Avere vent’anni: WINDIR – Likferd

Il mio ricordo di Likferd (funerale, mai titolo fu così profetico) è indissolubilmente legato al mio secondo viaggio in Norvegia nell’estate del 2003. Il primo era stato in Interrail subito dopo la maturità ma ero arrivato solo fino a Bergen, mentre in questo avevo voluto fare le cose un po’ più in grande, arrivando in macchina fino a Capo Nord, mio chiodo fisso all’epoca. Il problema è che la mia tabella di marcia voleva, almeno in parte, ripercorrere i luoghi di culto del black metal norvegese, mentre alle altre tre persone che erano con me ovviamente non gliene fregava un cazzo. Già avevo fatto una fatica tremenda a convincerli a visitare la cattedrale di Fantoft a Bergen, ma visto che alla fine c’ero riuscito tentai un’improbabile all-in proponendo, prima di intraprendere la strada dell’estremo Nord, di fare una piccola deviazione alle vicine rovine del monastero di Lysekloster, luogo di culto dove gli Immortal girarono il micidiale video di Call Of The Wintermoon, così da potermi fare qualche foto idiota tipo Abbath che esce dal pozzo con sguardo truce o roba simile. La risposta generale fu un piuttosto convinto vaffanculo te e gli Immortal, e di conseguenza non insistei più di tanto.

Iniziammo così il lungo viaggio fino alla tappa successiva, vale a dire Trondheim, ascoltando la musica terrificante che i miei compagni di viaggio mi costringevano a sorbire. Fu così che, di fronte alla possente cattedrale di Nidaros (proprio quella della cover del De Mysteriis DOM Sathanas, anche se in questo caso non ho dovuto insistere perché è l’unica cosa da vedere a Trondheim), proposi al resto della ciurma che fino a Nordkapp mi sarei sacrificato io alla guida, a patto di sentire un po’ di sano black metal. Prima di cena mi recai quindi in un negozio di dischi nelle vicinanze e fui subito rapito da questa spettacolare copertina che raffigurava il dipinto Likferd På Sognefjorden (processione funeraria sul Sognefjord). Fu così che investii le mie corone nell’acquisto dell’ultimo album dei Windir, che sparammo in macchina a tutto volume attraverso l’impervia natura norvegese, per la gioia dei miei amici che ripetevano “ma che cazzo se urla questo” con bestemmie varie.

I Windir erano già arrivati al quarto disco, ne avevo già sentito parlare su qualche forum e avevo sentito un paio di brani dal precedente album, ma non so perché ancora non avevo deciso di approfondirli, tanto che Likferd fu il primo loro disco che ascoltai per intero. Diciamo subito che siamo nella piena fase evolutiva del gruppo di Valfar, oramai diventato una band a tutti gli effetti e non più un progetto solista, anche se per alcuni aspetti il disco riporta alla furia black primigenia dei primi due capolavori (brani come Resurrection of the Wild o On the Mountain of Goats ne sono un esempio) mantenendo però quel suono più corposo con qualche retaggio thrash del precedente 1184. Le melodie di stampo folklorico non sono totalmente messe da parte, così come i momenti più legati al classico viking metal (la parte finale di Dauden è un qualcosa di orgasmico), ma è indubbio che Valfar abbia voluto porre l’accento più sulla violenza che sull’epicità e su quel riffing armonico che era sempre stato il suo marchio di fabbrica, anche se alla fine ti aveva tirato fuori un brano spettacolare come Fagning dove trovavi un po’ tutti questi elementi, comprese le parti danzerecce alla Journey to the End.

Likferd probabilmente non verrà ricordato come il miglior disco degli Windir, ma resta comunque un ottimo lavoro, per me superiore al precedente e in generale a tutto il movimento black/viking metal dell’epoca, sebbene sia sempre complicato sminuire il genio di Valfar relegandolo un in genere ben definito. Sono convinto che i Windir avrebbero potuto dare ancora tantissimo alla scena black: purtroppo sappiamo tutti come è andata tristemente a finire. (Michele Romani)

2 commenti

  • Ho sempre trovato una certa quota di affinità tra la morte del povero Valfar e quella, altrettanto dissacrante, di Mark Sandman. Quest’ultimo è stato colto da un infarto nel contesto di un festival, mentre faceva quello che amava. La cosa ironica è che si trovava a Palestrina. Nato nel Massachusetts e deceduto a Palestrina (Culonia, Lazio).
    Vero pure che essere inghiottiti dal freddo sembra una cosa grim&frostbitten, ma non posso fare a meno di pensare alla faccia di Jack Nicholson nell’ultimo fotogramma di Shining. Senza contare che stava andando o tornando, non ricordo, dalla casa di mammà.
    – Me vado a fà un giretto a mà!
    – Mettite la sciarpa che fa freschino.

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  • Certo con ‘sto nome da utility di Windows

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