La finestra sul porcile: 28 ANNI DOPO
Li ho visti tutti e tre al cinema, adesso posso dirlo. Ma soprattutto ho scansato con stile l’ultimo Jurassic Park, o World, che mi era stato proposto con spiccate insensibilità e negligenza da un amico. Hai un figliolo di undici anni? Portaci lui, Cristo. E affogalo nei pop corn, che almeno non si rende conto dello scempio che gli passerà davanti agli occhi.
Ricordo ancora quando uscii dalla sala alla proiezione di 28 settimane dopo: non mi piacque per niente, nonostante Begbie, l’elicottero utilizzato come frullatore e quella scena claustrofobica nello stanzone. Lo trovai un sequel totalmente spogliato, o quasi, della forte componente emotiva su cui era stato costruito il primo film. In aggiunta a quel che era già stato detto, ecco la questione dei portatori sani.
28 anni dopo di ciccia al fuoco ne butta tanta, ma comunque meno di quella che vuol sembrare, ed è perlopiù necessaria a trasformare la sua seconda metà in una sorta di ponte verso i successivi film della saga, che, a quanto pare, saranno due. Senza Danny Boyle alla regia, con Cillian Murphy, ora produttore esecutivo, nuovamente nel cast nonostante la scalata al successo grazie ai vari Peaky Blinders e Oppenheimer. Pensate che Danny Boyle, nel 2007, aveva dichiarato che la storia del terzo film era già pronta.
Il film è fantastico. Trasmette la stessa sensazione, tipica di 28 giorni dopo, d’essere diviso in tre distinti capitoli. Ricordate? La parte nella Londra deserta, la parte nelle campagne inglesi, la parte nella fortezza militare. Qui è un po’ lo stesso: adrenalina a palate in principio, tra Teletubbies e scenari ripresi con una fotografia meravigliosa, poi un escamotage molto forte sostituisce un personaggio primario senza che la storia perda interesse. Infine il misticismo a palate già odorato nel trailer.
Ho sentito non pochi piagnistei in questi giorni. Per alcuni l’epidemia dovrebbe essere bell’e finita con gli infetti incapaci di alimentarsi, e, pertanto, destinati a morire di stenti. Così li avevamo visti nel 2002, nel finale. Oggi gli infetti formano piccoli gruppi sociali, partoriscono, molto probabilmente ascoltano i Bolt Thrower e soprattutto, cacciano gli onnipresenti cervi.
Danny Boyle è stato bravo a pescare frammenti d’ispirazione un po’ dappertutto, senza ricopiare apertamente niente. Gli infetti, oltre a quel che ho appena detto, sono ora stratificati come quelli di Left for Dead, il videogioco. Hanno delle gerarchie, alla base della piramide degli individui striscianti che si nutrono di vermi nel bosco, e in cima dei leader chiamati Alpha o Berzerker. È un po’ come Amway, ma non ti fermano per venderti dei detersivi. Buttare giù codesti Alpha è un vero casino, narcotizzarli è una buona scorciatoia. L’alterazione del corpo e della mente rappresentata in passato da Danny Boyle con droghe, amputazioni e quant’altro è qui messa in gioco da alterazioni psichiche dovute a un tumore al cervello. L’esplorazione dell’entroterra inglese, quasi un’area aliena, è un po’ quello che sarebbe stato After Earth se solo Shyamalan avesse deciso di combinare qualcosa di decente. Bellissimo, almeno in quel momento, il rapporto fra padre e figlio, rispettivamente chiamati Jamie e Spike.
Poi c’è la costante certezza che avremo a che fare con un certo Jimmy, e un personaggio secondario, lo svedese Erik, che ci regala le migliori battute del film, tipo quella sui rapporti fra consanguinei. Se solo Erik avesse visto com’era San Casciano negli anni Settanta…
La ricostruzione della società inglese in quarantena nella cittadina di Lindisfarne, proprio come dicono gli Ancient Rites, mi ha ricordato l’ultimo film di George Romero, Survival of the Dead, in un tono meno western e leggermente più medievaleggiante. Non avevo mai usato il termine medievaleggiante in una recensione e non so se abbia alcun senso compiuto. Ma, soprattutto, in un tono non completamente alla cazzo di cane come uscì fuori a George Romero in quell’occasione, all’ultimo sigillo della sua onorata carriera. Poi c’è il finale, assurdo, tarantiniano, volutamente sopra le righe. Ancora non ho capito se mi è piaciuto oppure no. Bella la prova dei tre protagonisti e familiari; bella anche quella di Ralph Fiennes nei panni dell’invasato dottor Ian Kelson. Bellissime le musiche, come da consuetudine nei film di Danny Boyle. Ritorna anche un tema caro agli appassionati del primo capitolo, già avrete capito quale. Danny Boyle ha questa capacità unica di rappresentare l’Inghilterra, i suoi pregi e difetti, le sue peculiarità. Ti fa venir voglia di prendere, partire e andare a vederla di persona. È così dai tempi di Piccoli omicidi tra amici, anche se descriveva un contesto sociale che era uno schifo totale. È una capacità che francamente ritrovo e ammiro in pochi registi al mondo. Apri sistematicamente una birra e te la bevi, dopo un film di Danny Boyle.
