Frattaglie in saldo #70
Quando a febbraio vidi i CANCER dal vivo, i pezzi del nuovo Inverted World, all’epoca non ancora uscito, mi fecero una discreta impressione, che confermo ora che lo ho potuto sentire. È un po’ meglio di Shadow Gripped, che non aveva affatto convinto il Belardi, ma non chissà quanto meglio. Nel frattempo John Walker, chiamalo stronzo, ha abbandonato l’Albione natia per trasferirsi a Madrid, dove ha reclutato qualche giovanotto locale e messo su una nuova formazione. L’andazzo però è sempre quello, death/thrash scolastico ma abile nell’alternanza di passaggi cadenzati e accelerazioni. Riff trascinanti e lineari, un po’ di noia qua e là e qualche buon guizzo, soprattutto con la doppietta finale costituita da Jesus for Eugenics e Corrosive, che ricorda un po’ i gloriosi connazionali Bolt Thrower. Lo stile rimane vicino a quello del secondo album Death Shall Rise, non a caso quello da cui Walker pesca di più per le scalette dei concerti, con una produzione assai più nitida ma non plastificata. Un ascolto gradevole ma non indispensabile, il classico disco che scorre con piacere ma poi non si ha voglia eccessiva di rimettere su. E va benissimo così, per carità.
Più succulento il ritorno dei PUTRID OFFAL, da non confondere con gli americani Corpus Offal, di cui vi ha parlato lo scaligero Venturini un paio di mesi fa. I francesi si formarono addirittura nel 1990 ma si sciolsero nel ’94 dopo qualche demo e qualche split, per poi riformarsi due decenni dopo e intraprendere una carriera più costante. Obliterated Life è il terzo Lp dalla riunione e conferma il quartetto di Douchy-les-Mines come tra i migliori seguaci dei Carcass, epoca Necroticism, sulla piazza. Li preferisco a gruppi per certi versi affini come Impaled e primi Aborted. Qua la componente grind è molto più presente, con brani fulminei e laceranti, il suono è, allo stesso tempo, più viscerale (koff) e più sofisticato, con riuscite variazioni sul tema che compensano alcuni episodi un po’ meccanici. Cattivi, potenti e, perché no, divertenti. Quando i cugini d’Oltralpe si cimentano col death dimostrano (quasi) sempre carattere e competenza.
Quando vennero fuori i LIK li accolsi con entusiasmo. La riesumazione del death vecchia scuola di Stoccolma come la facevano loro non la faceva nessuno, almeno in quel momento. E Misanthropic Breed resta una bomba. Sarà che non pubblicavano nulla da cinque anni e in questi casi le attese hanno il loro peso, ma ammetto che questo Necro mi ha lasciato un po’ freddino. Lo dico subito, la colpa è mia, non loro. Il disco, dal punto di vista formale e tecnico, gira alla perfezione, le dinamiche sono ben gestite, con linee di batteria non banali, i suoni sono nitidi senza essere artificiali. Il gradimento che si prova per lavori come questo, derivativi in maniera fiera e programmatica, è inversamente proporzionale al livello di saturazione al quale si è giunti per il revival di turno. E questo è parecchio soggettivo. Il repertorio è sempre quello. Deceased, classica canzone d’apertura in tupatupa. War Praise, con la melodia maideniana alla Dismember che è sempre la stessa ma non stanca. Poi arriva They e ti chiedi quante volte hai già sentito quel riff in mid tempo. Se non frequentate da un po’ il genere, Necro sarà un ottimo modo per riconciliarvici e vi divertirete. Se avete trascorso l’ultimo mese chiusi in casa con la discografia dei Centinex come unica compagnia, qualche sbadiglio va messo in conto.
Ho scapocciato decisamente più duro con Nightmare Fuel, secondo album dei GUTS, dei quali vi avevo parlato benissimo ai tempi dell’esordio Decay, che, a esser sinceri, era più ispirato ma, si sa, nel debutto metti le cose migliori composte in un periodo abbastanza lungo laddove per il successivo riparti da zero et cetera. La ricetta rimane un death metal finlandese d’antan, ispirato in modo pesante ai Demigod, tra randellate dal piglio thrash e brani più cupi e sinistri come Transient Eden, anche stavolta concentrati nella seconda parte del disco. I tempi questa volta sono più lenti ma rimane intatta la capacità di scrivere con naturalezza invidiabile pezzi lineari, dritti al punto e dal tiro inesorabile. Merito anche della produzione, profonda, rotonda. Con quel basso grassissimo che spacca le pareti. Mi sarei aspettato qualche passettino in più in direzione di uno stile più personale, perché i ragazzi sono davvero dotati e possono. Per il resto, nulla da dire.
Vi saluto con un estratto dal quarto e omonimo Lp dei Wormwitch, uscito l’estate scorsa. Non ne avevo ancora parlato perché allora avevo pensato di fare una cosa spiritosissima inserendoli in un articolo, che avrei intitolato LA SETTIMANA DELLA SFINGE, insieme a Witchvomit e Vomit the Soul. Poi ho lasciato perdere, faceva ridere solo gli anziani. Però la segnalazione tardiva e d’obbligo: Metal Skunk è e deve restare la fonte di notizie più esauriente su cloni dei Dissection e affini. (Ciccio Russo)
