Wake up and smell the CARCASS – Intervista a Bill Steer

Quando devo intervistare un musicista che in passato ha fatto parte di un gruppo storico cerco sempre di manifestare il maggior interesse possibile per il suo progetto attuale, così da non rischiare di suscitare nell’interlocutore reazioni stizzite. Bill Steer, invece, appare sinceramente stupito dal fatto che gli ponga così tante domande sui Firebird, domande alle quali risponderà in modo laconico, quasi fosse un argomento che non lo riguarda. Ma quando la conversazione si sposta, come inevitabile, sui Carcass si accende improvvisamente e inizia a parlare a macchinetta, come se dovesse infilare più concetti possibile nei quindici minuti che abbiamo a disposizione prima del soundcheck. Sembra il primo a sapere che oggi al Sinister Noise quasi nessuno è venuto per vedere i Firebird. Siamo qui per vedere il gruppo dell’ex chitarrista dei Carcass. Basta guardarsi intorno, del resto. Io e Charles, che quest’anno spegneremo trenta candeline, siamo tra i più giovani in sala. L’età media dei presenti si aggira sui trentacinque. Gente che a quel famoso concerto al Circolo rievocato nel pezzo di Teo con tutta probabilità c’era, e che circonda l’affabile axeman inglese – avvicinatosi con nonchalance al bancone del locale – per una foto ricordo o un autografo su una copia in vinile di Necroticism. Come il Mancusi, emozionato come un bambino, che per tutta la sera insisterà sul fatto che avrebbero potuto almeno arrangiare una versione stoner di Genital Grinder. Lo show sarà comunque caldo e divertente, con un pubblico nostalgico ma partecipe. Del resto l’hard’n’blues dei Firebird, da poco fuori con il loro sesto album Double Diamond, è il classico genere di musica che mette d’accordo un po’ tutti. Magari sintonizzandoci su una delle innumerevoli stazioni FM dell’entroterra statunitense scopriremmo decine di formazioni analoghe.  Però mica ci suona Bill Steer.

Hai appena reclutato un nuovo bassista, Greyum May. E’ il nono in dieci anni, stai cercando di stabilire un record?
“(ride) All’inizio abbiamo sempre preso gente che aveva altri impegni e suonava in altre band, e in molti casi queste band erano per loro più importanti dei Firebird, finora era sempre andata così. Non è stato il caso di Smok (Smoczkiewicz, durato ben due anni, dal 2007 al 2009, ndCiccio), le ragioni del suo abbandono sono state più complicate, legate principalmente a questioni personali. Mi rendo conto che questo casino con i bassisti non è esattamente la situazione ideale ma che ti devo dire, così va la vita”.

Double Diamond esce ad appena un anno di distanza da Grand Union. E’ leggermente più heavy del solito, e tu stesso hai detto che con questo lavoro hai voluto tributare band come i Budgie e i Tank. Hai composto i pezzi nello stesso periodo e li hai distribuiti nei due album a seconda di come suonavano?
“No, sembra che ci sia un anno tra i due album ma non è così, c’è molto più tempo tra l’uno e l’altro. Grand Union era già pronto nel 2008, ma siamo riusciti a registrarlo solo un anno dopo, quando Double Diamond era ormai finito. Ci siamo trovati in una situazione un po’ difficile, dato che l’ultimo disco è stato registrato nel gennaio 2010 quindi, da un certo punto di vista, è materiale già vecchio. E’ un po’ scioccante, la gente si è fatta un’idea sbagliata della band”.

Come sei stato coinvolto nella reunion degli Angel Witch?
“Avevano qualche problema con il loro secondo chitarrista e mi chiesero se ero interessato al posto. Ovviamente risposi di sì. Erano una band che amavo da ragazzino e che amo ancora, erano uno dei miei gruppi preferiti quando avevo dodici anni, il loro primo album è incredibile”.

