ORIGIN – Unparalleled Universe

Ricordo di avere conosciuto gli Origin semplicemente perché ci suonava il batterista degli Angel Corpse. Una volta uscito Informis Infinitas Inhumanitas, ho sempre ritenuto che quell’ album sarebbe stato il metro di paragone per i successivi, ipotesi confermata da Echoes of Decimation che mi sembrò fin da subito troppo freddo e impostato, volutamente oltre il predecessore in tutte le sue principali caratteristiche. In tempi recenti sono pure passati su Nuclear Blast, che per me non è quasi mai sinonimo di buone notizie. Gli ultimi due album non mi fanno impazzire, così quando Ciccio Russo propone la recensione a me e un altro ragazzo e quest’ ultimo declina, mi sento come in quelle uscite a quattro in cui è obbligatorio essere presente perché un tuo carissimo amico deve combinare qualcosa con una tizia, che per cautelarsi si è portata a sua volta dietro un’amica che era chiaramente uno stuntman de L’alba del pianeta delle scimmie. Accetto, e con grande sorpresa, dopo un brano d’apertura che non dovrebbe essere lì, moltissime cose risultano essere perfettamente al loro posto.

Sono sempre stato dell’idea che gli Origin fossero una band composta da fantastici interpreti del mestiere che talvolta, però, avrebbero dovuto un po’ dimenticare di saper suonare così bene: altrimenti non apriresti gli album con insensati shredding di chitarra che oltre a non essere assolutamente in funzione della canzone stessa, sembrano solo far capire quali siano le gerarchie la’ dentro (Paul Ryan, punto). Come disse Dan Swano tanto tempo fa in un’intervista che non dimenticherò mai, il death metal per tornare sui livelli di sua competenza dovrebbe recuperare quella “matrice pop” (!!!) che tecnica ed estremizzazione del sound gli hanno tolto negli anni novanta. Il termine specifico poteva non calzare a pennello, ma rendeva perfettamente l’idea, il concetto. Gli Origin sono una macchina perfetta ma hanno bisogno di relativa semplicità per tirare fuori qualcosa di veramente buono, per questo solo Informis Infinitas Inhumanitas – a suo tempo – mi impressionò.

Unparalleled Universe, nonostante il consueto titolo da radical chic cronici reduci da una sbronza con Masvidal a base di costoso tè bianco corretto con ketamina, è sicuramente quanto di meglio gli americani siano riusciti a combinare dal 2002 ad oggi. Innanzitutto annienta il muro di bassi di Omnipresent in favore di una migliore distinzione degli strumenti, con un suono di batteria “da presa diretta” e per niente in linea con le materie plastiche con cui va a nozze Nuclear Blast, e di una maggiore attenzione generale per il groove. Tralasciando la suddetta opener (pesantissima, ripetitiva, sborona, la classica mamma quarantenne col SUV che ti taglia la strada in una stradina stretta per prendere il figliolo a scuola, e che poi non sa fare inversione a U o un banale parcheggio, e inchioda un quartiere intero di automobilisti a bestemmiare per ore contro di lei), le cose vanno assai bene, soprattutto nella seconda metà. Truthslayer è clamorosamente Terrorizer e accentua di netto la vena hardcore, Invariance Under Transformation mostra una band perfettamente a suo agio sui mid-tempo, Burden of Prescience ha un tiro pazzesco, Dajjal e Accident and Error sono senza girarci troppo intorno due altri buonissimi brani.

Cover finale dei Brujeria a parte, trascurabile, Unparalleled Universe conferma come sia possibile suonare death metal pesante e tecnico lasciando nella testa dell’ ascoltatore i riff, i passaggi, talvolta le intere canzoni. In attesa che passino altri tre anni per sentire qualcos’altro di loro (la loro precisione è folle anche in questo), intanto godiamoci questo ottimo lavoro. (Marco Belardi)

6 commenti

Lascia un commento