Recuperone doom metal 2025 (neanche troppo in ritardo)

Questo è il periodo dell’anno dei recuperoni matti e disperati, soprattutto per coloro che non sono riusciti a tenere il passo con le uscite durante l’anno. È bene che ogni recuperone abbia più o meno una tematica di fondo. Qui raccolgo quattro album doom metal che sono usciti nell’ultimo periodo – il che rende questo recuperone neanche troppo disperato.

7 novembre: KAUAN – Wayhome

Kauan sono uno dei miei gruppi preferiti della vita. Mi hanno fatto impazzire con quasi ogni loro uscita, sin dallo strano esordio Lumikuuro e dal se possibile ancora più bizzarro seguito Tietäjän laulu, che all’epoca mi sembrarono richiamare lo stile degli Aarni, strambo gruppo avant-doom finlandese. Dopodiché avevano alternato quasi sempre un’uscita post-rock a una doom metal – ho cercato di riassumere la loro discografia a favore dei miscredenti nella recensione di Ice Fleet. Dopo quell’Ice Fleet è stato pubblicato un solo album, ATM Revised, dove hanno riregistrato i pezzi di Aava tuulen maa, loro terzo lavoro nonché primo (ottimo) disco totalmente post-rock che ha dato il la all’alternanza di generi – mi perdonerete se non mi sono sentito in dovere di recensirlo – e che quindi potrebbe farci pensare che questa sia la volta del disco metal.

Quello che si può notare con questo Wayhome, tuttavia, è che l’alternanza si sta sfumando sempre di più. Già Ice Fleet doveva essere l’album doom che seguiva l’uscita post-rock Kaiho, ma, oltre alla pesantezza dell’incedere, alle tematiche misteriose e alle sonorità molto oscure, i momenti veramente veramente metal erano forse due. Su Wayhome succede più o meno lo stesso, soltanto che la base è ancora più tendente al post-rock e più ariosa, come succede nelle loro uscite di questo tipo (i già citati Aava tuulen maa e Kaiho, nonché Kuu.., pubblicato all’epoca, stranamente, con Avantgarde Music). La componente metal è cosparsa tutta nella parte centrale dell’album, all’incirca dalla canzone Outline / Pave fino a Soothe / Sear, e viene trattata in un modo tale che ormai si potrebbe definire distintamente à la Kauan (o kauanesco, se preferite) e  che, se mi avessero fatto sentire queste tracce senza dirmi chi le ha composte, avrei comunque azzeccato l’artista. Oltretutto le tematiche sono molto più intimistiche (il viaggio sia in senso letterale che metafisico raccontato attraverso la metafora di un tessuto, citando neanche troppo liberamente dal loro BandCamp) e si scostano da quelle misteriose tendenti al paranormale di Ice Fleet (una flottiglia dispersa e ritrovata bloccata e congelata nei ghiacci artici) e Sorni nai (l’incidente del passo di Djatlov). Non sarà sicuramente uno dei loro album che preferisco, ma è comunque un ottimo ascolto se vi piacciono i generi che combinano e che può funzionare da punto di ingresso nella loro discografia per chi non li conosceva prima.

14 novembre: TEMPESTUOUS FALL – The Descent of Mortal Past

Scoprii i Tempestuous Fall all’epoca in cui gironzolavo ancora per i forum e pubblicarono il loro esordio The Stars Would Not Awake You, ovvero nel 2012. Da informazioni recuperate su qualche sito mi risulta siano una one-man-band che è stata fondata da Dis Pater (alias di Tony Parker, uno di quei tizi coinvolti in un’infinità di progetti, per la maggior parte solisti, che a malapena riascolta lui stesso dopo averne inciso i pezzi) nel 2011 a Brisbane per venire sciolta nel 2013, subito dopo aver pubblicato il primo album e uno split con altri due progetti solisti della stessa persona.

Nonostante da qualche parte risultino ancora sciolti da più di 10 anni, sono tornati a novembre con The Descent of Mortal Past. Il nuovo album si presenta come una sorta di album concettuale basato su alcune figure mitologiche (Teseo, Psiche, Ercole, Ulisse, Orfeo ed Enea) accomunate da un filo conduttore che individuerei in una certa tensione alla ricerca verso l’ignoto. Lo stile del debutto era un funeral doom abbastanza canonico che nel secondo album si è tinto di venature gotiche e di qualche spunto sinfonico. In generale, per le melodie di accompagnamento, il loro utilizzo e il modo in cui si intersecano con la sezione ritmica, mi hanno ricordato abbastanza i My Dying Bride. L’etichetta? Nientemeno che I, Voidhanger.

21 novembre: SHORES OF NULL / CONVOCATION – Latitudes of Sorrow

In generale non sono molto amante degli split album. Mi sembra che spesso si riducano a voler cercare di contaminare i bacini di ascoltatori degli artisti che partecipano all’iniziativa, senza che ci sia un vero motivo artistico che li giustifichi. Latitudes of Sorrow è, ovviamente, un’eccezione – così come lo sono state, a dirla tutta, quello tra Bedsore e Mortal Incarnation, o quello tra The Ruins of Beverast e Almyrkvi. Questo tra Shores of Null e Convocation, pubblicato da Everlastin’ Spew, è oltretutto strutturato magnificamente.

Viene aperto da due tracce degli italiani che uniscono sapientemente le due componenti principali delle loro sonorità (melodic death e death doom) alternandole tra strofa e ritornello insieme al cantanto pulito e growl di Straccione – un giochetto forse semplice, ma sempre efficace. Segue una traccia di intermezzo composta congiuntamente da entrambi gli artisti per poi chiudere con altre due tracce dei finlandesi che hanno quantomeno avuto il merito di ricordarmi quanto fosse stato bello Ashes Coalesce – album che mi ha fatto innamorare di loro e che me li ha fatti vedere come gli Ulcerate del funeral doom.

5 dicembre: VIN DE MIA TRIX – This Landscape Is Alive

Scoprii i Vin de Mia Trix ai tempi del loro debutto Once Hidden from Sight del 2013 grazie al fatto che avevano il bassista in comune proprio con i Kauan. All’epoca era un death doom molto vicino a quello dei My Dying Bride. Nel corso degli anni la loro proposta si è evoluta e questo This Landscape Is Alive è sicuramente il loro miglior album pubblicato finora – anche se vince al contempo il premio per la copertina più brutta.

La loro struttura è quasi post-rock/metal nell’incedere, nell’abbandono della struttura canzone e nella ricerca del climax, ma lo stile è pienamente death doom. Qualche passaggio, come l’introduzione al basso di Ferrissian Void, mi ha anche richiamato molto da vicino i riff di basso di The Sound of Perseverance. Il risultato è un album molto interessante che riesce a suonare familiare senza per questo essere banale o scontato.

Volendo ci sarebbe anche stato Mendacium degli Evoken (uscito a ottobre e di cui non ci sarebbe stato molto altro da dire se non che è un album funeral doom degli Evoken) o Words of Indigo e Major Arcana (se vogliamo ancora considerare Novembre e Novembers Doom gruppi doom metal), a chiudere un 2025 molto doom. Io ve li lascio semplicemente qua come spunti. (Edoardo Giardina)

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