I CADAVER pubblicano un remake di …in Pains e non se ne accorge quasi nessuno

Lo scorso aprile i Cadaver (per i cenni storici vi rimando alla mia recensione di Edder & Bile) hanno pubblicato un nuovo album che, a detta delle note promozionali, conterrebbe vecchi pezzi rimasti inediti e riportati a nuova vita. Evviva. Parte la prima, Maltreated Mind Makes Man Manic. Bello, lo stile del passato riletto in un’ottica moderna, con l’impronta peculiare del gruppo norvegese che rimane intatta. Poi arriva la seconda, Chained to His Fate. Uhm, questo riff, obliquo e voivodiano, l’ho già sentito. Alla terza mi rendo conto che la sensazione di déjà vu era ben fondata. Perché questa Nowhere to Hide non è altro che un rifacimento di Bypassed, il primo pezzo di ...in Pains, il fondamentale Lp del 1992 che scrisse una pagina indelebile del death metal d’avanguardia e non ebbe purtroppo seguito a causa del repentino scioglimento del gruppo. E quella Chained to His Fate, riascoltiamola un attimo… Certo che avevo già sentito quel riff, è quello di Mr. Tumour’s Misery, la seconda canzone di …in Pains, anche qua ripresa pari pari. Cambia qualcosa negli assoli e nella registrazione, che mette le chitarre più in primo piano, ma il pezzo è quello.

In sostanza, i Cadaver hanno pubblicato un remake non dichiarato del loro disco più celebre. L’ordine nella scaletta è un altro, i titoli sono differenti, manca giusto In Distortion, sostituita dall’unico vero inedito, quella Maltreated Mind Makes Man Manic, che ha infatti una impostazione e una produzione un po’ diverse. La cosa divertente, o tragica a seconda del punto di vista, è che non sembra essersene accorto quasi nessuno.

L’unico ad aver puntato il dito e a dire che il re è nudo è stato un utente di Metal Archives, che ha smascherato la pantomima e accostato ogni singola traccia all’originale. Non solo: a detta sua – di primo acchito non me ne ero accorto – pure il brano d’apertura non è esattamente nuovo di zecca ma riprenderebbe i riff di Manic, la strumentale di Discipline, uscito nel 2001 a nome Cadaver Inc. Onore al signor Colonel Para Bellum, quindi. Perché chiunque altro abbia scritto finora di Hymns of Misanthropy sembra essersi bevuto le fregnacce scritte nel comunicato stampa. Cioè che Neddo, unico membro stabile dei Cadaver, avrebbe trovato in un armadio questi vecchi nastri, incisi tra Hallucinating Anxiety e …in Pains (grazie al cazzo, sono letteralmente le demo di …in Pains), e avrebbe deciso di ripulirli un po’ e pubblicarli. Molto vaghi i riferimenti al coinvolgimento della vecchia sezione ritmica composta da Ole Bjerkebakke ed Ellert Solstad. Da come viene messa, non si capisce se i due, ritiratisi dalle scene oltre trent’anni fa, vengano citati nei crediti solo perché avevano suonato all’epoca su quelle demo o se fossero addirittura riapparsi dal nulla per partecipare a una simpatica rimpatriata tra salame di alce e le giuste grappe. 

Ora, non è mio costume stare a fare le pulci alla concorrenza, che in realtà non leggo nemmeno, ma, spinto dalla curiosità di vedere come la disonesta operazione fosse stata accolta da altri addetti ai lavori, mi sono letto un po’ di recensioni in giro, anche su blasonati portali in lingua inglese, e nessuno pare essersi accorto di nulla. Qualcuno sottolinea come l’album si rifaccia alle maniere di …in Pains. Ma tu guarda. Qualche campione del mondo asserisce invece che i Cadaver avrebbero incorporato l’influenza di gruppi più moderni e cita i Krallice e roba così. Ah, beh. Sì, beh. E povero sagrestano. 

Ora, se scrivo di questo casino, nel senso di piccolo caso come direbbe Er Pomata, non è perché voglio fare il fico alle spalle degli altri, atteggiamento che chi ha il buon cuore di seguirmi da tempo sa non appartenermi, ma perché ritengo susciti più di una fosca riflessione su come ascoltiamo oggi la musica e su come ne parliamo. E non si tratta solo del consueto, frusto discorso su quanto le nostre orecchie ingurgitino quantità di dischi sempre più ingestibili e di conseguenza non vi rimanga più davvero nulla, mentre ai vecchi tempi c’era più rispetto e i giovani non perdevano tempo coi videogiochi e i cellulari ma andavano a mignotte col motorino per poi farsi di eroina nel cesso dell’autogrill. 

