BORGNE – Temps Morts

È già da un po’ di tempo che Sergio de Silva, personaggio a sé stante nel panorama black fin dai suoi lontani esordi risalenti al 1998 e che ho l’onore di conoscere di persona, sta destrutturando il black metal nella sua personale battaglia contro la standardizzazione, il banale, il riciclato, il già sentito. Ultimata in cinque anni la trilogia post-mortale Entraves de l’âme/Royaume des ombres/Règne des morts uscita tra il 2010 e il 2015, il distaccamento dalla quotidianità black metal si era già percepita nel lungo [∞] pubblicato da Avantgarde, un disco che con il prodotto tipico del roster di Roberto Mammarella non c’entra praticamente nulla. Accasatosi allora presso la francese Les Acteurs de l’Ombre Productions, etichetta che spazia nel black metal e nelle sue divagazioni a 360 gradi (vedi Maieutiste ma anche Aorlhac, Arkhon Infaustus, Au-Dessus ed altri, tutti gruppi fuori dall’ordinario), il progetto Borgne sta percorrendo strade sempre più avulse dal black classico sin dal primo disco per l’etichetta d’oltralpe Y, nel quale elementi elettro/industrial non necessariamente metal hanno largo spazio e sono assemblati con il black metal che, volente o nolente, costituisce gran parte del proprio background. Si arriva così ad ottenere un risultato tesissimo, tragico e particolare come nemmeno ai Mysticum riuscì. Sia chiaro, ad indicare la strada sono stati i tossici norvegesi, primi tra tutti a capire che il black metal avrebbe potuto fondersi con l’industrial e l’ambient con ottime possibilità di successo, strada poi seguita dai genovesi Metraton con il loro eccellente e purtroppo unico EP Armies of Darkness Unite! e da pochi altri visionari. Tra i quali Sergio, che già dai suoi primi lavori aveva denotato una certa oscura predilezione per sonorità fredde, asettiche, alienanti, macchinose e ripetitive tipiche della musica industrial.
Temps Morts è il decimo full lenght di Borgne, escludendo quel Titania uscito in una splendida versione in custodia di pelle nera con tanto di chiave antica e corda usurata a sigillare il tutto e che contiene solo pezzi inediti. Dieci o undici full che siano fa lo stesso: siamo nell’Olimpo di chi resiste al tempo e ha tutta l’intenzione di continuare a scrivere musica estrema sinché qualcuno (fosse anche il solo Griffar) avrà intenzione di comprargliela. Il primo pezzo To Cut the Flesh and Feel Nothing but Stillness sembra composto dai Godflesh. Curioso, no? Cosa c’entrano i Godflesh col black metal? Nulla. È per questo che dico che il Nostro sta cercando strade nuove, soluzioni diverse. Ha reinterpretato la musica dei Godflesh secondo il suo punto di vista ed il risultato, signori miei, è notevole, e forse non gli rendo abbastanza merito. Il seguente The Sworn of Headless Angels è già un po’ più black metal ma rimane assai accostabile ai canoni industrial, e in questo caso un paragone con i Mysticum è più plausibile. È un brano da nove minuti e mezzo che vola via. Sembra che duri la metà, non scherzo. Nemmeno te ne accorgi e ti trovi al cospetto di un dittico più brutale, due brani che sono nondimeno lunghi entrambi oltre otto minuti, sono più aggressivi e ci ricordano che comunque le radici e la storia di Borgne sono nere come l’ossidiana.
Nell’album si alternano brani di black metal furente, di black metal “sinfonico” come Vers des horizons aux teintes ardentes che paga pegno agli Emperor di In The Nightside Eclipse e di musica al di fuori del metal come I Drown My Eyes into the Broken Mirror, che è elettronica melmosa pura, sabbie mobili musicali indigeribili da molti ascoltatori meno avvezzi a non-musica così dissonante. Mi ci metto anch’io in mezzo, non temiate. La conclusiva agghiacciante Everything is Blurry Now, 14 minuti e 26” di angoscia tradotta in note “musicali” mi fa pensare ad una grotta nella quale si celebra il funerale di un adepto di qualche setta segreta devota a sovvertire l’ordine mondiale e portare al potere il caos. L’intro è la morte che si prende il massone, la parte rallentata centrale è il trasferimento del feretro al luogo della sepoltura, e quello che viene dopo sono gli spiriti che vanno a prendersi l’anima del defunto. È il “quello che viene dopo” che crea angosce da notti insonni.
Temps Morts conta nove brani e dura un’ora e tredici minuti. Sono tanti, ma per lo standard Borgne sono la normalità, dato che tutti i suoi album più recenti sforano l’ora di durata. È un disco molto vario, che non teme di proporre composizioni ed arrangiamenti insoliti oppure estranei al genere madre al quale il progetto è legato da sempre. È un disco che cela tra le sue note un catastrofismo angosciante, è la colonna sonora che un fonico con le palle sceglierebbe come sottofondo per un cortometraggio sulla distruzione di una città ad opera di un’alluvione, un vulcano, una guerra, una calamità inaspettata ed impronosticabile. Anche questa è musica che mette addosso un malessere, un fastidio, una negatività tipica ed intenzionale: prima di ascoltarti Temps Morts la giornata non era nemmeno troppo di merda, anzi quasi OK, poi butti nello stereo il disco ed un’ora e mezzo dopo manderesti affanculo il primo che passa fosse anche il tuo migliore amico che ti invita alla sua festa di compleanno. Sono tutti pezzi concretamente impegnativi, è un disco molto difficile, non si riesce ad ascoltarlo due volte di fila e nemmeno in tempi ravvicinati. È un disco che si avvicina tantissimo a quelle che erano le intenzioni del black metal primevo: musica disgustosa, che ingenera sofferenza, che tocca i nervi e che tira fuori dall’ascoltatore le sue peggiori intenzioni.
Se ascoltate Temps Morts ed uscite per le strade a sparare non dite alla polizia che ve l’ho consigliato io. (Griffar)
Certo che l’hipsterblackmetal con i baffi arricciati mi ha fatto impressione. Poi la musica ci sta.
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Ho messo su il disco appena finito di leggere l’articolo e sono rimasto molto impressionato. Ti ringrazio davvero, era da tanto che non ascoltavo black senza annoiarmi. I loro altri lavori sono all’altezza di questo?
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Sì, direi che il livello è quello. Se vuoi recuperare qualcosa comincia con i due precedenti Y e [※] dove ※ è il simbolo matematico dell’infinito che sulle tastiere non c’è…
Poi calcola che loro hanno sempre impostato il loro black sulla contaminazione con stili cupi, elettronici ed industriali
Grazie per il commento positivo!
Til next, salute!
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