Once upon a time in Norway #22 – Recuperone di fine (si spera) lockdown

Fa un po’ impressione tornare a questa rubrica (aggiornata il 6 febbraio scorso) dopo tutto il casino che è successo. E non perché non ci fossero cose da dire, ma lo spleen era tale che proprio non me la sono sentita. Insomma, qui in Norvegia è andata decisamente meno peggio che in Italia, sperando di non parlare troppo presto; dal punto di vista dell’intrattenimento è invece andata più o meno allo stesso modo, con lockdown a metà marzo e praticamente tutti gli artisti che si sono svenduti gratis o a offerta libera su internet in modo da pagarsi almeno la bolletta della luce.

Non mi metterò né a pontificare su come sia giusto suonare/farsi pagare o meno di questi tempi, e non starò neanche a parlarvi di giochetti mainstream come il live in streaming degli Enslaved, che è roba da benpensanti e gente di buon gusto. Invece: che cosa si è (ri)visto quassù in questi mesi di lockdown? Ché qualche sorpresa in fondo c’è stata.

Ad esempio, si sono rivisti i Gåte, un gruppo folk rock per cui tutti andavano pazzi ai tempi dell’Erasmus (quasi vent’anni fa, poveri noi), e che dopo 1-2 album di una certa cazzimma decisero di sciogliersi. Del resto avevano appena vent’anni e si erano resi conto che era ora di fare qualcosa di sensato, come mettersi a studiare. Grazie al loro live acustico allo storico bar Moskus di Trondheim, ho scoperto che sono tornati alle scene qualche anno fa con un dischetto mediocre, e ora campano di rendita girando la Norvegia a fare concerti. Buon per loro.

Si è poi rivisto Granem, o meglio Frode Granum Stang, cantautore scoperto per caso l’autunno scorso di supporto agli :Of the Wand and the Moon:, autore di un debutto davvero poetico e scurissimo. Il concerto in diretta dal suo cucinino è stato una vera rivelazione per qualità dei suoni e resa delle canzoni – e non riesco quasi a credere che abbia la miseria di 175 ascoltatori mensili su Spotify. Insomma, cercatevi il suo unico album, Solstreif, e fate in modo da garantirgli un qualche introito.

Si è rivisto pure Satyr, certo non per centellinare a noi plebei un po’ dei suoi preziosi vini, quanto per una singolare iniziativa in occasione del 17 maggio, giorno della festa nazionale che quest’anno non ha visto celebrazioni pubbliche. Insomma il Nostro, che da un po’ di tempo è orgoglioso proprietario di una Porsche 911, ha deciso di mobilitare gli altri porscheristi (?) di Nesodden, noto sobborgo bobo di Oslo, per una parata automobilistica a beneficio dei tanti bambini rimasti orfani dei festeggiamenti. Lascio a voi ogni conclusione, la mia opinione l’ho scritta qui e questo episodio non mi fa certo cambiare idea.

Insomma, se ne sono viste un po’ di tutti i colori, ma forse la vera rivelazione, di cui avrei voluto scrivere prima del lockdown, è stato lo strepitoso concerto degli Hällas alla Kulturkirken Jakob del 15 febbraio scorso, quando ancora si poteva farsi alitare in faccia da sconosciuti senza essere presi dal panico o da rabbia incontrollata. Per chi non li conoscesse, gli Hällas sono un gruppo svedese con un paio di album all’attivo, autore di un crossover tra progressive e space rock, un toccasana per chi come me non ha mai sopportato l’odioso quattro quarti onnipresente nell’ultimo genere summenzionato. Forti di un’estetica medieval-sci-fi-vampiresca, gli Hällas hanno snocciolato una mezza dozzina di piccole gemme (tipo questa o questa) nell’ultimo decennio, e la loro esibizione a Oslo non è stata da meno.

Ben introdotti dalla suite Sankt Sebastians Alter dei Tusmørke, con i quali vi ho già sgonfiato abbastanza, gli Hällas hanno fatto cantare e divertire un sacco di gente, in un contesto che a ripensarci ora viene il magone. Non solo, certo, per il sudore e l’amore collettivo, ma per la situazione vera e propria. Si dà il caso, infatti, che la Kulturkirken Jakob sia una chiesa vera, non sconsacrata, con la particolarità che ci fanno i concerti metal e dei festival dai nomi pii e devoti come Høstsabbat. Fonti informate mi dicono che ci hanno suonato pure gli Electric Wizard, con proiezioni satan-pornografiche anni Settanta incluse, e chissà il buon Dio cosa ne avrà pensato. A dirla tutta, sono cose che io mi immagino possano capitare solo qui. Ve lo vedete un qualsiasi promoter chiedere al parroco di campagna italiano “Buongiorno padre, vorremmo organizzare un festival chiamato sabba d’autunno in chiesa, lei che dice?” “Ma certo figliolo, ora va’ a casa e sia lodato Gesù Cristo.” “Sempre sia lodato.” Solo in Norvegia, ragazzi, solo in Norvegia. Speriamo si torni presto a suonare alla Kulturkirken Jakob. (Giuliano D’Amico)

PS: In calce a tutto, forse il ritorno più clamoroso di questo periodo è quello del master tape di Deathcrush, dimenticato nel cassetto di un’amica di Euronymous alla fine degli anni Ottanta e dato per perso o ben custodito da qualche anonimo collezionista. Come si legge qui, il nastro è stato ritrovato pochi giorni fa in maniera fortuita e rocambolesca, episodio a cui è seguito il primo ascolto da parte di Necrobutcher e altri compagni di merende nella cantina del Blitz, storico centro sociale di Oslo. Come detto in un’altra occasione, la fiamma nera si palesa nei tempi e modi più improbabili. Speriamo sia una rondinella di primavera in questo orribile inizio d’anno.

2 commenti

  • A proposito di folkpop norvegese…. A cazzeggio su YouTube ho scoperto i kalandra, una specie di trio capitanato da una ragazza bruttina ma affascinante, con voce spettacolare. un mese fa hanno fatto un live streaming in una specie di chiesa di legno. Suoni e riprese ottime. Hanno fatto pure una cover dei wardruna. Una specie di mix originale di motorpsycho, kari rueslatten (periodo spindelsinn), sigur Ros , slowdive e altra roba a casaccio. Sono un po’ hipster ma glielo si perdona. Qualcuno li conosce?

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  • Penso che a sentire gli Hällas suonare in una chiesa probabilmente la mia mente verrebbe proiettata in un mondo fatto di cattedrali di pixel e preti guerrieri con sbrilluccicanti costumi anni ’80.
    P.S. Lo vogliamo recensire il loro ultimo album o no?

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