Il nuovo ELLENDE e il cinghiale vestito in copertina

Una dolce, melodica intro (Ich bin, in tedesco “io sono” – lo so che lo sapete meglio di me e che siete poliglotti, lasciatemi il mio momento di gloria da acculturato) apre il nuovo disco del tipo degli Ellende, che come al solito si occupa di tutto per i fatti suoi e che, casomai avesse bisogno di una mano per suonare o produrre qualcosa, si affida a session che attaccano l’asino dove vuole il padrone. Meglio così, troppi cuochi guastan la cucina. Dopodiché, senza soluzione di continuità, parte Unsterblich, al punto che i due pezzi si possono considerare un brano unico. E subito ci si accorge che al ragazzo l’ultimo album dei Seth La Morsure du Christ dev’essere piaciuto parecchio come a tutti noi qui in Metal Skunk, perché le parti veloci in blast beat furioso sono precise identiche a quelle dei rinomati e ritrovati francesi. Il che ovviamente è un punto a favore, visto che ogni volta che accadono – con una certa dosata frequenza e senza essere troppo invadenti – le antenne si drizzano e l’attenzione decuplica, dato che sono indiscutibilmente i momenti migliori dell’intero lavoro. Per quel che mi riguarda, logico.

Rimossa questa novità, Ellenbogengesellschaft lo potrebbe recensire chiunque abbia a cuore gli Ellende senza che io ci debba mettere il becco, perché la prima impressione che ne ho avuto, e che di solito è la migliore che io possa avere, è che questo nuovo disco è un album degli Ellende fatto per i fan degli Ellende, niente più, niente meno. Suona scontato, vero? Ma cosa devo fare, riempire questo spazio di paroloni e figure retoriche giusto per dimostrare magniloquenza? La buona notizia è che tutti coloro che hanno sempre apprezzato la musica dell’artista austriaco non rimarranno per nulla delusi da questo nuovo lavoro. Il difficile arriva quando si deve cercare di convincere chi non li conosce a cimentarsi nell’ascolto.

Ellenbogengesellschaft (dovrebbe significare qualcosa tipo “la società che sgomita” nel senso dell’estrema competitività per emergere dalla massa, più o meno) è un disco di black metal atmosferico molto equilibrato, in cui sezioni lente e toccanti si integrano alla perfezione con parti molto più tirate, riuscitissime e parecchio violente. Vengono percorse strade vicine al post/atmosferico di stampo Austere, ma anche Empyrium e Agalloch; chitarre acustiche intersecate con le elettriche non distorte tessono trame pregevoli, mentre arabeschi di pianoforte deliziano chi nel black metal apprezza soprattutto la melodia malinconica e d’atmosfera (ascoltate Someday, è quasi una ballata e non sto affatto scherzando). Eviterei di scomodare il termine folk, perché più e più volte si è ribadito che non bastano le chitarre acustiche per definire un disco folk black metal. La registrazione è spettacolare; il suono del basso, rotondo e preminente, ricorda quanto un basso non troppo in sottofondo rappresenti un grande vantaggio; le tastiere di sottofondo impreziosiscono gli arrangiamenti ed è riuscita anche l’interpretazione delle voci, che spaziano tra il classico stridio black metal e il coro epico. È un disco da 7 brani più intro per 49 minuti scarsi che sembrano meno, se contiamo che il brano più breve dura cinque minuti e mezzo quindi non un tempo insignificante; il fatto che le partiture siano così variegate porta ad ascoltare il disco più e più volte – anche di seguito – per cogliere tutte le sfumature, senza mai annoiare né cedere il passo alla distrazione. Il quarto disco degli Ellende è un gran bel lavoro: questo progetto meriterebbe maggior gloria e attenzione, e chissà che non sia proprio Ellenbogengesellschaft a proiettarlo verso un futuro radioso. (Griffar)

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