La lista della spesa di Griffar: IN SEANCE, ARREBOL

twin peaks got a light?

Le prime ondate di caldo si appropinquano e percepisco il vostro bisogno di sano, oscuro e gelido black metal che vi aiuti ad abbassare le temperature attorno a voi mentre setacciate il territorio in cerca di una buia e umida caverna nella quale il sole non penetri, ove poter soggiornare in attesa di inverni migliori. Ecco qualche consiglio musicale per ottenere ciò che anelate.

Per cominciare c’è il terzo full degli americani IN SEANCE da Portland, Oregon. Ve ne ho già parlato in passato: il loro fast black metal brutale mischia sapientemente ingredienti come Marduk e Slayer con proposte meno note (ma consone ad ambienti war black metal) come Sammath, condendo il tutto con sani riffoni in stile death americano (lo stacco a metà di Unhindered Chaos ne è testimone, ad esempio, ma una simile circostanza si ripete più volte, tipo negli iterati inserti in Walk the Sea of Spheres che sembrano usciti da un pezzo dei primi Cannibal Corpse). L’orientamento del progetto è assolutamente fast black metal, ma tra le righe si legge molto altro, ed è sorprendente che fino ad oggi li abbiano notati in pochi. Io è da quando li ho scoperti che ne consiglio almeno l’ascolto: per adesso non sono mai usciti dalla dimensione autoprodotta unicamente in digitale, ma se uscissero versioni fisiche dei loro dischi li acquisterei di volata. Aggressivi e brutali, convintamente crudeli senza sembrare grottesche macchiette o fenomeni da baraccone, i due statunitensi ci deliziano con dieci brani più uno strano intermezzo elettro/ambient rock (Into Nothingness, posto esattamente al centro della scaletta) che consente un minimo di sollievo in mezzo al massacro. Deathverse è un disco caustico e corrosivo scritto da una band che merita molto di più di quanto stia ottenendo. Mi dà l’idea che nella mia poll di fine anno questo gioiellino ce lo troverete, perché è ben vero che sta uscendo un sacco di roba della madonna ma è altresì vero che gli In Seance in mezzo a tutto questo non sfigurano per nulla. Molto slayeriana anche la scelta ormai inusuale di concludere i brani d’improvviso, che aumenta esponenzialmente l’impatto finale. 45 minuti di musica con le palle, non esitate.

Del tutto diversa è la proposta degli spagnoli ARREBOL, che esordiscono con questo full Simplicity of the Moment, il quale segue a distanza di sei anni il debutto assoluto, un gustoso EP intitolato Restless, passato inosservato come troppo spesso accade. Siamo in zone morte di atmospheric black/post black tendenti allo shoegaze, non distanti da quanto si può ascoltare in certi dischi dei Fen, degli Heretoir o di diversi altri progetti sparsi in giro per il mondo. La loro parte la fanno alla perfezione perché il disco è bellissimo, sapientemente bilanciato tra momenti più melodici, suadenti e d’effetto con parti più tirate (Rain Mantles, una per tutte), ammantato di meste melodie malinconiche al limite del decadente, del bucolico, del romantico nel senso più intimista del termine. Con una forte tendenza a portare i pezzi in crescendo come tradizione post-rock ben insegna, in tutto l’album non si riscontrano punti deboli; penso possa interessare anche chi non è solito ascoltare black metal per via della voce in screaming, in questo caso non eccessivamente tirata, e per il fatto che tutti i pezzi sono spiccatamente melodici. Melodici con grinta, che fa sempre bene. E anche Simplicity of the Moment difficilmente mancherà dal mio listone di fine anno, sarebbe immeritato. (Griffar)

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