Tre dischi per sopravvivere all’estate: Catuvolcus, Ereb Altor, Árstíðir Lífsins

Cuccioli di Catuvolcus alle prese con l’estate canadese

L’estate, si sa, andrebbe cancellata dal calendario per decreto regio. Chiunque sia costretto a compiere qualsiasi azione, fosse anche solo quella di sollevare un braccio per prendere un bicchiere da una credenza, da metà maggio a settembre, non potrà che ritrovarsi in questa mia breve considerazione iniziale. Per superare il periodo più brutto dell’anno, facciamo appello ad alcune uscite nordico-epiche pronte a riportarci, con lo spirito, nei nostri habitat naturali.

Gli Ereb Altor sono un duo svedese, recentemente divenuto trio con l’ingresso del batterista Tord. La biografia li segnala attivi dal 1990 ma per insondabili ragioni il gruppo è rimasto fermo per qualcosa come diciotto anni, prima di cominciare a pubblicare dischi con una certa regolarità. Cosa spinga due persone a formare un gruppo e poi dimenticarselo per due decenni è materia da psicologi, fatto sta che nel frattempo Mats e Ragnar hanno continuato a collaborare con altri gruppi svedesi sconosciuti ai più, prima di decidersi e compiere il grande passo.
Gastrike, oltre ad avere un titolo che si presta a molteplici interpretazioni, anche di dubbio gusto, ed un artwork molto suggestivo, è un bel discone epic con sottili venature black. Il classico compitino ben svolto da chi si è sparato massicce dose di Bathory e va a caccia di alci a mani nude. Rispetto al precedente, The End, sono sparite del tutto le clean vocals e quasi completamente quei coretti che fanno molto anni ottanta, l’atmosfera è decisamente più cupa e gli intermezzi strumentali sono assai più diradati. Preso singolarmente e fingendo che non siano mai esistiti Bathory, Amon Amarth, Manegarm e via discorrendo, sarebbe un disco inattaccabile, sfortunatamente i soggetti di cui sopra esistono e quindi gli si potrebbe imputare un eccesso di manierismo. Resta comunque un buon ascolto, più impegnativo e meno birraiolo di quanto possa apparire ad un primo, superficiale giudizio e lo dico nonostante sia ormai considerato nemico ufficiale della Svezia.

Quando gli Ereb Altor si sono formati, i Catuvolcus non erano neanche nati. E non in senso artistico, è proprio che i due giovincelli canadesi nel 1990 erano ancora dei flebili progetti nella mente dei loro imberbi genitori. Oggi possono vantare già una discografia nutrita quasi quanto quella degli svedesi di prima, avendo alle spalle un disco e due ep prima di questo Gergovia. Il monicker deriva da un principe gallo che governò l’antico popolo degli Eburoni (Wikipedia docet) ed i loro dischi sono incentrati sulle battaglie tra galli e romani che, come tutto il mondo tranne i francesi sa, si sono concluse con la vittoria di Giulio Cesare. Data la giovane età e la provenienza (più pecisamente, arrivano dal Quebec), sono abbastanza certo che Segomaros e Arkeron utilizzino la loro recente esperienza scolastica per comporre i testi. Personalmente avrei preferito temi più vicini al nazionalismo quebecoise. Sono sempre favorevole alle rivendicazioni separatiste dei popoli, dai baschi agli esperantisti dell’isola delle rose fino ai fiamminghi, però posso capire che scrivere testi sugli infuocati dibattiti politici che animano il governo provinciale del Quebec non sia il massimo quando suoni epic metal.  Tornando a noi, Gergovia è una piacevole sorpresa, massiccio e solenne al punto giusto, mantiene tutte le promesse che l’artwork ammiccante dissemina, niente di più e niente di meno. I pezzi sono mediamente lunghi ma abbastanza lineari nel loro sviluppo e studiati per suonare come un blocco unico suddiviso in movimenti, una sorta di Moonsorrow molto meno folk e più incazzati. Gli intermezzi acustici sono distillati col contagocce e non destano particolare interesse ma nel complesso siamo su livelli veramente molto alti. Manca un batterista di ruolo, qui sostituito da una drum machine, ma ho visto squadre vincere scudetti senza portiere, per cui sono certo che l’assenza di un vero batterista non possa rappresentare un grosso handicap per i Catuvolcus..  Da ascoltare fieramente sotto l’ombrellone, squadrando con sguardo sdegnato i vicini di sdraio.

Gli Árstíðir Lífsins non sapevo neanche cosa fossero e continuo ad ignorarne la pronuncia, ma pare che in redazione sia l’unico a non aver ascoltato ll primo disco prima della scorsa settimana e ho perfino scoperto che il disco in questione abbia ottenuto la certificazione “approved by Mighi“.
Vápna Lækjar Eldr solleva questioni veramente intricate: è un capolavoro oppure una fantozziana “cagata pazzesca”? Dopo i primi due pezzi, che non sto neanche a citarvi perché occorrerebbe un server apposito, il giudizio tenderebbe verso la prima opzione, poi, però, lentamente il torpore prende il sopravvento. E dire che i primi minuti sono tutto un fiorire di ritmi folkeggianti, malinconici violini ed intrecci di voci che cantano in islandese, insomma la ricetta giusta per conquistare i cuori anche dei metallari più intransigenti. Invece, col passare del tempo, si capisce che il giochino può reggere per una mezz’ora, tre quarti d’ora a voler essere generosi, ma se lo protrai per settantotto (set-tan-tot-to) minuti rischi di scoraggiare anche i più temerari. Fatto sta che le canzoni finiscono per assomigliarsi un po’tutte e non escluderei che le ultime siano anche migliori delle prime. Tutto sta a riuscire ad arrivarci.

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