Bill dal vivo a Roma con i Firebird

Farai qualche tour con loro?
“Non credo che gli Angel Witch faranno molti tour, al momento per l’anno prossimo è confermata solo un’apparizione a un festival, quindi non mi porteranno via troppo tempo, sicuramente è un qualcosa che non avrò problemi a conciliare con i miei altri impegni”.

Lo stesso vale per la reunion dei Carcass, immagino.
“Sì, anche con loro si tratta giusto di qualche festival, finora non hanno mai costituito un problema. Poi, chissà, magari tra sei mesi potrebbero diventarlo… (ride)”.

Non è curioso che, dopo lo scioglimento, tutti i membri dei Carcass si siano dedicati a progetti dalla forte impronta seventies? Tu hai formato i Firebird, Jeff Walker e Ken Owen i Blackstar, Michael Amott gli Spiritual Beggars…
“Credo sia abbastanza naturale. Se hai fatto parte di gruppi, come i Napalm Death e i Carcass, che sono stati considerati un punto di rottura, che hanno creato qualcosa di nuovo, è difficile andare ancora oltre. Se sei andato così lontano l’unica cosa che puoi fare è tornare indietro, magari riscoprendo la musica che ti piaceva da ragazzino. Non puoi sempre creare qualcosa di nuovo. Poi magari c’è pure chi ci riesce, non so… Sono tornato alle radici perché dovevo pur andare da qualche parte. Avevo bisogno di riposizionarmi musicalmente e di trovare qualcos’altro da esplorare”.

Ragionamenti che facevi già quando stavate lavorando a Swansong?
“Esatto. Con quel disco volevo provare a fare qualcosa di un po’ diverso dai Carcass, più legato al vecchio rock. E fu una cosa difficile da fare, perché i Carcass sono, o erano, una band dal suono estremo e pesante. Non so se questa combinazione mi sia riuscita bene, ma penso di poter affermare che Swansong era un disco troppo avanti per poter essere capito all’epoca. Quando uscì non fu molto apprezzato, oggi, invece, sembra piacere a parecchia gente, molte persone mi dicono che è il loro disco preferito dei Carcass, e mi fa davvero piacere. Ai tempi di quell’album avevo tante cose per la testa, mi domandavo che cosa avrei fatto in futuro, se volevo ancora stare in un gruppo metal. Perché era abbastanza ovvio che i Carcass stessero per sciogliersi, c’erano parecchi casini in quel momento, a cominciare dalle case discografiche…”.

Io ancora non ho capito per quale assurdo motivo la Columbia pensasse di poter tirar fuori un sacco di soldi da una band come i Carcass…
“(ride) Non l’ho mai capito manco io! Sicuramente i guai iniziarono quando firmammo con la Columbia. All’inizio si occuparono della distribuzione di Heartwork negli Usa e andò benissimo. Beh, magari non benissimo, diciamo che andò ok. Poi quando iniziammo a incidere Swansong iniziammo a ricevere dei messaggi piuttosto bizzarri da questa gente e cominciammo a capire di esserci messi in un casino. Volevano spingerci verso una direzione più commerciale, il che era impossibile, non potevamo seguire quei suggerimenti. Tutte quelle pressioni non ci aiutarono certo a mantenere la fiducia in noi stessi. Se voglio essere onesto, devo dire che la band si era di fatto già sciolta prima che mettessimo piede in studio. Qualcosa nel gruppo si era già rotto, e non vedevo più come ci potesse essere un futuro. Ora non mi va di fare nomi, ma c’erano dei membri della band che non avevano più voglia di provare, non si sentivano più a loro agio nel music business. E’ quello che succede quando stai anni e anni in un gruppo, c’è chi invecchia, non riesce più a reggere certi ritmi e a un certo punto desidera una vita più tranquilla. Sono cose naturali, che costituiscono però un disastro per una band, perché il livello di energia si abbassa notevolmente. E alla fine esci pazzo, perché stai in un gruppo che non ha più voglia di provare”.

