La lista della spesa di Griffar: il mio nome è Legione
Nostalgici del suono marcio, mefitico e ad alta tossicità tipico delle Black Legions? Tornano tra noi con un sette pollici i francesi MALHKEBRE, gruppo decisamente underground che in quasi 25 anni di esistenza ha pubblicato solo due full, tre EP di durata ridottissima (compreso questo) e uno split con gli Aosoth.
In quest’occasione la buttano più sul religious black: entrambi i pezzi partono lenti, ipnotici, con un’anima occulta davvero malvagia, la traccia omonima sul lato A poi accelera riportandosi su partiture loro più consone, mentre You Want it Darker (una cover di Leonard Cohen) sull’altro lato lenta è e lenta rimane. Non che in precedenza le loro composizioni fossero meno sataniche, è solo che To Those Who Forged Us lo è in modo più smaccato. L’EP dovrebbe essere un apripista per un nuovo futuro album, speriamo si diano una mossa, perché c’è bisogno di black metal marcio come quello di una volta.
Fuori anche il secondo full lenght del gruppo solista UAMH, facente capo al solo Urisk Uaine, figlio delle fredde e desolate terre del Montana che prosegue sul percorso iniziato nel 2022, intento a ritagliarsi un posto non marginale nel cascadian black metal. E ci riesce benissimo, perché anche Prairie Smoke è un disco evocativo, molto intrecciato con le sensazioni che scaturiscono da lunghi periodi passati in boschi disabitati, meglio se quando fa molto freddo.
Il punto di riferimento sono i Wolves in the Throne Room, specialmente i primi episodi come A Diamond of 12 Stars e quello dopo, e Urisk Uaine non solo ci si avvicina, ma, se proprio non li supera, quantomeno li pareggia. Tutti i quattro brani sono trascinanti senza eccedere in velocità troppo elevate, puntando tutto sull’atmosfera senza essere eccessivamente complicati, anche se si percepisce che il ragazzo gli strumenti li sa suonare eccome, persino la batteria che di solito non è il punto di forza dei polistrumentisti. Riesce a creare un muro sonoro più che significativo, le sovraincisioni delle chitarre risultano dense, corpose, quindi fragorose, donando ad ogni pezzo un che di ipnotico, di sinistro e drammatico assai affascinante. Per me meritano il massimo supporto, tant’è vero che ho comprato anche l’edizione fisica in cassetta – l’unica al momento disponibile – uscita per la petalosa Fiadh Productions (U.S.A.) e limitata a 25 copie, esaurite in neanche dieci minuti. Importazione americana, tra tasse e spedizione è costata un delirio. Per gli Uamh ne è comunque valsa la pena. Di certo in top-list.
Sempre parlando di progetti solisti, torna l’olandese J.M.K.P. con i suoi THE GLOOMY RADIANCE OF THE MOON, già apprezzati nei primi due album usciti per la New Era un paio di anni fa. Qui in Italia credo di essere stato il primo a parlarne quando fecero uscire il primo EP in cassetta poco/per nulla considerato dalla “stampa che conta”, e successivamente in occasione del debutto dal titolo bal-sagothiano chilometrico uscito ad aprile 2022 che di colpo li portò ad una celebrità non immeritata, sebbene un tantino eccessiva.
Il terzo disco ha un titolo di lunghezza più normale, l’altra grossa novità è che esce per la nostrana Dusktone mentre, per quanto riguarda la musica, si può dire che il suo stile è rimasto preciso identico: fast/raw black metal condotto costantemente dalle tastiere quasi barocche, talvolta di impostazione classica ed organistica le quali, onnipresenti, guidano ogni pezzo dall’inizio alla fine, anche se le linee di chitarra sono in bell’evidenza, più che in passato. Sono un po’ meno rozze rispetto ai due episodi meno recenti, più curate, e ricordano in modo anche maggiore i Limbonic Art di Moon in the Scorpio, con quella sensazione di siderale che ritorna in ogni brano. Tutti tendenzialmente brevi, i pezzi si inseguono senza pausa e volano via come un tornado che se ne va in un paio di minuti lasciando dietro sé solo macerie. Essendo suonato per la maggior parte del tempo a rotta di collo, As the Stars Shatter in Agony risulta teso, nervosissimo, quasi nevrastenico, e di momenti più meditati o di respiro ne contiene ben pochi. Le tastiere come sempre addolciscono in parte quello che in loro mancanza sarebbe stato un efferato massacro ma credo che l’ascolto di questo nuovo episodio di The Gloomy Radiance of the Moon farebbe diventare iperattivo anche un malato cronico di encefalite letargica. Sul loro livello, se vi piacevano i precedenti non rimarrete delusi.
Da Barcellona si fanno notare gli OTHGER, un trio che esordisce con un buon mini-album intitolato L’Espinada de la Nit. Descritti come un assemblaggio di influenze derivate da gruppi-monstre come Falkenbach, Windir, Månegarm, Kampfar, Moonsorrow e Thyrfing, devo dire che in questo lavoro fanno effettivamente capolino caratteristiche tipiche dei succitati gruppi senza che nessuno prevalga sugli altri in modo smaccato.
Potrete divertirvi ad individuare chi vi ricorda maggiormente questo o quel passaggio mentre ascoltate il disco, energico, scorrevole, epico, pagano fino al midollo e pure parecchio trascinante. Nella formazione c’è una pianista fissa che con le sue partiture dona a tutta l’opera un che di distintivo, sicché gli Othger non risultano essere un mero mostro di Frankenstein di musiche inventate da altri, ci mettono anche del loro e ciò che suonano è sicuramente ben concepito. Poi è un esordio assoluto, quindi se lo prendiamo come base di partenza si incomincia da un buon livello, è assai possibile che con il tempo andranno oltre. (Griffar)





Griffat si è indemoniato.
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Abitato da una Legione.
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