ADAM BOMB @Monsters A-Live, Prato – 03.10.2025
Foto di Marco Belardi
Sul finire degli anni Novanta la città di Prato brulicava di locali che passavano musica metal o ospitavano concerti metal. O entrambe le cose. Come tutte le belle cose, anche quella che vi ho appena descritto è una storiella che ha avuto un suo inizio, uno sviluppo e una fine. Non appena sento che c’è un locale metal a Prato, però, è un po’ come tornare a quegli anni di Siddharta e Keller Platz, Vecchia Guardia e Cencio’s, e, appena più in periferia, ma pur sempre in sua provincia, Back Doors.
Conoscevo il Monsters A-Live solamente di fama, e sapevo che era piccolo e dalle parti di Galceti. Di Adam Bomb avevo invece perso le tracce più o meno nei primi anni Duemila, quando ricevetti due o tre promo di sue uscite discografiche e li spedii a un certo Roberto Villani, il recensore di MetalManiacs incaricato di seguire i guitar hero, il prog e l’AOR, o più in generale, incaricato di scrivere di tutto ciò di cui non avevo la benché minima voglia di scrivere io. Per quel che mi riguardava, Adam Bomb, vent’anni dopo l’ultimo contatto visivo, poteva ora trovarsi in una lussureggiante villa con sterminato giardino nei sobborghi di Seattle, a ridere di quando i Kiss lo scartarono al provino con una piñacolada sul materassino e più escort a bordo piscina che fili d’erba per terra, oppure a rovistare nei cassonetti alla ricerca di qualche buccia di banana da leccare per assumere un briciolo di proteine. Nessuna delle due: ha superato la sessantina, gira con un barboncino bianco e fino a qualche tempo fa superava di gran lunga le duecento date dal vivo all’anno. Senza più pubblicare un disco, tanto poi il Belardi li dirotta tutti ad altra gente.
Ho stimato che all’interno del locale potessero essere ospitate un centinaio di persone, ma l’ho subito trovato molto accogliente, alla maniera del vecchio Circus di Scandicci ma con un bel banco bar. Reduce da una settimana di febbre, che ancora avevo, ho subito attaccato a bere birra e ci hanno intimato di uscire perché il soundcheck doveva essere ultimato: una volta in macchina Adam Bomb è apparso a pochi metri dalla mia Ford, con al guinzaglio quel riccioluto cane bianco che apparirà in ogni angolo del locale per tutta quanta la serata. Tu immagini uno che ha collaborato con Eddie Van Halen e Geoff Tate e poi vedi questo, e non ridimensioni l’hard rock, ridimensioni il mondo. Non pensi più nemmeno alla bolletta da centocinquanta euro che è appena arrivata, perché probabilmente non esiste affatto.
Il primo gruppo erano gli HELLBLADE, pistoiesi. Un heavy metal con frequenti bordate speed metal che mi ha colpito per i riff e per la forma, un po’ meno per il carisma e la riuscita generale dei pezzi. Tenuta sul palco buona da parte del cantante, in inusuale felpa con cappuccio. Ma chi sono io per dire una cosa del genere, che vado da dieci anni ai concerti metal vestito in maniere che non c’entrano niente: ieri avevo una giacca da alpinismo. Da alpinismo.
I JOLLY ROX sono uno di quei gruppi di cui finisci per sentire parlare per forza. E quindi sei curioso e devi capire se è un’inculata o se ne vale la pena davvero. Ho visto le loro magliette ai concerti; le storie su Instagram apparse sui profili di gente che mai avresti collegato a loro; l’amica fotografa che “li devi vedere assolutamente”. Sono uno scettico per natura, ma un paio di videoclip mi avevano indirizzato nella direzione di crederci e non in quella esattamente opposta. Lo scorso anno, se non vado errando, ero stato vicinissimo a vederli al Borderline a Pisa, ma poi per qualche motivo non andai.
