Avere vent’anni: ANNIHILATOR – Schizo Deluxe

Con gli Annihilator funziona da sempre così: ti fanno credere di essere rientrati in uno stato di ottima forma e poi arriva la colata di merda. E non te la aspetti mai. Almeno, non era lecito aspettarsela nel 2005, ma diciamo che oggi è un fatto divenuto prevedibilissimo.

Tre album consecutivi fra la buona e l’ottima qualità, Criteria for a Black Widow nel parziale tentativo di riassemblare un vecchio team, poi Carnival Diablos con Joe Comeau e il moderno Waking the Fury. Nessuno dei tre aveva fondamentalmente qualcosa di sbagliato in sé. Poi fecero All For You e si incazzò nuovamente un sacco di gente. Ho riascoltato proprio oggi pure quello e lo trovo un lezioso esercizio di stile, con tutti quei giri di basso gratuiti, i giochini a lui cari e le melodie, ridondanti e strampalate, che non tornavano più come al tempo del sottovalutatissimo Set the World on Fire.

Schizo Deluxe è un disco che all’epoca dell’uscita non cacai nemmeno di striscio, tant’ero preso ad affermare che il metal stava iniziando ad andare davvero male a livello di nuove leve e ricambio generazionale. Ma ricordo solo una cosa, che non riuscii apertamente a dire che mi faceva schifo. E qualcosa doveva voler dire.

Riassumiamo quella che all’epoca fu la formazione degli Annihilator, che in nessun modo poteva essere identica a quella dell’album precedente stando al rigoroso disciplinare canadese: Randy Black, Mike Mangini e Ray Hartmann si erano spartiti un po’ tutti i titoli dal debutto in poi, fatta eccezione per Remains, senza alcuna continuità, senza alcun rigore logico. Per la prima volta apparve questo Tony Chappelle (…of ghouls, mi disse in maniera spiritosa un mio ex compagno di classe all’epoca dell’uscita, e lo cazzottai subito nel costato) e per la prima volta un batterista assoldato da Jeff Waters non apparve mai più in nessuna registrazione ufficiale udita dall’orecchio umano. Probabilmente è ancora chiuso dentro a qualche bagagliaio nella Columbia Britannica, o giù di lì.

L’album era ciò che ogni fan degli Annihilator ardentemente desiderava: moderno ma ancorato alle loro radici, ispirato, veloce, con Dave Padden intento a cantare in più stili a seconda di quel che la canzone richiedeva. E questo non l’ho mai gradito fino a fondo: per me il loro cantante definitivo è stato Coburn Pharr. A proposito di Dave Padden: per rimanere lì dentro per oltre un decennio chissà quali e quante droghe ha dovuto ingerire, e per quale via (endovenosa, orale, non procedo oltre). 

L’album lo colloco laddove collocherei il più anziano Refresh the Demon, un titolo poco citato eppur di buono spessore. Bella Maximum Satan, furiosa la successiva Drive, il resto è un compendio di quello che gli Annihilator sanno fare, e sanno fare meglio. (Marco Belardi)

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