…Per poi ritrovarvi a provare insieme nel 2008, tredici anni dopo, per i concerti della reunion. E’ stata dura?
“No, fu molto bello, e anche molto strano… Ha significato molto per me e per gli altri ragazzi che la gente apprezzi ancora il nostro materiale. Salire quel palco e suonare quei pezzi è stato un po’ come chiudere un cerchio perché ci siamo resi conto quanto della nostra giovinezza stia lì. Negli anni in cui gli altri stavano fuori, si ubriacavano, rimorchiavano e facevano le cose che si fanno di solito da teenager noi stavamo chiusi a provare nella casa dei miei. Gli altri ragazzi, quelli normali, ci vedevano come dei tizi assurdi ossessionati dalla musica. Oggi andiamo on stage e suoniamo riff che avevamo scritto a diciassette o vent’anni davanti a migliaia di persone… E’ fico”.

A proposito dei vostri primi anni, ti ricordi di quel concerto qua a Roma, in uno squat, nel quale riusciste a fare solo tre pezzi a causa di una rissa tra Jeff e dei punk?
“(ride) Oddio… Era il 1990, giusto? Sì, c’erano dei tizi che tentarono di fregare il microfono a Jeff. Non ricordo molto bene, ma riuscimmo a suonare solo cinque minuti e alla fine mi fracassarono la chitarra”.

Quando ti chiedono della possibilità che esca un nuovo album a nome Carcass resti sempre sul vago. Leggendo le varie dichiarazioni, ho avuto la sensazione che Jeff sia molto più dell’idea. Forse perché tu con i Firebird hai trovato una tua dimensione, lui non è che abbia combinato granché…
“Non so, in realtà non ne abbiamo mai parlato più di tanto. Sono aperto a questa idea ma non è che mi interessi molto. Finora nessuna casa discografica ci ha fatto delle proposte, e questo è un primo problema. L’altro problema è Michael Amott, non ci sarebbe alcun modo di coinvolgerlo. Questioni personali a parte, lui ha gli Arch Enemy. La sua occupazione principale sono gli Arch Enemy, mica i Carcass. Per fartela semplice, già non ha più voglia di fare altri show con i Carcass, figurati incidere un disco. Piaccia o no, è il membro della band che ha più popolarità, c’è gente che resterebbe delusa se restasse fuori, gente alla quale non interessa che lui non sia tra i fondatori e che abbia suonato solo su due dischi su cinque. A loro non interessa, vengono per veder suonare “il tizio degli Arch Enemy che suona nei Carcass”. C’è addirittura chi pensa che i Carcass siano la sua band!”.

Francamente non riesco a immaginare come diavolo potrebbe suonare un album dei Carcass nel 2010, siete una band che è riuscita a fare qualcosa di innovativo con ogni disco… Da fan, ne farei tranquillamente a meno.
“Ho parlato di ‘sta storia con un po’ di vecchi fan negli ultimi tempi e ho riscontrato entrambe le posizioni. C’è chi, come te, dice: “Per favore, non fate un altro disco” e chi dice: “Per favore, fate un’altro disco”; 50 e 50, è divertente… In ogni caso, se mai faremo un nuovo album, sarà una cosa che dovremo prendere molto seriamente, non possiamo fare qualcosa che rovini la nostra eredità”.

Ma come ti sentiresti a scrivere dei pezzi death metal oggi? Non ti eri rotto di questa roba?
“In realtà i presupposti perché ne esca qualcosa ci sono. So che sarei in grado di farlo, seppure a modo mio, secondo quelli che sono i miei gusti attuali. Suonare death metal è molto divertente. Le accordature basse, un sacco di distorsione… E sicuramente non mi farei influenzare dalla roba che esce oggi. Che dirti, sarebbe una bella sfida! Fare un album nel nostro stile ma che rappresenti quello che siamo oggi, un obiettivo difficile. Finora non ne abbiamo mai parlato, non è stata scritta nessuna canzone, ma magari ne parleremo nel prossimo futuro, chissà…”. (Ciccio Russo)