Il concerto che fanno i Jolly Rox è energia pura, suonano un glam rock particolarmente stradaiolo e gli elementi di movimento sono due: Capt Keep, bassista, torso nudo, dieci chilometri percorsi in quaranta minuti su un palco lungo tre metri scarsi, e Joey Zalla, con uno di quei cappelli a metà fra le fake forze dell’ordine e lo stile marinaro che sono ben noti nei film porno, chitarrista e cantante, di cui ho particolarmente apprezzato lo stile canoro vagamente buttato sul punk. Il punk è dietro l’angolo un po’ dappertutto a dire il vero, e nelle cover esce allo scoperto. Suonano un singolo che si chiama The Night Flyer e che spero sia un rimando al favoloso film con Miguel Ferrer. Il punto di forza è che, oltre ad avere dei pezzi che funzionano dal vivo, fanno queste gag che non permettono un qualsiasi calo d’attenzione da parte del pubblico. Fonti certe mi avevano informato che la data di Rho del giorno precedente era stata un mezzo flop, con un pubblico scarseggiante e impalato: non ero a Rho e non intendo metterci piede finché non mi costringeranno con una pistola Luger Parabellum puntata alla tempia, ma credo di poter affermare che a Prato è andata meglio.
Nel frattempo il cane bianco di Adam Bomb si aggirava indisturbato nell’area a metà fra le bancarelle del merchandising e l’ingresso ai cessi.
ADAM BOMB sapevo avesse fatto le seguenti cose, a Rho: spettacolini col fuoco, batteria luminosa, chitarra luminosa, set per metà acustico e per metà elettrico con band al seguito e dalla durata inconcepibile. Una sorta di arriviamo all’alba e vediamo se muoio, altrimenti versatemi aceto, bicarbonato e cocaina direttamente nei bulbi oculari che ricomincio subito: se tutto va male lascio il tour bus e le chitarre al barboncino.
Il giorno seguente il concerto una persona che era presente mi ha contattato su Messenger, dicendomi di essere venuta via alle tre passate. Io, vagamente febbricitante, credo di avere mollato fra le due e un quarto e le due e mezzo. Credo mancasse pochissimo alla fine, e non ho mollato perché la sveglia era suonata alle cinque per scaraventarmi al lavoro, perché non mollo mai. Ho mollato perché era irragionevole insistere in quella sorta di Trenta ore per la vita in versione losangelina, ma comunque ho anche apprezzato il suo concerto: vedete, questo chitarrista statunitense è diventato anacronistico negli anni Novanta. Lo troviamo a suonare a Prato – la città del tessile e dei cinesi che dormono nei capannoni, da lì tutti quegli stabili da affittare ai gestori dei concerti – d’innanzi a cento anime scarse, con un barboncino, ripassando classici del rock fra cui Stairway to Heaven in solitaria, con un’intensità che pareva avesse tutta una band al seguito. Se sei un essere umano non puoi non volere bene ad Adam Bomb, sconfineresti nella cattiveria. Puoi solo volere abbracciarlo forte per la sua perseveranza, per il suo reale amore verso la musica hard rock.
Un cane adulto dorme fra le quattordici e le diciotto ore al giorno. Il barboncino di Adam Bomb no, non se quel Cristo lo tiene sveglio dal soundcheck all’ultimo brano eseguito alle tre del mattino. Sono fermamente dell’idea che consumi più droga quel cane dei Motley Crue in età giovanile. Se il tour di Adam Bomb passasse per puro caso dall’Austria, per legge, il suo barboncino dovrebbe essere obbligatoriamente sottoposto a antirabbica ventun giorni prima dell’ingresso nel paese. Immaginate che overdose fulminante capiterebbe a quella bestia una volta che le droghe che piglia per non dormire comincerebbero ad interferire con l’antirabbica. Il mio consiglio è: sei benvenuto a Prato, continua a razzolare da queste parti che ti diverti, ci divertiamo tutti, e ci rivediamo un batterista, il tuo, che è una vera bomba a mano. (Marco Belardi)





