ALESTORM – Back Through Time (Napalm)

Al giro di boa del terzo disco gli Alestorm si trovano nella non facile posizione di far capire esattamente il motivo per il quale a soli tre anni dal debutto sono riusciti a conquistare così rapidamente il pubblico europeo. Il primo, bellissimo, Captain’s Morgan Revenge spiazzò un po’ tutti con il suo power metal dalle insistite tematiche piratesche, a tal punto che sembrava difficile che si potessero ripetere a quei livelli. Il secondo Black Sails At Midnight, uscito a un solo anno di distanza, non raggiungeva i livelli del debutto ma soprattutto spostava sempre più l’attenzione sul concept piuttosto che sulla musica. Questo Back Through Time scioglie definitivamente il dubbio: per gli Alestorm del 2011, infatti, l’importante è cantare di pirati. Non c’è più quasi spazio quindi per le sfuriate powerthrash del debutto, e più in generale per qualsiasi cosa che non sia immediatamente riconducibile al primo ascolto come musica piratesca.

Back Through Time si compone esclusivamente di facili ed ariose melodie sorrette in qualche modo da un power metal folkeggiante che rimane però sullo sfondo: è la musica a sorreggere l’impianto concettuale, e non viceversa. Se pensiamo al primo e più grande gruppo autodefinitosi pirate metal, i Running Wild, le differenze sono evidenti. Non c’è niente che diverga da questo punto, e anche questa volta la band scozzese aumenta il carico con tre cover (I Am A Cider Drinker dei Wurzels, Barrett’s Privateers di Stan Rogers e addirittura You Are A Pirate dei Lazy Town, quest’ultima assurta negli ultimi anni a ruolo di meme internettiana) che, se non altro, renderanno la band fruibile anche ad un pubblico più vasto di quello solito. Gli Alestorm si trasformano così in un giocattolone completamente asservito al loro immaginario lirico.

Un immaginario che ovviamente non ha nulla di storico, e sarebbe anche stupido chiederglielo. Sarebbe un po’ come andare a fare le pulci ai Cannibal Corpse perchè gli zombi di cui parlano non sono quelli della tradizione vudù. I pirati cantati dagli Alestorm sono quelli che ci affascinavano da bambini, un ideale punto d’incontro tra la banda di Capitan Uncino, le riduzioni cinematografiche de L’isola del tesoro e la saga disneyana dei Pirati dei Caraibi. Pappagalli sulla spalla, gamba di legno, risate in allegria e bottigliate in testa senza conseguenze, tra un ahrrr e uno yo-ho-ho. La vena epica, che pure c’è, è la stessa che si può rintracciare nei rocamboleschi duelli di un film di cappa e spada, o in una scena di allegre bevute di grog a Tortuga, tra tavoli rovesciati e laide prostitute col sorriso a denti alterni. Back Through Time è un allegro carrozzone fanciullesco, nel senso più autentico e positivo del termine, e nei riferimenti fanciulleschi vive e trova la propria stessa ragion d’essere. Cinematografico (nel senso rhapsodiano di film score metal) a tal punto da muovere a commozione, non importa quanto bidimensionale possa essere. Gli Alestorm del terzo disco potranno non avere il valore artistico del debutto, ma ci fanno affondare ancora di più nei nostri ricordi d’infanzia, facendoci ritornare bambini più di quanto qualsiasi altro gruppo power metal forse abbia mai fatto. 

Parlare singolarmente dei pezzi è fuorviante. Shipwrecked, scelta come singolo e video, ha un riffone powerthrash contrastante con l’apertura melodica del ritornello,  che rimanda alla mente gioiose bevute in qualche sudicia osteria dove la ciurma trova riposo dalle scorrerie marittime grazie a bevute di rum e compiacenti donnine con la sifilide. Le stesse ambientazioni si ritrovano un po’ in tutto il disco, con violini, fiati e fisarmoniche che aumentano l’effetto scenografico, per non parlare del pesantissimo accento scozzese di Christopher Bowes, adattissimo alla fattispecie. Un discorso a parte va fatto per la conclusiva Death Throes Of The Terrorsquid, che in certi momenti potrebbe stilisticamente ricordare le cose più recenti e plasticose dei Cradle Of Filth spogliate della propria (eventuale) veste macabra, ma che come immaginario riporta alla mente la grandeur oscura di Jack Sparrow che affronta il Kraken o la Black Pearl che naviga nella notte a vele spiegate col suo equipaggio di uomini maledetti. Scraping The Barrel è il momento di rilassamento del disco, quello che era Nancy The Tavern Wench nel primo disco, e il testo è un enorme VAFFANCULO a chi critica l’apparato concettuale e la stessa ragion d’essere della band:

You may think you’ve heard all this music before,
That Running Wild did it back in ’84
But times are a-changing and we don’t give a damn!
So if you don’t like it, go start your own band!

Many have told us that we can’t go on
That one day we’ll run out of lyrics for songs
But when the time comes to write album four,
We’ll scrape at the barrel once more!

il che si può tradurre con: potreste pensare di aver sentito questa musica prima d’ora, che i Running Wild l’hanno già fatto nel 1984, ma i tempi cambiano e a noi non frega una mazza di niente, e se ciò non vi aggrada, formatevi un gruppo per conto vostro! Molti ci hanno detto che non potevamo andare avanti, che avremmo finito le cose di cui cantare, ma quando arriverà il momento del quarto album gratteremo il barile (di birra) un’altra volta. Meraviglioso. Meraviglioso. La gente non sa che si perde a non essere metallari.

La linea è tracciata: di qui le persone nelle cui vene scorrono ancora gli innocenti sogni di bambino e i cui occhi brillano dell’anelito all’avventura, di là le persone grigie e tristi. Gli Alestorm sono infantili come un romanzo d’avventura per ragazzi, caricaturali come una rissa a sediate in testa in cui nessuno si fa male, improbabili e grotteschi come il capitano Jack Sparrow che sfida la marina di re Giorgio con una spada spuntata e il suo repertorio di pernacchie. Ho paura che lo stare al di qua o al di là della linea non sia una scelta, ma un modo di essere. Spero per voi che siate dalla stessa mia parte, perchè in un mondo perfetto i pirati esisterebbero veramente, sarebbero come quelli descritti dagli Alestorm e farebbero fare una bella nuotatina coi pescecani a tutti i pendagli da forca che si trovano al di là della linea. Ma forse la grigia e triste vita di questi ultimi rappresenta già di per sè una punizione adeguata. In fondo, anche questo è heavy metal.  (barg)

16 commenti

Lascia un commento