La mensa di Odino #4

“Anche noi gridavamo cose giuste e ora siamo degli splendidi quarantenni”

Iniziamo con gli ENSLAVED, che praticamente non sbagliano un colpo da ormai dieci anni, se mai l’hanno sbagliato. Non vi abbiamo colpevolmente parlato del bel Axioma Ethica Odini dell’anno scorso, cerchiamo di recuperare con questo The Sleeping Gods, EP scaricabile gratuitamente qui, che per come è strutturato sembra quasi una presentazione dello stato attuale della band norvegese. Il disco si compone infatti di cinque canzoni, tutte molto diverse tra loro a tal punto che ognuna di esse sembra rappresentare una delle sfaccettature che compongono il suono degli Enslaved alla luce delle loro ultime evoluzioni. Ciò che colpisce è però l’assoluta omogeneità di atmosfere evocate, non importa che la forma sia quella dell’avantgarde kingcrimsoniano già sviscerato da Isa in poi (Heimvegen), o di reminiscenze celticfrostiane (Alu Misyrki), o del marziale inno vichingo della titletrack, tutta giocata sulle percussioni e sulla voce pulita di Grutle Kjelsson. Differenza stilistica e uniformità d’intenti anche nelle due strumentali: Synthesis, praticamente un pezzo ambient, e Nordlys, arpeggiata e solare, che in qualche modo ricorda certi vagheggiamenti di Neige. Un filo rosso collega dunque tutte e cinque le tracce di The Sleeping Gods, ed è lo stesso filo rosso che unisce tutte le tappe della carriera degli Enslaved, dagli esordi di Vikingligr Veldi (a tutt’oggi insuperato acme del viking black metal di vecchia scuola) fino alle divagazioni progressive di Vertebrae passando per le fascinazioni bathoriane di Eld e quelle death di Mardraum.

Discorso diverso per i SEPULTURA, che oltre a cambiare stile hanno mutato attitudine, scopi e contesti. Mi sono perso gli ultimi album, ma ascoltando Kairos la sensazione è quella di non essermi perso poi molto. La solita sbobba, metalcore (nel senso di metal + hardcore) con Derrick Greene che sbraita cose incazzate su riffoni ripetuti. Non c’è più Igor Cavalera, ma tanto per suonare sta roba basta pure il batterista nuovo dei Morbid Angel. Completano il quadro una cover dei Ministry (Just One Fix) e addirittura Firestarter dei Prodigy. Non c’è molto altro da dire sinceramente: il disco non è malvagio, e se vogliamo spacca pure, ma ce n’è a bizzeffe di dischi del genere, e di Kairos stiamo qui a parlare solo per i meriti ottenuti dai Sepultura quindici-vent’anni fa quando ancora c’era Max Cavalera al microfono.

fan in delirio ad un concerto degli Hypomanie

E vi si parli anche degli HYPOMANIE, pestilenziale one-man band norvegese di tale S. (che riacquisterebbe parecchi punti se si fosse chiamato così in onore di Maccio Capatonda) che ha sfornato questo ottimo capolavoro chiamato A City In Mono, una roba per gente con gli occhiali che prima ascoltava black metal ma ora è cresciuta. Probabilmente registrato nella cella frigorifera di Andrea, il macellaio milanista sotto casa mia, è una specie di anacronistico dreampop rumoroso e suonato con strumenti black metal, con le tastiere troppo alte e, di contro, una batteria la cui presenza si nota solo in cuffia e played on 10, come si suol dire. 40 minuti, completamente strumentale, a livello di atmosfere e finalità sembra una roba newage di quelle che vendono in edicola per borghesucci rincoglioniti fan delle vibrazioni positive che abbracciano gli alberi durante la gita fuoriporta della domenica mattina e vanno ai raduni annuali a Stonehenge insieme a streghe wicca e fattoni, senza voler per forza tirare fuori dal baule lo scurrile stereotipo del nerd chiuso nella sua stanzuccia impegnato a sentirsi una persona sensibile e a non scopare. Di esso si ricorderà il minimalissimo giro di tastiera della seconda traccia, una specie di carillion della Chicco settato su Dunkelheit da un bambino di cinque anni. Di più non voglio e non posso dire, anche perchè l’ho tolto dallo stereo e ora sto ascoltando Subterranean, cosa che consiglio vivamente a tutti voi.

L’altro giorno ero a Londra e mi stavo annoiando, così ho comprato Terrorizer. A parte una gigantesca leccata di culo al coraggioso ritorno dei Morbid Angel, giudicato con 4 su 5 (e ovviamente pubblicità dello stesso album ovunque, tra faccioni di David Vincent e le varie edizioni limitate del disco reclamizzate una pagina sì e l’altra no), vi ho letto elogi a molte band che non avevo mai neanche sentito nominare; fatto salvo il noto sciovinismo albionico -per cui, ad esempio, il power metal è ridicolo fino a quando non escono fuori i Dragonforce- mi sono un po’ spaventato della mia ignoranza e sono andato a recuperarmi qualche disco. Una delle nuove band che paiono godere di maggiore considerazione qui in terra d’Albione sono i SYLOSIS, inglesi di Reading, null’altro che un normalissimo gruppo death/thrash come ne sono usciti a terremoto durante gli ultimi dieci anni, con giusto qualche spunto modernista qua e là. Edge Of The Earth è un dischetto carino, molto europeo, che qui e lì ricalca quasi pedissequamente il vecchio suono di Goteborg (Kingdom Of Solitude). Moltissime influenze melodiche, ma quasi mai accostabili a divagazioni metalcore, il difetto principale del disco è che non spinge abbastanza, rimanendo alla fine dei conti sempre un po’ moscio. Ma rimane, come detto, un disco carino; da valorizzare quantomeno la strumentale Where The Sky Ends, sorretta da una chitarra solista assai evocativa.

Nicolas Cage dopo aver letto la recensione ai Morbid Angel su Terrorizer

E finiamo degnamente con i KRYPTS, quartetto finlandese autore di un EP eponimo di due tracce per dodici minuti complessivi. Doom-death di quello peso, registrato in cantina e marcio quanto le pareti della stessa cantina. Rozzi, ignoranti, scostumati e totalmente fuori tempo massimo, i Krypts sembrano usciti direttamente dal 1995, tanto che ho voluto anche controllare meglio nel caso questa fosse una ristampa. A questo punto toccherà recuperare anche il demo, che tra l’altro ha quattro pezzi e dura il doppio. Que viva Finlandia.
(Roberto ‘Trainspotting’ Bargone)

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