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Chiaro, nessuno nasce imparato. Va benissimo se sei giovane e ti ritrovi a dover recensire Hymns of Misanthropy senza aver mai ascoltato una nota dei Cadaver; quando a vent’anni scrivevo su Metal Shock, invece di pensare alla fregna™, mi sono trovato decine di volte in quella situazione. Va benissimo anche se sei meno giovane, in casa hai pure il vinile di …in Pains ma non lo metti sul piatto dagli anni ’90 e non te lo ricordi più. Però, che cazzo, prima di scrivere l’articolo risentitelo. Se sei giovane, per capire di che roba stai parlando. Se sei meno giovane, per rinfrescare la memoria e fare osservazioni più puntuali su materiale che viene gabellato come inedito risalente a quell’epoca e invece, guarda un po’, non è inedito manco per niente. Insomma, se ti trovi a dover trattare Hymns of Misanthropy si suppone che tu lo ascolti abbastanza da assorbirlo un minimo e poi ti recuperi le cose vecchie per buttare giù righe che abbiano un minimo di senso compiuto. In questo modo dovrebbe diventare difficile non accorgersi delle, diciamo, eccessive analogie. Perché non stiamo parlando di tizi che suonano sempre quelle due note in croce e fanno fatica pure loro a distinguere una canzone dall’altra. Stiamo parlando dei Cadaver, un gruppo dalle caratteristiche abbastanza peculiari: se ascolti …in Pains subito dopo esserti sparato Hymns of Misanthropy cinque o sei volte dovresti riconoscere almeno qualche riff. E invece. 

Le ragioni di questo abbaglio collettivo possono essere molteplici. C’è chi avrà recensito il disco senza manco finire di ascoltarlo, senza approfondire e magari scopiazzando scritti altrui. C’è chi avrà il cervello talmente fritto dalla sovrabbondanza di ascolti che, pur avendo fatto i compiti, non si è accorto di nulla. C’è chi mentre ascolta i dischi sta sempre distratto dalle mille notifiche sul telefono. C’è chi nel frattempo sarà stato concentrato su un’altra finestra del browser aperta sui commenti alle foto della moglie caricate su Phica.eu. C’è chi, infame vero, avrà capito subito il giochino ma ha comunque deciso di propalare la fantasiosa narrazione della Listenable per poter continuare a mantenere il discutibile privilegio di ricevere promo digitali qualche settimana prima che vengano caricati su Spotify. In ogni caso, Neddo era talmente sicuro di poter contare su questa disattenzione generalizzata da aver spacciato un remake per un’opera originale con straordinaria faccia di bronzo. E la cosa deprimente è che ci ha preso. C’è chi sostiene che riviste e webzine non abbiano più senso perché oggi è tutto disponibile gratis e subito. Io credo che serva sempre qualcuno che faccia filtro e selezione ma, se l’andazzo è questo, diventa più difficile biasimare chi è convinto del contrario. (Ciccio Russo)

5 commenti

  • Avatar di nxero

    Ottima riflessione Ciccio. È un mondo difficile.

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  • Avatar di Fanta

    Ho capito che stavamo un po’ alla frutta qualche anno fa. Su un noto portale qualcuno (non un ragazzino, no) recensiva The Dark Hereafter dei Winterfylleth.
    La traccia finale del disco si intitola “Led Astray in the Forest Dark”. Titolo che ovviamente non ti fa minimamente pensare che stiamo parlando della cover di “I troldskog faren vild” degli Ulver.

    Però per dio, quando parte il brano, a meno che tu non sia vissuto su Marte, non puoi non riconoscere la traccia di apertura di Bergtatt. Non puoi. Soprattutto se ti occupi di black metal. E invece nulla, nessun riferimento nella recensione in tal senso. Come se fosse un pezzo a firma Winterfylleth. Tutto ciò tra l’imbarazzo e i (giusti) rimbrotti nei commenti.

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    • Avatar di mark

      ascoltata proprio ora, la cover fatta dai Winterfylleth è talmente aderente all’originale che davvero non si spiega come l’ascoltatore non se ne sia accorto. Proprio quando mancano le basi non c’è nulla da fare, se non mettersi a studiare. Comunque ottima, pure i suoni mi piacciono, l’unica cosa è che la lingua inglese non si adatta per nulla alla musicalità del brano. Certo non è Nothing else matters fatta da Marco Masini, per carità, però insomma…

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  • Avatar di ignis

    Parole molto interessanti!

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  • Avatar di weareblind

    A “frusto” e “gabellato” ho goduto.

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