mise sulle tracce di Träd, Gräs & Stenar). Il concept di Delightful Sharp Edges pare sia incentrato su di un genocidio. Forse questo è il senso di quella specie di elfi fluo che cavalcano zebre nella copertina di Patchett. Il suono però non ha nulla di veramente moderno (pur senza effettacci vintage posticci) e si presterebbe bene anche ad un tema dal peso specifico più rarefatto. I Wishbone Ash si confermano forse il gruppo più influente tra i “minori” dei ’70.

Ci sono anche i Genesis, secondo me. Occhio, io coi Genesis mantengo sempre un altissimo livello di diffidenza (scusami, Griffar), però The Musical Box è indicibilmente bella. No, gli Hex A.D. non sono i Genesis, però Radio Terror parte da quei lidi lì, prima di lanciarsi in uno sviluppo chitarristico rock vagamente epico. Epico come il riff che spezza in due la strumentale …By a Thread. Vaghissimamente manowariano, il riff. Giusto per dire che qualche asperità c’è, ma l’ascolto è più consigliato ai nostalgici di certo rock… bardico. Come nel caso dei loro connazionali Molten Gold.

Bel disco pure questo qui, di cui ci occupiamo oggi. Più rarefatto ancora, ma libero e sognante. Molto più malinconico. Sarebbe da ascoltarlo in vinile, in una bella casa di legno, con le finestre che inquadrano il bosco su tutti i lati. Come quelle case che vedo sempre nei telefilm americani e nei polpettoni russi, dove sembrano abitare tutti i personaggi interessanti. Case che invidio tantissimo. Invece Delightful Sharp Edges l’ho ascoltato tutto dentro agli auricolari del telefono, saltando da una metro all’altra in questa città da incubo chiamata Milano, coprendo col volume il sottofondo delle rotaie. No, non sarà un genocidio, chiaro, ma non vi sembra anche a voi di essere stati deradicati dal vostro ambiente naturale in nome di un profitto altrui, sotto forma di un grafico proiettato a schermo che magari vi tocca pure benedire, come se vi riguardasse veramente? (Lorenzo Centini)

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