Andate a vederlo. Ieri mi sono goduto un horror girato da un regista con i controcoglioni, che stavolta non si è limitato a omaggiare il passato come in occasione del sequel di Trainspotting – che a distanza di un decennio scarso ricordo a malapena – e che ha fatto centro su tutti i punti di vista, tirando fuori un titolo che non avrà la forza iconica del primo, ma che tranquillamente tiene il suo passo, facendo dimenticare in fretta il mezzo passo falso di 28 settimane dopo. E fanculo i dinosauri. (Marco Belardi)




Sono curioso di vederlo. Il “giorni” mi piacque, il “settimane” influenzato da quello che lessi mi rifiutai di vederlo. Concordo con la grande capacità di “descrivere” l’inghilterra di Boyle, secondo solo a Ken Loach.
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ATTENZIONE SPOILER———————
Quando è comparsa la zombie incinta ho avvertito la fortissima necessità di andarmene. Avrei fatto meglio. Il secondo film non viene calcolato ai fini della trama e va bene, però nemmeno le basi del primo. Dove bastava una goccia di sangue ad infettare in un nanosecondo adesso ci si può ricoprire di fluidi vari senza conseguenze, ma si sa, è la magia della placenta. Mi aspettavo più un viaggio alla Apocalypse Now, viste le premesse del personaggio di Ralph Fiennes (peraltro, recuperatevi Coriolanus se non lo avete visto) invece mi è toccata la brexit. Gli alpha vantano una resistenza fisica pari a quella di un grizzly ma il dottore ha seguito il corso di pozioni ad Hogwarts e li addormenta in un attimo con la sue freccette intinte in sostanze che dopo più di 20 anni non dovrebbero essere così facili da recuperare e conservare nel buco del culo dell’Inghilterra neomedievale. E basta partorienti, già in Blade Runner 2049 non aveva senso con gli androidi figuriamoci con i malati di rabbia delle scimmie. Il finale alla Guy Ritchie è la parte migliore e peggiore insieme, è fico ma assurdo nell’economia di questo film. Che resta un bel film, girato molto bene ma avrei sperato in qualcosa di più viscerale, più oscuro forse.
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Io non sono così entusiasta. Dopo un inizio effettivamente di grande livello, la storia si perde in una sceneggiatura dozzinale con dei buchi che sembrano crateri (tipo ragazzini che viaggiano per giorni interi in mezzo agli zombie quasi senza il minimo problema o altro che non voglio spoilerare). L’interpretazione dei personaggi poi è al limite dell’accettabile, solo Fiennes alza un po’ l’asticella. Peccato perché Boyle è uno dei miei registi preferiti e avevo grandi aspettative.
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Concordo con Schnell, il ragazzo nel giro di una notte sembra aver imparato a memoria il manuale apocalittico delle giovani marmotte.
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pessimo, autentica delusione. Mi ha annoiato e in alcuni frangenti sono stato tentare di alzarmi e andarmene. Non è nemmeno l’ ombra dei primi 2. Davvero un peccato
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Pessimo film che del primo “28 giorni dopo”, CAPOLAVORO del genere zombi, non ha nemmeno un leggerissimo profumo.
Vada a vedere i dinosauri, Belardi.
Vada❤️
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Dimentica di dire che è patrocinato dalla Regione Toscana per l’eutanasia.
Davvero, Boyle fa un film sugli zombi per parlarmi di infedeltà coniugale, eutanasia, ragazze madri zombie, maschi alfa che ti fanno perdere la testa e perché fare il corriere Amazon sia meglio che difendere il proprio Paese..
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